Quando ti accorgi delle trappole di un testo
di Mariagiulia Castagnone
dal numero di maggio 2016
Mi era già capitato di tradurre un romanzo di Jonathan Coe, e più precisamente Questa notte mi ha aperto gli occhi, completamente diverso da Numero undici, sia come struttura narrativa, sia come stile di racconto. Tra l’altro, parlando con Coe, ho scoperto che non è uno dei suoi romanzi più amati, anzi ho avuto quasi l’impressione che lo rinnegherebbe se potesse. Ma forse un riscatto è possibile, perché, nel corso del suo ultimo viaggio in Italia, l’autore ha scoperto che sono in molti a portargli il povero Questa notte mi ha aperto gli occhi da firmare, il che gli ha fatto venire voglia di rileggerlo e, chissà, di rivalutarlo.
Tornando a Numero Undici, tradurlo è stata un’esperienza entusiasmante come poche. Direi quasi esaltante, se non temessi di essere tacciata di mitomania. Eppure è la verità; nei pochi mesi in cui ho lavorato alla traduzione, non ho quasi avvertito la stanchezza, mi sono staccata dal computer giusto perché sentivo il bisogno di sgranchirmi le gambe (e non perché fossi sopraffatta dalla noia, come capita a volte), o perché ero a caccia di una parola o di un giro di frase e – i traduttori mi capiranno – la caccia è più fruttuosa se ci si muove. Personalmente, uno dei momenti in cui lo sblocco avviene con più facilità è quando apro lo sportello del frigo.
Devo dire che anche mentre lo leggevo ero stata catturata. Mi erano piaciute tutte quelle storie intrecciate; mi aveva divertito, come sempre, la sua straordinaria ironia, il piglio scanzonato, l’amore per il grottesco; mi ero sentita coinvolta, e molto, dai risvolti politici e sociali, da una certa rabbia per come va il mondo, per il divario tra ricchi e poveri, per il cinismo dilagante. Ma nella lettura non mi ero accorta delle molte trappole di cui era disseminato, dei pun, dei giochi di parole, dei cambi di vocale o di consonante e altre amenità enigmistiche che in alcuni punti hanno reso la traduzione particolarmente laboriosa, ma non per questo meno appassionante.
Citerò un paio di casi. Le due amiche che costituiscono il filo conduttore attorno al quale si snodano le varie storie, Alison e Rachel, si scambiano dei messaggi via Snapchat. Ormai sono cresciute, frequentano entrambe l’università in luoghi diversi, e questo è il loro modo di comunicare. Solo che, digitando le lettere in fretta, è anche facile sbagliare, così un nicest diventa incest. Come l’ho risolto? Non potevo alterare il dialogo e devo ammettere che ho forzato un po’. Ho giocato su innesto e incesto. Un innesto familiare, così Rachel definisce la serata che sta passando con il fratello, diventa un incesto, che familiare è per forza.
Il secondo caso è un altro gioco di parole. Val, la madre di Alison, viene invitata a partecipare a un famoso reality, una sorta di Isola dei famosi. È un ospite di ripiego, si sente delusa, e ha l’impressione di aver fallito il suo scopo: quello di ritornare in auge, di riguadagnare quella notorietà di cui aveva goduto per una breve estate della sua vita, quando il complesso in cui cantava aveva vinto Top of the Pops, una famosa trasmissione televisiva. Chiacchiera con un’altra concorrente, la giovane, bellissima e ignorantissima Danielle, e si lamenta un po’. Così Danielle le dice che per lei arrivare lì deve essere stato a bit of a damp squid. Ma c’è un errore, l’espressione corretta è damp squib, che letteralmente significa petardo bagnato, ma viene usata per esprimere una delusione, qualcosa che va storto. Naturalmente Val la corregge. Ci ho messo un po’ a trovare una soluzione che fosse anche lontanamente all’altezza. Ne ho sfoderate una decina, ma non ero soddisfatta. La schiarita è arrivata parlando con mia figlia (sì, a volte mi capita di ossessionare i miei cari con qualche problema linguistico). È a lei che devo quel buco nell’acqua che diventa bruco nella bocca di Danielle.
Ma questo è solo uno degli aspetti, e forse nemmeno tanto rilevante, di quello che è stato tradurre Numero Undici. Anche perché, nelle cinque storie che lo compongono, lo stile di Coe varia volutamente, quasi adattandosi al racconto. È stato un piacere seguirlo, trovare il modo migliore per rendere la sua prosa ricca, curata, cogliere le sfumature delle parole, la rotondità delle frasi. Il fatto è che Coe è un ottimo scrittore, e tradurre un ottimo scrittore è una sfida che lascia sempre appagati.
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M. Castagnone è editor, direttore editoriale e traduttore