Gli incubatori del risentimento
recensione di Paolo Di Motoli
dal numero di gennaio 2016
Renzo Guolo
L’ULTIMA UTOPIA
Gli jihadisti europei
pp. 175, € 14,50
Guerini e Associati, Milano 2015
Migliaia di cittadini europei combattono in Siria e Iraq tra le file di gruppi jihadisti come l’Is o Jabhat al Nusra locale prolungamento di Al Qaeda. Molti di questi giovani aderiscono allo jihadismo inteso più come ideologia che come religione. Molti di loro non conoscono neppure i fondamenti dell’islam ma sono disponibili a entrare in gruppi terroristici che portano distruzione e morte in Europa come accaduto di recente. Per i giovani di origine europea si potrebbe parlare per certi versi di adesione a una forma di “radicalizzazione” che usa il sistema di valori della religione come le ideologie politiche del Novecento utilizzavano i valori patriottici o quelli egualitari per diffondersi nel mondo. L’ultimo libro di Renzo Guolo affronta con gli strumenti classici della sociologia qualitativa i temi al centro delle cronache in questi giorni. Renzo Guolo insegna sociologia dell’islam all’Università di Padova e da anni affronta sostanzialmente due temi: l’islam radicale e i musulmani in Europa. Il suo interesse per l’islamismo è figlio della prima grande ondata islamista della fine degli anni settanta che lo spinse a perfezionare i suoi studi a Parigi.
Il libro si compone di nove capitoli. Il primo analizza la costruzione ideologica dell’islamismo che, quasi come una riforma o uno scisma religioso, trasforma il jihad in un imperativo non più comunitario ma individuale. Bisogna ricordare che l’obbligo di combattere (nel senso dei militanti islamisti) non è un pilastro dell’islam. Il secondo affronta la difficoltà di ingabbiare in un profilo tipo il foreign fighter europeo fatta eccezione per la Francia, che produce jihadisti banlieusard e jihadisti della classi medie dove prevalgono le donne (terzo capitolo). La stretta operata dai servizi di sicurezza, avverte l’autore, ha cambiato i luoghi della radicalizzazione che non sono più rappresentati dalle moschee. Questi edifici di culto non sono più un luogo di proselitismo e reclutamento. I leader religiosi radicali non fanno più professione aperta della loro ideologia all’interno della moschea proprio per sfuggire ai controlli della sicurezza: nelle moschee radicali si arriva per reti amicali e il reclutamento avviene ai margini del luogo di culto. Un aspetto che sembra caratterizzare questa generazione del fronte esterno (la Siria) e interno (il ritorno in Europa) è quello del “mimetismo”. La barba lunga e il qamis hanno lasciato il posto a volti glabri. Il teorico Abu Musab al Suri invita nel suo manuale consultabile in rete alla dissimulazione (solitamente utilizzata dagli sciiti) per poter colpire meglio e a sorpresa. Gli stessi gruppi terroristici sono cambiati, si sono ridotti, essendo composti per lo più da amici e parenti (che non hanno un vero capo e sfuggono ai tentativi di infiltrazione) oppure ci troviamo a volte di fronte a un “jihad individuale” portato avanti da “lupi solitari” che provengono dalla devianza e hanno compiuto ripetuti soggiorni in carcere dove hanno incontrato la religione in versione radicalizzata. Si tratta insomma di un jihad senza leader.
La Francia repubblicana e la banlieue dove cova il risentimento
Proprio il capitolo sul paese transalpino risulta ben costruito e ricco di informazioni utili per chi riflette sulla devianza e sul terrorismo. Il capitolo si intitola Dalla République allo stato islamico e affronta il tema della devianza e del fallimento delle politiche più repressive nei confronti dei ragazzi della periferia di origine musulmana. Una delle chiavi di volta per comprendere l’esasperazione del confronto è la presenza di una cultura coloniale, sia per chi l’ha subita che per chi in qualche modo rappresenta coloro che l’hanno realizzata. Il modo di pensare, le battute e gli insulti evidenziano a volte questa cultura profonda che genera odio e mancata integrazione con i valori della Francia repubblicana. Guolo segnala poi che dopo le rivolte del 2005 si è arrivati a concedere ai poliziotti vittime di offese verbali o fisiche, il cosiddetto reato di onore, di costituirsi parte civile personalizzando la relazione tra individuo e corpi dello stato. I processi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale con la conseguente azione di risarcimento danni cui sono costretti i ragazzi africani o magrebini colpevoli di offese trasformano le aule di tribunale in spazio pubblico dove emerge la condizione dell’emarginato di periferia. Le somme in denaro richiesto gettano poi questi giovani in una spirale di povertà, disoccupazione, abbandoni scolastici, criminalità e devianza che passa per le aule di tribunale e continua nelle carceri. La personalizzazione del rapporto con la polizia produce esasperazione dei conflitti trasformando le banlieue in incubatori di risentimento. In questo contesto il soggetto solitamente de-islamizzato si re-islamizza in senso radicale.
I giovani francesi riconducibili a organizzazioni islamiste che combattono in Siria e Iraq sono circa 1500 con una età oscillante tra i quindici e i trent’anni. I titolari della citata “scheda S”, che indica soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza, sono oltre cinquemila e questo spiega perché è così difficile controllarli (sono troppi) e prevedere le loro mosse. Guolo ci ricorda poi che questa esplosione di violenza terroristica e il suo sostegno ideologico sono terribilmente resistenti alle sconfitte militari e in caso di eliminazione delle case matte in Siria e in Europa sono perfettamente in grado di clandestinizzarsi entrando in letargo per poi riemergere quando le condizioni lo consentono nuovamente. L’islamismo ha avuto il suo inizio e il suo consolidamento nel Novecento ed è l’ultima grande ideologia o l’ultima grande utopia ancora presente nel ventunesimo secolo e la sua presenza non pare destinata a declinare in tempi brevi.
www.paolodimotoli.it
P Di Motoli insegna nei licei ed è dottore di ricerca in studi europei ed euroamericani