Un sinistro controcanto
recensione di Maria Paola Guarducci
dal numero di giugno 2018
Nicoletta Vallorani
NESSUN KURTZ
Cuore di tenebra e le parole dell’Occidente
pp. 161, € 15
Mimesis, Milano 2017
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Si legge come fosse un’inchiesta l’ultimo libro di Nicoletta Vallorani, accademica ma anche scrittrice che affronta questo viaggio attorno a Joseph Conrad, o meglio attorno al suo personaggio più enigmatico, Kurtz, in maniera “creativa” e con il piglio di chi sta costruendo un percorso che sente vitale, ma che ancora non è chiaro dove porterà. Un percorso conradiano, insomma. Il testo nasce da una serie di domande personali, che però si ricongiungono a quelle di tanti anglisti (Vallorani ha qui il pregio di dare ampio spazio alla critica nostrana) che trovano in Conrad lo snodo imprescindibile per capire non solo l’evoluzione della letteratura inglese dal romanzo vittoriano al modernismo, ma soprattutto la disamina del potere nelle sue fogge meno ovvie.
Per Vallorani Conrad, che inglese non era, e veniva anche da un mondo marginale rispetto a quell’occidente che, Inghilterra in testa, andava spartendosi in modo disinvolto il resto del mondo, serve soprattutto (e urgentemente) per comprendere la contemporaneità. Attraverso la sua scrittura possiamo confrontarci con la costante paura dell’altro su cui si è strutturata buona parte della nostra storia e delle nostre rappresentazioni artistiche e, non ultimo, possiamo leggere anche quei complicati processi che oggi si traducono negli sbarchi tragici sulle coste del Mediterraneo. La paura dell’altro, mista a un desiderio di conoscenza che impasta rifiuto e attrazione, è ben rappresentata in Cuore di tenebra dalla vicenda ineffabile di Kurtz, che l’Europa esplicitamente rappresenta, ma i cui legami con l’Africa sono tanto insondabili quanto platealmente viscerali.
La riflessione di Vallorani ruota attorno all’assunto consolidato che Kurtz non sia un personaggio bensì un’“entità con funzioni relazionali”, qualcosa che di per sé non esiste, che non ha sostanza, ma che assume consistenza nel meta-racconto altrui e germina, dunque, nelle infinite interpretazioni che ciascuna storia su di lui suggerisce. Appunto, un Kurtz che non c’è se non nel rapporto (ambiguo) con l’altro, ma che proprio perché esiste il racconto che lo ha come oggetto, racconto che è per sua natura momento coesivo e relazionale, diventa una figura di cui dobbiamo servirci per misurarci con l’enigma, al di là del risultato che, intuiamo già, non otterremo. Scrivere di Kurtz significa discutere di confini, che diventano oggi non solo entità astratte, ma diritti di inclusione e/o pretese di espulsione.
Cuore di tenebra è la dimostrazione che, come ha compreso la critica postcoloniale da Edward Said a, soprattutto, Simon Gikandi, le humanities arrivano in anticipo sui grandi nodi che le scienze sociali poi studiano e provano a sciogliere, o per lo meno a sistematizzare. Nessun tentativo di riassorbimento di Kurtz né una sua riduzione a parametri chiari e gestibili funziona da parte di Marlow e del lettore: davanti a Kurtz ci si può solo arrendere al dubbio e all’ambiguità, segni della condanna (non del tutto consapevole, secondo Vallorani) del processo imperialista occidentale da parte di Conrad. Kurtz è, così, inquadrato come un profilo utile per dare sostanza al rapporto tra colonizzato e colonizzatore e non è un caso, dunque, che torni in maniera esplicita o in forme solo alluse in una varietà di opere che costellano tutto il Novecento fino ad arrivare a oggi.
Adottando la nozione di “radice rizomatica”, utilizzata da Édouard Glissant in contrapposizione al concetto più esclusivo e meno fecondo di “radice”, Vallorani racconta le propaggini di Cuore di tenebra non solo in ambito letterario – il quarto capitolo è dedicato a The Butt di Will Self (2008), romanzo che dichiaratamente procede da Cuore di tenebra e che però comprime le figure di Marlow e Kurtz nel protagonista, Tom Brodzinski – e non solo nel cinema – molto bella è la disamina dei rapporti tra Conrad e Orson Welles, che rinunciò alla produzione di Cuore di tenebra per poi disseminare le sue suggestioni inquiete in Citizen Kane (1941), Macbeth (1948) e persino nell’Othello (1951) – ma anche in progetti fotografici, come per esempio I Càrmeni: Ritratti improbabili di Mario De Carolis (2015), in cui i primi piani degli “altre”, fissati su specchi di plexiglass, attivano un gioco di rifrazione e contaminazione con l’“Io” che li guarda. Ma il tratto più conradiano della nostra contemporaneità di europei rimane prevedibilmente l’orrore dei naufragi ripetuti, tutti analoghi ma anche tutti eccezionali; un orrore che, nonostante il campanello d’allarme lanciato più di un secolo fa dall’autore polacco, non ha davvero più bisogno della mediazione di Kurtz per risuonare alla maniera di sinistro controcanto, come faceva nella stanza dell’algida promessa sposa di Kurtz contro la menzogna di Marlow, sulle parole dell’occidente oggi.
mariapaola.guarducci@uniroma3.it
M P Guarducci insegna letteratura inglese all’Università Roma Tre