di Vito Santoro
Igort
Quaderni ucraini
Le radici del conflitto
pp. 186, € 20,
Oblomov, Bologna 2021
Quaderni russi
Sulle tracce di Anna Politkovskaja
pp. 176, € 20,
Oblomov, Bologna 2021
Il graphic journalism è una forma di giornalismo che si avvale delle potenzialità narrative e della forza visiva del fumetto. Sotto questa voce vengono rubricati graphic novels, in cui l’oggetto della narrazione non è la finzione, ma la cronaca di avvenimenti legati all’attualità e alla particolare situazione socio-politica di questo o quel paese, la ricostruzione di eventi controversi della storia più recente, resoconti di viaggio, biografie e battaglie di impegno civile. Può essere in sostanza considerato come il corrispettivo su carta stampata, o se vogliamo in digitale, di quello che nel cinema è il cosiddetto documentario di creazione, cioè quel documentario dove la veridicità del racconto è sottolineata e rafforzata dalla manipolazione narrativa. Più che una teoria, una tendenza o una scuola, il giornalismo a fumetti è dunque una pratica, spesso suggerita dalle circostanze o adottata istintivamente dall’autore.
Capolavoro assoluto del genere è il dittico, più volte ristampato (l’ultima edizione risale allo scorso anno per i tipi di Oblomov), che Igort, pluripremiato cartoonist e regista cinematografico, ha dedicato ai paesi dell’ex Unione Sovietica, risultato di un lungo soggiorno tra Ucraina, Russia e Siberia, intorno al 2008. Due Quaderni, due reportage disegnati: Quaderni ucraini. Le radici del conflitto, incentrato sull’Holodomor, cioè la terribile carestia che colpì l’Ucraina tra il 1932 e il 1933, causata dalle politiche del regime sovietico, e Quaderni russi. Sulle tracce di Anna Politkovskaja. Un lavoro che nel suo insieme si rivela uno strumento utile per l’analisi dei complessi fenomeni che hanno condotto, nei decenni, all’odierno conflitto in Ucraina, la più importante crisi politico-militare su suolo europeo del XXI secolo, esemplare di quanto la Russia sia anacronistica nella sua visione di politica estera. Un monumento fatiscente di quello che fu. Grosso e ingombrante, lentissimo e corrotto, un paese in cui la libertà di espressione è punita con il carcere duro, la Siberia, o, come nel caso dei tanti giornalisti assassinati, con la morte.
Strutturato in brevi capitoli, Quaderni ucraini cerca di rispondere alla domanda che campeggia fin dalla prima tavola: “Come è stata la vita durante e dopo il comunismo da queste parti?”. È questo il punto di partenza di un viaggio nella memoria collettiva di un popolo. “Ho teso – scrive Igort – l’orecchio ad ascoltare le storie e ho deciso di disegnarle. Semplicemente non ce la facevo a tenermele dentro, neppure io. Sono storie vere, di persone incontrate casualmente, per strada, cui è toccato in sorte di nascere e vivere stretti nell’abbraccio della cortina di ferro”. Dunque un viaggio nel passato attraverso vite esemplari. Le vite di chi ha vissuto la dominazione nazista e ha attraversato il comunismo. Ogni testimonianza è disegnata su tavole a colori con fondo ingiallito, divise in tre strisce composte da una o due vignette. Così leggiamo della violenza del regime, della desolazione e della solitudine dei poveri, come Serafina Andreyevna, nata nel 1928, che racconta come durante la carestia “il pane si faceva con il fieno” e il foraggio veniva usato anche per le polpette; degli uomini che uscivano di notte nei boschi per cercare radici; dei bambini che restavano chiusi in casa per sfuggire ad atti di cannibalismo. Tra una storia e l’altra, raccontata dalla voce dei protagonisti (ogni intervista riporta alla fine la data della registrazione), Igort colloca pagine con schizzi in bianco e nero di varia grandezza, accompagnati da dati statistici e da annotazioni storiche, a creare un’alternanza tra il racconto immediato, soggettivo ed emotivo, e la freddezza e il rigore dei dati storici.
Quaderni russi inizia invece con una pagina seppiata. Su di essa campeggiano una Makarov IZH con silenziatore – il modello di pistola con cui il 7 ottobre 2006 fu freddata all’ingresso della sua abitazione moscovita, la giornalista Anna Politkovskaja, la quale pagò, come è noto, con la vita le sue inchieste sui crimini di guerra russi in Cecenia – e un breve testo – sette righe – in cui spicca il termine “democratura”, neologismo con cui i sovietologici hanno designato la democrazia autoritaria putiniana. È proprio dalla casa della giornalista, davanti all’ascensore in cui fu uccisa (alle cui pareti qualcuno ha dipinto dei fregi natalizi, “rozzamente, alla bell’e meglio”, forse “si è voluto coprire il ricordo di quelle macchie di sangue”) che inizia il secondo tour grafico di Igort nello spazio e nel tempo.
Anche in questo libro l’autore incontra persone, raccoglie storie, documenti e dossier su una guerra atroce, nascosta e dimenticata, e cerca di andare alla radice del conflitto ceceno, un conflitto vecchio ormai di quattro secoli. E l’idea che nelle esperienze delle figure più importanti della storia di un popolo si può rintracciare il senso degli accadimenti del presente, conduce Igort a realizzare splendide tavole che aprono squarci nel passato, come quelle che raccontano la vita di Al Mansur – monaco benedettino giunto nel Caucaso come missionario, che nel 1875 lanciò la sua sfida contro la Russia degli zar – e di Shamil Basaev – leader indipendentista ucciso nel 2006 a 41 anni nel suo rifugio segreto in Inguscezia –, cioè due personaggi di spicco della storia cecena di ieri e di oggi, e quelle che fanno riferimento a due titani della storia russa come Tolstoj e Dostoevskij, di cui viene messo in rilievo il loro rapporto con la guerra e con il potere.
Igort partecipa umanamente al dolore della gente che incontra, quasi a seguire la lezione della Politkovskaja, di cui riprende molte frasi, tra cui questa ci sembra forse la più significativa: “Vedo che le persone vogliono cambiare la propria vita per il meglio, ma non sono in grado di farlo. E per darsi un contegno seguitano a mentire a sé stesse. Per il mio sistema di valori questa è la posizione del fungo, che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno comunque, è praticamente certo, lo coglieranno e mangeranno. Per questo, se si è nati umani, non bisogna comportarsi da funghi”.
vitosantoro@live.it
V. Santoro è critico letterario e saggista