Lingua Madre 2017: intervista a Daniela Finocchi

Narrare il passato per costruire il futuro

Intervista a Daniela Finocchi di Luisa Ricaldone

Daniela Finocchi, giornalista, ha concorso a fondare il Coordinamento contro la Violenza, il Telefono Rosa di Torino, il Centro Studi e Documentazione del Pensiero Femminile. È consulente progettuale di diversi festival letterari e culturali e ideatrice del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, destinato alle donne straniere residenti in Italia, ormai arrivato alla sua tredicesima edizione.

Quali sono stati gli stimoli che l’hanno portata a dare vita a questa importante manifestazione?

L’appartenenza e la frequentazione ai gruppi femministi mi ha da sempre proiettata in un ambiente che riconosco come profondamente mio. Ho avuto molte madri, oltre quella naturale, che attraverso la relazione e l’affidamento non solo hanno contribuito alla mia formazione, ma mi hanno arricchita di una forza che – come scriveva Aida Ribero – mi autorizza a pensare, progettare, realizzare”. Dal punto di vista professionale, mi sembrava poi importante dare voce a chi non è concesso intervenire in prima persona, a chi subisce sempre un filtro, una “traduzione”, un “esperto” che spiega il suo pensiero arrogandosene il diritto. Il tema degli immigrati è affrontato quasi quotidianamente, suscitando spesso accese discussioni, ma raramente si dà voce direttamente agli stranieri, soprattutto se donne. La presenza femminile nell’ambito della migrazione è invece sempre più consistente e imprime al fenomeno una diversa evoluzione non ancora esplorata. Queste riflessioni mi hanno convinta del fatto che fosse necessario uno spazio come il Concorso Lingua Madre, dove venisse esaltato il valore della relazione, della condivisione, dello scambio fra donne, incoraggiando anche la collaborazione nel raccontare e scrivere le proprie storie.

Chi sono e quante in media le donne che ogni anno partecipano al Concorso, che mi pare si sia rivelato e continui a rivelarsi un osservatorio particolarmente favorevole per comprendere la storia della nostra contemporaneità?

Il Concorso nell’ultima edizione ha visto partecipare quasi trecento autrici e nel corso degli anni sono sempre di più giovani e giovanissime a scrivere e fotografare (esiste infatti anche la sezione fotografica, curata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo). Difficile tracciare un profilo delle partecipanti, sono molto diverse fra loro per età, provenienza, formazione culturale. Per questa ragione il Concorso può essere considerato un osservatorio della realtà di oggi: una realtà multiforme, complessa, aperta alla molteplicità. Alcune sono laureate, altre bambine, alcune si avvicinano per la prima volta alla scrittura (e spesso se ne innamorano), altre scrivono da sempre. Non a caso l’appendice con le biografie delle autrici selezionate, che inseriamo ogni anno nell’antologia, costituisce essa stessa un racconto straordinario. Inoltre, anche se il progetto non è teso a scoprire “talenti emergenti”, quasi tutte le scrittrici che sono oggi considerate di riferimento nell’ambito della letteratura italiana interessata ai temi della migrazione sono state autrici del Concorso: da Cristina Ali Farah a Gabriella Kuruvilla, da Laila Wadia a Claudileia Lemes Dias, da Candelaria Romero ad Anna Belozorovich, Rosana Crispim da Costa, Leyla Kalil e tante altre.

Ogni anno, l’editore Seb27 di Torino pubblica un volume che raccoglie i racconti più significativi delle partecipanti; ma numerosi sono anche gli eventi sul territorio e fuori. Ci può tracciare una mappa della ricca costellazione nata intorno a Lingua Madre?

Il Concorso nel tempo è diventato qualcosa di più grande e complesso, svolge oltre cento incontri ogni anno su tutto il territorio nazionale con laboratori, incontri, presentazioni, convegni, reading e tanto altro. Inoltre, dal ricco materiale di narrazioni raccolte sono nati e continuano a svilupparsi tanti altri progetti, spesso per iniziativa delle stesse autrici perché anche questo è il Concorso: luogo di gemmazione. Ecco così video e prodotti multimediali, mostre, spettacoli teatrali tratti dai racconti, la partecipazione a festival internazionali e la collaborazione con le Università. A tutto questo si affianca lo studio e l’approfondimento di temi inerenti la migrazione femminile grazie al Gruppo di studio, formato da docenti italiane e straniere. Da questa attività è nato anche il volume L’alterità che ci abita – Donne migranti e percorsi di cambiamento (Edizioni Seb27, 2015). Attualmente il gruppo sta lavorando su “cibo, donne e nuovi immaginari”. Intorno al progetto si è poi creata una vasta rete di relazioni e una “comunità allargata” che continua a esprimersi e confrontarsi durante tutto l’anno, anche grazie al sito, al blog e ai social.

Il Concorso Lingua Madre evidenzia la centralità del raccontare: “ogni pena può essere sopportata se la si narra, o se ne fa una storia” – aveva scritto Karen Blixen –, e mi pare che i racconti confermino questo pensiero. Può illustrarci in breve i temi, i cambiamenti, le costanti riscontrabili dal 2006 a oggi? 

Il tema dell’identità è sempre molto presente, così il cibo (non a caso uno dei premi speciali è dedicato a Slow Food Terra Madre), il viaggio, la relazione e la memoria ma con un approccio del tutto particolare, perché le donne – pur senza dimenticare le proprie origini – hanno un atteggiamento diverso dagli uomini nei confronti del paese d’approdo: se ne appropriano, lo fanno loro, gli sono riconoscenti, perché casa è dove è la vita.

Sono racconti veri, più che semplici testimonianze, che indulgono poco all’artificio, a volte crudi, violenti, sofferti come le storie che raccontano, altre volte pieni di passione, sentimento, ironia e amore. Mettono in luce quelle “strategie di libertà”, di cui scrive Cristina Borderias, che conducono al cambiamento. Insieme ad esse la speranza e quella forza irrinunciabile del desiderio che spinge le donne verso ciò che sembra impossibile ottenere, come ci insegna Luisa Muraro, e che conduce a una nuova concezione della politica, del modo di affrontare la vita e di viverne gli eventi.  Il pensare delle donne – come abbiamo scritto ne L’alterità che ci abita – e il loro sentire differentemente si sta tramutando in un patrimonio umano universale. Questa è la storia vivente che le migrazioni pongono tutti i giorni sotto i nostri occhi ed è qualcosa di unico e di nuovo. Condividere il mondo è la sfida del nostro presente, possiamo riuscirci solo mettendo in essere la lingua materna.


Daniela Finocchi (a cura di)
LINGUA MADRE
Duemiladiciassette. Racconti di donne straniere in Italia
pp. 284, € 15
Seb27, Torino 2017

lingua madre 2017Coloro che in queste pagine fanno sentire la loro voce sono donne che in tempi e luoghi diversi si volevano mute: straniere o di origine straniera, giovani o vecchie, integrate o carcerate, che nel corso degli anni hanno disegnato, con i loro racconti, una mappa significativa del percorso migratorio verso il nostro paese. Il 2017 conferma la tendenza di passaggi della scrittura verso nuovi temi: non più esclusivamente di difficoltà burocratiche, di nostalgie del passato, dei cibi, dei profumi e della terra lasciata alle spalle si narra; ora a emergere nei racconti sono in prevalenza il lavoro, la scuola, le letture, le tradizioni familiari, l’antropologia, le vicende storiche dei paesi d’origine (soprattutto se governati da dittature o in guerra). E quando si scrive delle difficoltà, esse riguardano piuttosto le incomprensioni linguistiche, talora le problematiche identitarie connesse all’appartenenza a due o più culture, le adozioni, spesso le divergenze nelle relazioni con i propri compagni e compagne di scuola o, se più adulte, le controversie sentimentali. Abbandonate le descrizioni dei terribili viaggi clandestini per mare e per terra, gli spostamenti si svolgono ora spesso a ritroso, si ritorna per vacanze e per rivedere i parenti nei propri paesi, con la sensazione di venire in contatto con una estraneità che però è consapevolmente radice. E questo perché a narrare non sono (solo) più le donne della cosiddetta prima generazione, bensì le figlie, che erano bambine allora, o che già sono nate nel paese d’accoglienza. C’è chi, con la mediazione della memoria, racconta se stessa all’età di sei anni che migra con i genitori, o addirittura chi si immagina il viaggio in gommone compiuto quando era nel ventre materno; chi dà voce all’esperienza migratoria dei genitori e chi ci fa conoscere il ruolo determinante, affettivo e pratico, delle nonne nella crescita dei figli di genitori emigrati. Prospettive nuove si aprono ai nostri occhi attraverso l’abbandono della testimonianza autobiografica diretta e l’adozione di narrazioni in terza persona o di fantasia, non necessariamente legate all’esperienza migratoria, ma espressive di immaginari che pescano nella molteplicità delle culture, nelle vicende di personagge estratte dalle leggende o inventate, nel passato e nel presente. Mentre a disegnare il futuro si affacciano figure di bambine e bambini, in un melting pot sicuramente destinato a svecchiare l’occidente.

luisaricaldone@tiscali.it

L Ricaldone ha insegnato letteratura italiana contemporanea all’Università di Torino