Intervista ad Attilio Cassinelli di Irene Greco
Attilio Cassinelli, o più semplicemente Attilio, è illustratore, poeta e narratore per immagini. Quest’anno festeggia un secolo di vita durante il quale, con Pericle il gatto, Tonino il topo e altri suoi personaggi ormai celebri, ha conquistato la fiducia di centinaia di piccoli lettori e lettrici, nonché numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, come negli ultimi anni il premio nati per leggere 2017 e 2020, e la menzione speciale alla carriera al Bologna Ragazzi Award nel 2019. Nel 2017 ha ricevuto il premio speciale della Giuria Andersen con la seguente motivazione: “Per aver saputo innovare, fin dai suoi esordi, il linguaggio dell’illustrazione italiana. Per una vivissima e profonda capacità di entrare in sintonia con il mondo dell’infanzia. Per una lunga, fruttuosa e intensa attività che prosegue ancor oggi con inalterata freschezza”. Nel 2020 la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma gli ha dedicato una mostra, ospitando per la prima volta dall’inaugurazione nel 1883 un protagonista del mondo dell’illustrazione.
Attilio ha avviato la sua carriera nel 1966 con La casa sull’albero, primo volume della “Collana del bosco” ideata insieme all’amica Karen Gunthorp, e da quel momento non ha mai smesso di progettare libri per l’infanzia. Erano gli anni in cui l’Italia apriva le sue porte alle opere di autori illuminati come Leo Lionni, Maurice Sendak e Iela Mari, e proprio in questo contesto di fervore e rivoluzione il suo stile essenziale, geometrico e vivace ha da subito fatto scuola, facendo di Attilio un autore classico della letteratura per l’infanzia.
Cos’è che permette ai suoi libri di essere sempre attuali, pur mantenendo pressoché inalterate le caratteristiche stilistiche degli esordi?
Realmente non l’ho capito bene neppure io, forse i colori, forse l’estrema essenzialità e la semplicità. Ma davvero vado per sentito dire perché un’idea precisa io non ce l’ho, non me la sono ancora costruita.
In questi decenni i bambini sono cambiati o sono sempre sostanzialmente gli stessi?
In questi anni i bambini sono cambiati e sono restati uguali, secondo me c’è sempre qualcosa di magico che accomuna l’infanzia di tutti. Poi la vita ti regala, oppure no, la possibilità di vivere questa condizione più a lungo, o più serenamente.
Uscendo dalla cerchia degli addetti ai lavori si tende a pensare che scrivere per bambini sia un mestiere tutto sommato facile, ma lo è davvero? Nel suo Verbale scritto del 1992 Bruno Munari dichiara che “Complicare è facile, semplificare è difficile”. Una complessità, dunque, di chi si dedica alla primissima infanzia è il saper valorizzare la semplicità senza cadere nella banalizzazione. In cosa risiede secondo lei questo confine?
Grazie. Invecchiando mi si chiariscono sempre più le idee. È vero, semplificare è una questione complicata, un modo di vedere ciò che non si può eliminare per mantenere il senso. Ho scoperto grazie al testo di Cristiana Collu, la direttrice della Galleria nazionale di Roma, sul catalogo della mostra che mi hanno dedicato, un frate filosofo del 1300 di nome Occam il quale pensava che, nel dubbio fra due soluzioni possibili, si debba dare un taglio scegliendo sempre la più semplice. “Il rasoio di Occam”, appunto. Un incoraggiamento a semplificare ancor di più. Io ci provo sempre.
Lei ha dedicato molta parte della sua produzione a Pinocchio, a partire dall’edizione uscita per Giunti Marzocco nel 1981 in occasione del centenario, per passare a C’era una volta un pezzo di legno, la versione a fumetti del 1991 oggi restaurata e rivista per i tipi di Lapis, come anche l’edizione cartonata della collana “Le Mini Fiabe di Attilio” del 2020. Perché proprio Pinocchio? Quali sono gli aspetti di questa storia verso cui si sente grato?
Pinocchio è il più disgraziato di tutti, mi ha sempre ispirato simpatia e affetto. Gliene capitano davvero di tutti i colori. Troppe sventure, chiunque altro sarebbe crollato o sarebbe depresso, e forse è per questo che ho cercato di rendergli la vita meno dura scrivendo giocosamente in rima. Io mi sono divertito, giocare alle rime mi diverte da sempre, in casa lo sanno tutti e spero così che si divertano anche i piccoli. Il Pinocchio per piccolissimi di Lapis è stato un tentativo, credo ben riuscito, di semplificare il romanzo per riuscire a mettere a fuoco alcuni personaggi e alcune situazioni, e soprattutto per invogliare anche i più piccoli ad avvicinarsi, poiché la mole del romanzo oggi sembra faticosa.
Nella sua produzione si è spesso dedicato alla riscrittura delle fiabe classiche dei fratelli Grimm e di Andersen. In cosa consiste il lavoro di estrema sintesi che si trova a compiere per restituire al lettore l’essenza di storie così altamente simboliche, senza mai mortificarle o banalizzarle?
In questo caso l’esercizio di estrema sintesi è condiviso, perché mia figlia Alessandra è un giudice spietato: io sarei meno rigoroso sul numero di pagine, e infatti senza il suo aiuto non ce l’avrei fatta. Comunque il lavoro sulle fiabe classiche è nato con il mio ritorno al lavoro di illustratore e con le mie nuove uscite nel 2016. Non mi ero mai occupato prima di fiabe, di principi e principesse ed è stato all’inizio un po’ sconcertante per il mio modo di lavorare e di vedere le storie per piccoli. Ma è stato anche molto interessante come approfondimento e come studio. Avevamo comunque un patto fin dall’inizio, cioè di non cambiare la trama della fiaba, di non addolcire o alterare le parti più cruente, al limite solo di soprassedere sulla morte o no di lupi e cattivi, in modo che fosse il genitore a definire in maniera più chiara il finale.
Un altro sguardo è riservato alle favole classiche, come nel recente corposo volume de Le favole di animali di Esopo e Fedro. Quali sono gli elementi che rendono ancora vivi e attuali questi capisaldi della letteratura?
Sulle favole classiche, è vero, ho lavorato tanto, e in fondo questa domanda mi fa mettere in chiaro che ho sempre disegnato animali. Tutti i personaggi delle mie storie sono animali in qualche modo umanizzati, Pericle il gatto, Samuele il coniglio, Milli la mucca, Bob il cane e Orsetto rosso. Loro, però, nei finali più drammatici fanno merenda. Lavorare sulle favole di Esopo e Fedro mi è piaciuto per la gran quantità di possibilità bizzarre. Amo disegnare animali.
Nel suo libro cartonato Leggo!, uscito nel 2020, vengono rappresentati più di venti modi diversi di considerarsi lettori (ascoltare chi legge, leggere le figure, leggere due libri alla volta, leggere per essere qualcun altro…). Si tratta di un esercizio metanarrativo intorno al gesto della lettura, l’omaggio a un diritto di libertà che è al contempo intimo e relazionale. Qual è la sua profonda buona ragione per cui vale la pena favorire l’incontro tra i bambini e il mondo dei libri?
Davvero di fronte a questa domanda non so rispondere, sono sempre in mezzo ai libri, sono diventato adulto e vecchio accanto ai libri per cui non riesco a distinguere e ad avere un’idea chiara sull’uso del libro. Fa parte della mia vita, che altrimenti non saprei dire da dove inizia e dove finisce. Penso che sia bello avere l’opportunità di leggere dove si vuole, come si può, quello che si desidera: il gioco delle variazioni mi appassiona e sicuramente ho dimenticato altri modi di leggere. L’importante è leggere.
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I. Greco è libraia, autrice e ideatrice di Leggimiprima