Cristina Cattaneo – Naufraghi senza volto | Libro del mese

Frammenti di corpi umani sulla tolda

di Andrea Casalegno

Cristina Cattaneo
NAUFRAGHI SENZA VOLTO
Dare un nome alle vittime del Mediterraneo
pp. 200, € 14,
Cortina, Milano, 2018

Immo homines (eppure sono uomini): così Seneca a proposito degli schiavi. Ricco e potente in un mondo fondato sulla schiavitù, non gli sfuggiva il nesso che lega tutti gli esseri umani. Cristina Cattaneo, docente universitario e medico legale, conduce dal 1995 “una vera e propria crociata per restituire una storia, un’identità e perfino la dignità” ai cadaveri senza nome. A chi continua a ricordarle, anno dopo anno, che le scarse risorse di cui disponiamo andrebbero investite sui vivi e non sui morti risponde pazientemente che è la sofferenza dei vivi che lei e i suoi collaboratori stanno aiutando: il tormento incurabile di chi “non sa”, e quindi non può né trovare pace né elaborare il lutto, il disagio di chi, e sono molti, senza un certificato di morte si trova di fronte a ostacoli insormontabili, per esempio per adottare un bimbo rimasto orfano. Non c’è umanità senza pietas. Ai nostri morti la concediamo. Cristina Cattaneo risponde a un collega scettico: “Se tua figlia fosse perita in mare, ti metteresti l’anima in pace o non cercheresti di identificare il suo corpo e darle sepoltura”? O i migranti e i loro parenti non sono homines?

Un medico legale si occupa spesso di cadaveri senza nome. Ogni anno, benché le persone scomparse siano regolarmente denunciate, decine di cadaveri ritrovati non si riescono a identificare. Fino al 2012 mancava una banca dati che mettesse in relazione le denunce e i ritrovamenti anonimi. Finalmente un organo centrale, l’ufficio del Commissario straordinario per le persone scomparse, riesce a creare la prima banca dati nazionale. Senza questo strumento non sarà mai possibile dare sollievo all’angoscia della madre che si domanda se la figlia ventenne scomparsa non sia “morta come un cane randagio”. Il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università di Milano diretto da Cristina Cattaneo analizza i corpi delle vittime di mafia e delitti comuni, ma anche reperti archeologici di età antica o medievale, e ancora le vittime di disastri, di incidenti aerei e ferroviari. Più recente è l’incontro con le nuove stragi di massa, i naufragi nel Mediterraneo: una sfida liberamente accettata, che viene ad aggiungersi ai compiti consueti ma che da principio si presenta impossibile.

Il 3 e l’11 ottobre 2013, dopo due naufragi, vengono recuperati dalla Marina 366 cadaveri su più di 600 vittime del mare. Dobbiamo rassegnarci a lasciarli senza volto? Cristina pensa di no. Ma come identificarli? L’impegno e i costi sono proibitivi. Si tratta, recuperati i corpi, di analizzare e schedare ogni minuzia utile all’identificazione, dalle vesti agli oggetti personali, dal Dna a ogni caratteristica fisica ancora riscontrabile: nei, cicatrici, tracce postoperatorie e soprattutto dentatura. Tutti questi elementi, compreso un dossier fotografico, andranno inseriti in una banca dati, per diventare un dossier facilmente consultabile da eventuali parenti. Poi bisogna diffondere la notizia in ogni paese, europeo o di provenienza, in cui si possa presumere che risieda un parente o un conoscente dell’annegato. Infine incrociare le testimonianze dei vivi con i risultati della ricerca autoptica. È come cercare l’ago in un pagliaio. Senza contare che nei paesi di provenienza i parenti dei fuggitivi possono correre gravi rischi.

Ma Vittorio Piscitelli, dal marzo 2014 nuovo Commissario per le persone scomparse, ci crede, e anche i collaboratori del Laboratorio di Milano. L’enorme lavoro è compiuto e, a un anno dal duplice naufragio, si riesce a organizzare un incontro, a Roma, tra l’équipe di Cristina Cattaneo e le prime 19 persone che sono venute da mezza Europa perché ritengono che uno dei loro cari possa essere stato su uno dei due barconi. In un anno e mezzo seguiranno altri 50 incontri. Grazie alla combinazione di tutte le analisi, morfologiche e genetiche, 35 vittime vengono identificate con sicurezza. I cadaveri senza nome cominciano a raccontare la loro storia. Uno zio riconosce nella fotografia suo nipote. Un orfano di quattro anni può essere adottato dai nonni grazie al certificato di morte della madre. Una studentessa modello, che aveva vinto una borsa di studio in un’università europea, si era imbarcata, mentre avrebbe potuto prendere un normale volo, perché in quel caso avrebbe dovuto perdere troppo tempo! I successi non sono molti, ma il modello funziona.

Il 18 aprile 2015, a cento chilometri dalle coste libiche, si capovolge un barcone stipato all’inverosimile. Il governo italiano guidato da Matteo Renzi ha un soprassalto d’orgoglio: quei morti non resteranno in fondo al mare. Immo homines. Spenderemo quel che sarà necessario per recuperarli e cercare di dar loro un nome. Parte un’operazione straordinaria, di cui sono protagonisti la Marina italiana, la Croce Rossa, i Vigili del fuoco, i più vari enti siciliani e, a livello scientifico, il Laboratorio di Milano, molti istituti universitari e molti volontari, per lo più ricercatori. Le dimensioni dell’impresa fanno tremare. Dentro e intorno al relitto, a quattrocento metri di profondità, ci sono circa mille morti. Il barcone è lungo 22 metri, largo 6 e alto 7: quando si capovolge e si inabissa ognuno dei suoi metri quadri contiene cinque esseri umani. La Marina italiana comincia a recuperare i cadaveri intorno al relitto. Ma gli esami scientifici devono essere fatti in fretta. Cristina Cattaneo è raggiunta a Milano da una telefonata che la convoca a Catania per il giorno seguente! I primi cadaveri sono sbarcati e vanno sepolti subito, dopo l’autopsia e le analisi scientifiche necessarie per l’eventuale identificazione. Cristina e i suoi collaboratori partono immediatamente, lavorano giorno e notte e riescono a concludere l’indagine sui primi 13 corpi. Uno è quello del giovane che ha cucito nella maglietta una manciata della terra natia.

L’epopea di Melilli, la base messa a disposizione dalla Marina per lo sbarco e l’analisi dei corpi, comincerà all’arrivo del barcone. Le condizioni del mare rinviano a lungo le operazioni di recupero, che più volte devono essere interrotte. Una volta l’équipe parte da Milano e poi deve tornare indietro. Finalmente, la sera del primo luglio 2017, Cristina Cattaneo, giunta nel campo in cui un immenso lavoro organizzativo ha predisposto ogni cosa, compreso un impianto mobile per la Tac offerto dalla General Electric, che arriva dalla Polonia, vede profilarsi all’orizzonte la sagoma del relitto. Cominciano due mesi indimenticabili di lavoro matto e disperatissimo.

Sono i Vigili del fuoco a recuperare i corpi, ma è Cristina che deve dare le istruzioni affinché una rimozione errata non pregiudichi le analisi scientifiche. La issano sulla tolda. Vede una distesa variopinta “dove ogni macchia colorata rappresenta un frammento di corpo umano ancora vestito”. “Decine di crani sono rotolati a prua”. Nel ventre del barcone è peggio: “un tappeto di sagome umane” quasi tutte in posizione fetale, quattro strati sovrapposti di corpi infestati da larve di mosche. Dopo due mesi di lavoro anche notturno, al quale tutti partecipano con l’entusiasmo di chi sa di compiere un’azione importante per tutta l’umanità, saranno eseguite 528 autopsie, ognuna delle quali dura molte ore. Cristina ha due sogni ricorrenti: una distesa di ossa che si trasformano in sassi e una fila di persone impiccate sul ponte di una nave. Ogni corpo, ogni frammento è catalogato e schedato per i futuri possibili riconoscimenti, compresi 325 crani separati dal corpo. Ottanta corpi hanno con sé i documenti. Provengono da Senegal, Mali, Mauritania, Eritrea, Sudan, Guinea Bissau, Somalia e Costa d’Avorio. Sono quasi tutti giovani maschi. Ma si trova la falange di un bambino di quattro anni. Tra i reperti “un Corano, un rosario buddhista, una croce ortodossa”: l’ecumene dei migranti.

Il Laboratorio di Cristina Cattaneo ha catalogato finora 1484 corpi. Per quanto riguarda il barcone, “siamo vicini a dare un nome alle prime vittime”. Nessuno aveva mai tentato una simile impresa. L’impresa è diventata un libro, che si conclude con pagine e pagine di ringraziamenti alle centinaia di persone che l’hanno resa possibile. Scritto da un medico legale, non ci risparmia particolari crudi ma è un libro vitale, che vuole riportare alla vita la memoria dei morti ingiustamente.

casalegno.salvatorelli@gmail.com

A. Casalegno è giornalista