Legati in un’unica rete
di Simone Pollo
Philippe Descola
Oltre natura e cultura
ed. or. 2005, trad. dal francese di Annalisa D’Orsi,
pp. 574, € 34,
Cortina, Milano 2021
Fra i molti stati d’animo con i quali i lettori possono terminare la lettura di Oltre natura e cultura c’è sicuramente anche il disorientamento. Non si tratta – sia chiaro – di confusione: il testo di Descola è limpido e lucidamente argomentato. Il disorientamento è da intendersi come la perdita dei punti cardinali che il lettore potrebbe avere avuto sino a quel momento come guida nell’interpretare alcune idee filosofiche, scientifiche e culturali. Sicuramente questo disorientamento è uno degli scopi che Descola persegue con la sua critica del paradigma dualistico natura/cultura. Ebbene, fra i vari bersagli a cui mira il lavoro di Descola c’è il cosiddetto “paradigma naturalista”, al quale è dedicato un capitolo del libro (Le certezze del naturalismo). Avendo frequentato la teoria di Darwin, la biologia evoluzionistica, le scienze cognitive e le filosofie naturalizzate, il lettore potrebbe essere convinto che lo sforzo di naturalizzazione compiuto da queste discipline rappresenti un grande passo in avanti nella sfocatura (se non eliminazione) del confine fra il naturale (inteso qui come “biologico”) e il culturale. La naturalizzazione darwiniana, infatti, sembrerebbe essere – in sé e nelle sue ricadute culturali – la più possente spallata portata, almeno nella cultura occidentale, contro quella barriera. Una spallata che ha fatto saltare ogni distinzione ontologica fra l’umanità e gli altri viventi, riconosciuti tutti – per usare le parole di Darwin nel suo Taccuino B – come “legati in un’unica rete”. Di questa convinzione, inoltre, il lettore potrebbe anche avere trovato conferma nel fatto che una delle nozioni centrali per la critica all’assoggettamento degli animali non umani come semplici cose, cioè quella di specismo (coniata da Richard Ryder nel 1970 e poi ulteriormente elaborata) sia stata resa concettualmente possibile proprio dalla rivoluzione darwiniana e dal suo rendere ontologicamente e moralmente vuota l’appartenenza di specie. Ebbene, leggendo Descola, il lettore potrebbe dubitare che quella spallata debba essere considerata davvero tale e che le pretese di riconoscimento morale (e giuridico) per i non umani argomentati a partire dal rifiuto dello specismo siano davvero rivoluzionari. Il naturalismo darwiniano e l’antispecismo, infatti, sarebbero comunque vittime, anche se in modi meno convenzionali, della discutibile distinzione fra natura e cultura, distinzione che – in questo caso – si riproporrebbe nel tentativo di assimilare all’umano il non umano (il naturale), giacché la naturalizzazione consisterebbe nel riconoscimento di tratti umani al mondo non umano e, in virtù di questo, alla sua valorizzazione. Probabilmente molta biologia evoluzionistica ha scontato (e sconta tuttora) un bias antropomorfizzante nei suoi protocolli di studio del mondo non umano (un fatto che Frans de Waal ha discusso in modo puntuale nel suo Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali? Cortina 2016), ma a Descola si potrebbe forse obiettare che la sua lettura manca di generosità nel riconoscere l’effetto dirompente della biologia darwiniana (e delle sue ricadute) nel ripensare la distinzione fra natura e cultura. E si potrebbe anche obiettare che proprio le scienze darwiniane, con tutti i loro limiti, sono uno strumento utile e potente anche per la conoscenza di quelle civiltà “altre” che Descola usa per mettere in discussione la distinzione fra naturale e culturale. Lo stesso Descola sembrerebbe in qualche modo ammetterlo nel momento in cui, ad esempio, si appella alle neuroscienze per confutare una visione compartimentata della cognizione, la quale non sarebbe in grado di rendere conto dei modi di fare esperienza di quelle altre civiltà.
simone.pollo@uniroma1.it
S. Pollo insegna bioetica all’Università La Sapienza di Roma