Mimmo Franzinelli – Storia della Repubblica Sociale Italiana

Degni alleati dei nazisti

di Dianella Gagliani

Mimmo Franzinelli
Storia della Repubblica Sociale Italiana
1943-1945
pp. XII-640, € 28,
Laterza, Roma-Bari 2020

Il periodo che va dal settembre 1943 alla fine di aprile 1945 ha dato luogo e continua a dar luogo a dibattiti e scontri culturali e politici, essenzialmente in ragione del fatto che in quei mesi si sperimentò – accanto a una spaventosa guerra totale – una guerra civile di estrema ferocia. Non tutti i territori furono coinvolti allo stesso grado, ma comunque potevano esserlo e, dunque, c’è da chiedersi se ci fu qualcuno, adulto, che riuscì allora a sfuggire ai sentimenti di insicurezza assoluta o di vero e proprio terrore così diffusi fra la popolazione. Certo, considerata la politica seguita dalle classi dirigenti italiane, non propense o poco propense a curarsi del benessere dei propri concittadini, non era possibile sfuggire all’occupazione nazista. Si poteva però sfuggire alla guerra civile. Non dimentichiamo che il primo testo diffuso dal Comitato di liberazione nazionale, il 9 settembre 1943, neppure un giorno dopo l’avvio dell’occupazione nazista, chiamava il popolo italiano alla lotta, appunto, di “liberazione nazionale”, contro lo straniero occupante. Non si nominavano i fascisti italiani. Non ce n’era bisogno, perché i fascisti erano scomparsi dopo il 25 luglio, dopo cioè la caduta del regime. E non erano riusciti in quelle settimane né a riorganizzarsi né a liberare Mussolini. Fascismo e Mussolini erano ormai due realtà superate, oltre che screditate. Ma Mussolini e alcuni fascisti ritornarono sulla scena e al governo, grazie alle scelte operate dal Terzo Reich. E non si limitarono a un governo di semplice collaborazione ma, nella loro più gran parte, vollero partecipare alla guerra come pieni alleati della Germania nazista, eminentemente al fine di difendere il progetto di nuovo ordine internazionale che stava loro a cuore. Per ritornare a essere considerati compiutamente alleati, degni della stima dei nazisti tedeschi, si doveva dimostrare di essere in grado di riportare gli italiani e le italiane, non solo ad accettare la prosecuzione della guerra, che invece la maggioranza assoluta voleva vedere finita, ma anche a sostenerla. Si doveva dimostrare all’alleato che la caduta del regime e la firma dell’armistizio con gli anglo-americani erano dovuti a un “tradimento” – del re, di Badoglio, degli alti comandi militari –, non all’impossibilità per l’Italia di continuare la guerra e al collasso vero e proprio del regime. Da qui decisioni e comportamenti che urtavano contro i desideri e i bisogni della popolazione. Da qui anche la violenza illimitata scatenata sia contro gli oppositori veri e propri, sia contro gli stessi civili che non si adeguavano alle richieste della guerra dell’Asse. Fu il fascismo di ritorno a scatenare nel paese la guerra civile e fu dopo la ricomparsa fascista che i testi del Comitato di liberazione nazionale aggiunsero alla lotta contro l’occupante straniero la lotta contro il fascista italiano. Sappiamo come protagonisti a vari livelli dell’ultimo esperimento mussoliniano abbiano teso – fin dai primi anni dopo la fine della guerra – ad accreditare immagini edulcorate di quell’esperimento, a separare una personalità da un’altra, un corpo militare da un altro, ad avvalorare principalmente l’immagine di un Mussolini che “si sacrificava” per il bene dell’Italia e della repubblica sociale italiana come “repubblica necessaria” allo stesso fine.

Primo essenziale merito del libro di Mimmo Franzinelli è di sgombrare il campo da queste “mitologie” che hanno avuto ricadute nell’opinione pubblica fino a noi. Ancor oggi circola l’idea del “bravo italiano” di contro al “cattivo tedesco”, mentre – qui si rileva – i tedeschi erano, dalla maggioranza assoluta dei sostenitori della repubblica sociale, non solo ammirati ma anche ringraziati per quanto stavano facendo per salvare l’Europa dal bolscevismo e dalla liberal-democrazia. Non vittime, dunque, della protervia nazista e neppure del furore partigiano, come si è teso a interpretare la storia dei partecipanti alla Rsi, bensì protagonisti a tutti gli effetti di una terribile stagione di violenza da essi stessi inscenata. Sono pertanto da apprezzare le due tavole che Franzinelli ha inserito sullo stragismo nazista e su quello nazifascista (in cui i massacri coinvolsero i fascisti sotto diversi piani), seguite da una sintetica rassegna degli episodi.

Ora, non tutti gli aderenti alla Rsi si macchiarono le mani di sangue e di torture, ma il contesto in cui erano inseriti e agivano era quello della violenza estrema, specialmente dalla primavera-estate 1944. Eloquenti sono le fotografie che costellano con regolarità la narrazione storica. Ma sulle foto si ritornerà poi, per l’importanza che rivestono nel volume.

Il libro di Mimmo Franzinelli sulla repubblica sociale segue quello, scritto con Marcello Flores, sulla Resistenza italiana (Storia della Resistenza, Laterza 2019, cfr. “L’Indice” 2020, n. 7/8), ne riprende la struttura e, analogamente, è destinato a un pubblico allargato, anziché di addetti ai lavori. Ripercorre le vicende di quei lunghi mesi attraverso grandi quadri, che spaziano dalle scelte governative alla situazione personale di Mussolini; dalle strutture politiche, militari e di intelligence al giornalismo e agli intellettuali, fino al mondo del cinema; dal ruolo della chiesa al caso di singoli ecclesiastici; dai processi ai “traditori” alle rappresaglie più o meno indiscriminate, all’antisemitismo. Giustamente, riguardo all’antisemitismo, Franzinelli nota che esso è stato a lungo trascurato mentre rappresenta un “tratto costitutivo” della rsi e una sua “precisa dottrina d’azione”. A fianco di antisemiti fanatici e ossessionati dal “complotto giudaico” si colloca uno stuolo di dirigenti e funzionari che compie il suo lavoro di espropriazione dei beni e delle vite degli ebrei nella più cinica indifferenza, senza alcun soprassalto di coscienza. Siamo chiaramente di fronte a una italianissima “banalità del male”, un fenomeno che non fu specifico della Germania nazista ma che coinvolse l’intera Europa occupata. Bene ha fatto Franzinelli a dedicare all’argomento un capitolo corposo e a disseminarlo lungo tutto il volume laddove lumeggia singole storie di vita di militanti della Rsi.

Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945 - Mimmo Franzinelli -  Libro - Laterza - Cultura storica | IBSLe biografie sono centrali in questo libro. Si può perfino sostenere che i grandi quadri di cui prima dicevamo si sostanzino fondamentalmente di biografie. Da quelle più a quelle meno conosciute. Sono tratteggiati i percorsi di alcuni ministri o sottosegretari, come Silvio Gai, Carlo Alberto Biggini, Serafino Mazzolini; di intellettuali, come Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti, Ezra Pound, Julius Evola, Gino Boccasile; di esponenti del partito, come Mario Piazzesi, Gino Bardi, Pino Romualdi. E attraverso le biografie di Carlo Silvestri e Nicola Bombacci si contesta la “leggenda” della fascinazione dell’ultimo fascismo “rivoluzionario socialista” subita da ex avversari politici. Un discorso a sé merita l’itinerario, che definire inquietante non è esagerato, di Marco Ramperti, sul quale qui non possiamo indugiare ma che si propone al lettore come significativo della nostra storia nazionale della prima metà del Novecento (e oltre). C’è una grande ricerca dietro ciascuna biografia, e di questa ringraziamo l’autore perché l’insieme di questi ritratti ci restituisce un affresco composito e nello stesso tempo unitario. Non solo. Le biografie consentono di fuoriuscire sia da una immagine demoniaca del fascismo, da una visione tutta nera che non consente distinzioni, sia da una immagine apologetica, quale ci è stata offerta, per molti, da parte del mondo fascista nel post 1945. Grazie all’approccio biografico, i fascisti e i militanti ai vari livelli della Rsi si umanizzano e, proprio per questo, non possono sottrarsi alla responsabilità del loro operato. Va ricordato che, nel ricostruirne la biografia, Franzinelli segue ciascun personaggio per tutto il percorso di vita fino alla Liberazione e oltre. E va osservato che quanti, la maggioranza, riuscirono a sopravvivere alla bufera del 25 aprile e dintorni, non subirono una vera epurazione. Il lettore rimarrà, anzi, stupito nel rilevare come anche gli esponenti più efferati o i più responsabili furono esonerati dal pagare i loro misfatti. La narrazione biografica ha dunque una grande potenza, di per sé, senza la necessità di ulteriori aggiunte, e sfata la leggenda della spaventosa persecuzione subita dagli aderenti alla rsi costruita dagli apologeti nel dopoguerra (fino a noi). Franzinelli fornisce, comunque, anche le cifre più generali accreditate dalle fonti e oggetto già di analisi da parte di Mirco Dondi e Guido Crainz. Un discorso a parte meritano le fonti, tante, e che sono sia pubbliche sia private. Le prime più fredde, se non algide, laddove decretano con linguaggio burocratico l’annientamento dei resistenti o la persecuzione degli ebrei; le seconde più calde, come le pagine di diari personali (una novità assoluta il diario di Silvio Gai) o come la corrispondenza personale, di cui qui assume un rilievo particolare quella di Mussolini con Clara Petacci.

Ritorniamo alle fotografie. Diverse conosciute, altre finora sconosciute, queste immagini hanno un potere eccezionale. Non fanno da contorno al racconto, non sono un sovrappiù, sono esse stesse delle testimonianze che documentano quella storia. Sia nel caso di una foto di gruppo, sia nel caso di una foto individuale, esse conferiscono corporeità sia alle vittime sia ai carnefici, che appaiono come uomini comuni inconsapevoli della propria efferatezza. È un mondo cupo, plumbeo quello che ci viene restituito dalle fotografie, in parallelo e intersecantesi con il mondo cupo e plumbeo che emerge dalla narrazione. Direi che dall’insieme emerga in primo piano l’essenza di mondo militarizzato di soli uomini della Rsi. Le donne, infatti, quando compaiono sono militarizzate e inquadrate come nell’esercito. Emblematico il caso del Saf (Servizio ausiliario femminile), le aderenti del quale hanno introiettato o hanno dovuto introiettare i valori guerrieri del fascismo e presentarsi come delle “dure”. Non c’è allegrezza nelle donne del Saf, non si avverte in loro l’attesa del futuro che caratterizzò le donne della Resistenza, di cui ci parlò già trent’anni or sono Claudio Pavone.

Si può esprimere qualche riserva sull’antisemitismo di Mussolini fin dalla giovinezza. Ma su questo il dibattito è aperto. Se un appunto, invece, si deve fare a questo ampio e documentato lavoro di Franzinelli è l’uso del termine “repubblicano” per indicare il “fascista repubblicano” della Rsi, non foss’altro che per non far levare dalle loro tombe Mazzini, Saffi e Armellini.

dianella.gagliani@unibo.it

D. Gagliani insegna storia contemporanea all’Università di Bologna