L’evoluzione e le stratificazioni storiche di un concetto
dal numero di marzo 2019
di Enrica Rigo
I Refugee Studies costituiscono ormai, a livello internazionale, un corpo di studi consolidato, il quale ha posto una serie di questioni metodologiche per la ricerca sull’asilo rilevanti sia per la prospettiva delle scienze giuridiche e storiche, sia per quella delle altre scienze sociali. In uno degli interventi considerati fondativi della disciplina, l’internazionalista indiano Bhupinder Chimni ha, per esempio, messo in guardia dall’equivoco, estremamente diffuso, di presumere che i Refugee Studies si pongano necessariamente dalla parte dei rifugiati. Diffusisi a partire dagli anni ottanta, con la crescita del numero dei rifugiati dal Sud verso il Nord del mondo, proprio i Refugee Studies hanno contribuito a creare quello che Chimni ha definito come il “mito della differenza” tra i rifugiati provenienti dal secondo e dal terzo mondo, alimentato dalla fine della guerra fredda. Allo stesso modo, la “svolta” dei Refugee Studies, negli anni novanta, verso gli studi sulle migrazioni forzate – Internationally Displaced Persons –, ha accompagnato, e per alcuni versi legittimato, una nuova agenda politica, imposta degli stati egemonici, la quale ha messo al centro il ricorso massiccio all’umanitarismo come strategia di una governance globale di contenimento della mobilità umana (Agier 2011). L’equivoco che porta a confondere gli studi sui rifugiati con studi a favore dei rifugiati ha origine, secondo Chimni, nel fatto che ogni categoria giuridica non è mai solo uno strumento di inclusione, ma determina sempre anche una forma di esclusione; e questo vale sia per quella di rifugiato, che per quella di displaced person, che per quella di richiedente asilo che per il diritto d’asilo medesimo, e così via. Un ulteriore caveat su cui insistono i Refugee Studies denuncia il rischio di proiettare nel passato, destoricizzandoli, concetti e soluzioni le cui ragioni sono ancorate alla contemporaneità. Seppure la condizione di profuganza sia una costante che attraversa le diverse epoche storiche, non è infatti facile rintracciare linee di continuità rispetto a termini che pur ricorrenti si riferiscono a realtà storiche e sociali diverse; viceversa, così come per ogni storia dei concetti, dietro annotazioni linguistiche differenti può essere necessario ricercare quelle strutture ripetitive che accomunano questioni analoghe. Sebbene, dunque, non sia raro che le trattazioni giuridiche sul tema dell’asilo si aprano con excursus che ne rintracciano le origini nella tradizione greca e romana, e poi ancora in quella medioevale cristiana, la continuità tra queste e il problema dell’asilo in epoca contemporanea non è affatto scontata.
D’altro canto, per rendersi conto sia delle alterne fortune dell’asilo che di come muti il contesto di utilizzo, nonché il significato, dei termini che vi fanno riferimento, sarebbe sufficiente sfogliare i dizionari e le enciclopedie giuridiche degli ultimi 150 anni, le quali forniscono una buona esemplificazione del lessico culturale di quella comunità di interpreti che sono i giuristi. Nell’edizione del 1896 del Digesto italiano, la voce “asilo” esordisce definendo il lemma come “il nome che nei secoli passati si dava a certi luoghi, ai quali si attribuiva il privilegio di mettere al coperto da ogni persecuzione chiunque vi si fosse rifugiato”, e indica poi il “diritto d’asilo” come “l’immunità o privilegio di cui godevano quei certi luoghi od edifizi”. Il rimando è, dunque, alla tradizione classica dell’istituto, fatta poi propria da quella cristiana. Dopo un breve excursus storico, la voce specifica tuttavia che, se durante il medio evo l’istituto era giustificato dalla necessità di proteggere i deboli dai soprusi dei potenti, esso è invece incompatibile con il diritto contemporaneo, nonché “ripugnante” rispetto ai costumi di una società “in cui la legge regna sovrana su tutti i cittadini che sono tutti eguali davanti ad essa”. A essere chiamati in causa, a sostegno di questa posizione, sono addirittura gli strali polemici di Cesare Beccaria, secondo il quale, “L’impunità e l’asilo non differiscono che di più e meno”, sicché “[m]oltiplicare gli asili è il formare tante piccole sovranità, perché dove non sono leggi che comandano, ivi possono formarsene delle nuove ed opposte alle comuni, e però uno spirito opposto a quello del corpo intero della società”.
Se la voce del Novissimo digesto del 1957 non si esprime con la stessa severità dell’edizione precedenterispetto all’asilo, è solo perché questo è ormai relegato all’indagine storica. L’unico istituto trattato come diritto positivo è quello previsto dal diritto internazionale che definisce l’asilo territoriale come “il potere degli stati di accogliere nel proprio territorio – o in luoghi ad esso equiparati – individui sottoposti a persecuzioni da parte di altri stati, offrendo ad essi protezione”, e l’asilo cosiddetto extraterritoriale come “la facoltà, spettante agli stati, di accogliere nelle loro legazioni od ambasciate presso altri stati persone che vengono perseguitate o ricercate nel territorio dello stato in cui si trova l’ambasciata o la legazione”. Potrebbe forse stupire che, sebbene edita nel 1957, la voce non faccia menzione della Convenzione sullo status dei rifugiati siglata a Ginevra nel 1951 e ratificata dall’Italia già nel 1954, né una voce autonoma sui rifugiati sia presente nell’enciclopedia. Le ragioni di questa assenza sono probabilmente legate al fatto che, nel dopoguerra, l’attenzione per i rifugiati internazionali è stata marginale rispetto a quella riservata ai profughi interni o provenienti da territori su cui l’Italia aveva esercitato la propria sovranità, nonché a una narrazione pubblica che ha intenzionalmente teso a rappresentare l’Italia come un paese di transito, dove i rifugiati internazionali non avevano interesse a stabilirsi (Naufraghi della pace a cura di Guido Crainz, Raoul Pupo e Silvia Salvatici, 2008).
È poi necessario tenere presente che nella letteratura internazionalistica asilo e rifugio hanno origini e significati concettualmente distinti (James Hathaway 2012; Guy Goodwin-Gill e Jane MacAdam 2007). Mentre l’asilo indica una facoltà dello stato, alla quale si accompagnano una serie di attività normative e materiali in capo allo stato stesso, “(i)l rifugio è atto individuale del singolo e costituisce il presupposto dell’asilo”. Nelle parole dell’internazionalista Manlio Udina “non esiste asilo senza rifugio, mentre può esservi rifugio, più o meno temporaneo, non seguito da asilo”. Anche questo secondo termine, rifugio, è carico di stratificazioni di senso: l’Oxford English Dictionary ne registra l’utilizzo a partire almeno dal Seicento, in riferimento ai francesi ugonotti rifugiatisi in Inghilterra. La revoca, nel 1685, dell’editto di Nantes, che aveva autorizzato i protestanti a risiedere in Francia, provocò un esodo stimato tra i 300.000 e i 400.000 réfugiés. E non è certo un caso che questo evento venga ricordato, da alcuni, tra i momenti fondativi della tradizione moderna dell’asilo (Mastromartino, 2012), da altri, della costruzione dell’assolutismo (Koselleck, 1959). Il secondo evento che contende la data di nascita dell’asilo moderno alla revoca dell’editto di Nantes è naturalmente la rivoluzione francese, la quale, come ha osservato lo storico Gerard Noiriel, ha stravolto il fondamento concettuale dell’asilo di antico regime in funzione del suo asservimento alla causa nazionale, mutando l’immunità per i crimini comuni in protezione per gli stranieri che, in nome della libertà, venivano banditi dalla propria patria per il ben più nobile crimine di lesa maestà (Noiriel,1991).
Sebbene non vi sia accordo su quale sia la sua data di nascita, i dizionari e le enciclopedie giuridiche sembrano concordi nel ricondurre il problema contemporaneo di asilo e rifugio a una questione di numeri. Lo esplicita bene, tra gli altri, Manlio Udina – la voce è in questo caso quella dell’Enciclopedia giuridica del 1988 – il quale afferma che, mentre per tutta l’antichità, l’epoca di mezzo e la modernità l’asilo ha riguardato singoli individui o gruppi ristretti di individui, nel mondo contemporaneo esso ha assunto i caratteri di un fenomeno di massa. In maniera ben più efficace dei dizionari, sono state, invero, le pagine di Hannah Arendt ad aver colto questo passaggio d’epoca in tutta la sua drammaticità, e a rimarcare come la reazione a catena innescata dalla prima guerra mondiale avesse prodotto “migrazioni di gruppi che a differenza dei loro più fortunati predecessori, i profughi delle guerre religiose, non furono accolti e assimilati in nessun paese”. Arendt non cade certo nell’ingenuità di pensare che le parole del diritto vadano a vantaggio di chi reclama diritti e, come noto, è anzi molto critica verso le categorie giuridiche volte a distinguere l’“autentico rifugiato politico” da colui che non è meritevole di asilo.
L’universalizzazione del rifugio operata dalla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, in luogo dei provvedimenti rivolti ad hoc a specifici gruppi di popolazione, ha pagato il prezzo alto di individualizzare la protezione rendendola una questione di status. L’asilo, inteso come atto di accogliere nel territorio, residua oggi solo in quanto deroga alla prerogativa statuale di chiudere i propri confini imposta dal dovere di non-refulment (non respingimento) unico principio, quest’ultimo, riconosciuto come ascrivibile a una giurisdizione universale, nonché il solo deputato a farsi carico del bisogno più urgente di ogni rifugiato, ovvero, quello che gli venga assicurato l’ingresso al territorio (Hathaway 2012).
enrica.rigo@uniroma3.it
E. Rigo insegna filosofia del diritto all’Università di Roma 3
I libri
James Hathaway, Refugees and Asylum, in Brian Opeskin, Richard Perruchoud, Jillyanne Redpath-Cross (a cura di), Foundations of International Migration Law, Cambridge University Press, 2012
Fabrizio Mastromartino, Il diritto di asilo. Teoria e storia di un istituto giuridico minore, Giappichelli, 2012
Michel Agier, Managing the Undesirables: Refugee Camps and Humanitarian Government, Polity Press, Cambridge 2011 (orig. francese Gérer les indésiderables. Des camps de Réfugiés au gouvernement humanitaire, Flammarion, 2008)
Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, a cura di Guido Crainz, Raoul Pupo e Silvia Salvatici, Donzelli, 2008
Guy Goodwin-Gill e Jane MacAdam, The Refugee in International Law, Oxford University Press, 2007
Bhupinder, Chimni, The Geopolitics of Refugee Studies: A View from the South, “Journal of Refugee Studies”, 1998, vol. 11, n. 4
Gerard Noiriel, La tyrannie du National. Le Droit d’asile en Europe, 1793-1993, Calmann-Lévy, 1991
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, in Edizione nazionale delle opere di Cesare Beccaria. Vol. I, Mediobanca, 1984
Reinhart Koselleck, Critica illuminista e crisi della società borghese, il Mulino, 1972
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Einaudi 2009