Partigiani mai celebrati e un intero archivio finito in mani private
di Eric Gobetti
dal numero di febbraio 2017
Nikšić, Montenegro, 9 settembre 1943. Poco dopo l’alba l’artigliere Sante Pelosin, detto Tarcisio, fa partire il primo colpo di cannone contro una colonna tedesca che avanza verso le posizioni italiane. Nelle settimane successive circa ventimila soldati italiani decidono di non arrendersi e di aderire alla Resistenza jugoslava. Andranno a costituire una vera e propria divisione partigiana, la Garibaldi, che combatterà i tedeschi fino alla liberazione. È una scelta di campo consapevole e coraggiosa, che comporterà anche grandi sofferenze: quasi metà dei primi resistenti cadranno vittime del freddo, della fame e di una devastante epidemia di tifo. Si tratta anche di una vicenda unica: fra le unità che tentano di resistere ai tedeschi dopo l’Armistizio, la divisione Garibaldi è la sola a rimanere integra fino alla fine della guerra, grazie alla scelta, sofferta e complessa, di allearsi con i nemici del giorno prima, i partigiani jugoslavi.
La divisione italiana partigiana Garibaldi viene fondata ufficialmente il 2 dicembre 1943 a Pljevlja, nel Montenegro nord-occidentale. Essa combatte per quasi tutto il periodo successivo sul territorio montenegrino, se si escludono alcune puntate in Bosnia, Erzegovina e Serbia. Il suo contributo ha lasciato un ricordo significativo anche nell’attuale Montenegro, dove la memoria dei partigiani italiani è ancora viva e attuale, anche grazie al monumento, inaugurato a Pljevlja nel 1983. È stata allora una grande festa popolare, a cui hanno partecipato migliaia di cittadini, le autorità dello stato, qualche decina di reduci dall’Italia. In rappresentanza della repubblica italiana, è intervenuto Sandro Pertini, il presidente partigiano e socialista (in un paese capitalista), amico personale del maresciallo Tito, all’epoca scomparso da poco più di tre anni. É stata una visita così significativa che oggi, dopo trentacinque anni, la località è perlopiù conosciuta come kod Pertinija, ovvero “da Pertini”.
La storia della divisione Garibaldi è tanto nota in Montenegro quanto sconosciuta in Italia, dove peraltro non esiste un vero monumento a ricordarla. C’è un bassorilievo nel cimitero di Trespiano, a Firenze; un cippo a Pistoia; lapidi a Bologna, in piazza Maggiore, e in altre località minori. Solo nel 2015 è stato fondato, ad Asti, un piccolo museo a essa dedicato. In nessun momento del dopoguerra le politiche della memoria hanno prestato particolarmente attenzione a questa vicenda. I combattenti italiani in Jugoslavia avevano condotto una lotta non nazionale, dal punto di vista delle forze politiche prevalenti nell’immediato dopoguerra, ed erano etichettati come comunisti. Eppure nemmeno il Pci vedeva in loro un simbolo utile, avendo combattuto al fianco di Tito, che, dalla rottura del 1948 con Stalin, era considerato un avversario politico anche da parte dei comunisti italiani. Pure la storiografia ha prestato solo una minima attenzione in tutti questi anni alla vicenda della divisione Garibaldi: domina piuttosto la memorialistica, e le ricostruzioni edite dagli ex-combattenti. Ma come mai?
L’accesso agli archivi, il caso della divisione Garibaldi
Lo storico contemporaneo non vive la fame di documenti che contraddistingue studiosi di età più antiche. Ha fin troppe carte da consultare, conservate in numerosi archivi, in paesi e lingue diverse. La difficoltà sta nell’identificare quelle più rilevanti, e nel dar loro un significato, un’interpretazione coerente. Talvolta però, in rarissimi casi, i documenti mancano, o sono irrintracciabili, rendendo davvero difficoltosa la ricerca. È questo il caso, paradossale, della divisione Garibaldi.
L’ultimo comandante della formazione partigiana si chiamava Carlo Ravnich, o Karlo Ravnić, secondo la grafia utilizzata nei documenti jugoslavi. Era un maggiore degli alpini al momento dell’armistizio, ma viene promosso tenente colonnello in concomitanza con l’affidamento dell’incarico, il 30 giugno 1944. Si tratta di un ufficiale di carriera di origine istriana, che ha lavorato in gioventù come minatore e riscuote le simpatie jugoslave sia per la sua origine proletaria che per la perfetta conoscenza della lingua. Inoltre Ravnich è un ufficiale deciso e coraggioso, che gode del prestigio e del rispetto di tutti: pochi giorni prima della nomina, il 21 giugno, è stato ferito in combattimento ma ha rifiutato il rimpatrio per restare coi suoi soldati. Inoltre la sua scelta partigiana è stata decisa e inoppugnabile: è lui il comandante del gruppo d’artiglieria alpina Aosta, da cui dipende la batteria di Tarcisio Pelosin che spara contro i tedeschi il 9 settembre 1943. Dopo le prime battaglie nella zona di Cattaro, guida con decisione i suoi uomini alla macchia, creando il primo vero e proprio distaccamento partigiano, e adeguandosi all’alleanza con i comunisti pur di lottare contro il nemico nazista.
Ravnich è un uomo solido, fisicamente imponente, concreto, ma non nutre – come invece probabilmente immaginano i generali di Tito – particolare simpatia per la causa jugoslava né tanto meno per quella comunista. È un ufficiale di carriera dell’esercito italiano, ha avuto esperienze in vari teatri di guerra, ha combattuto in Etiopia: la sua fedeltà alla casa Savoia e la sua identificazione con la nazionalità italiana sono fuori discussione. Nel dopoguerra lascia infatti l’Istria per ragioni ideologiche e nazionali. Mantiene per un certo tempo il comando della Garibaldi, trasformata in reggimento, diventando colonnello e poi generale. Passa infine gli anni della pensione in Liguria, a Bordighera, dove muore nel 1996, a novantatré anni.
Gli archivi militari italiani e post-jugoslavi conservano diversi documenti riguardanti la divisione Garibaldi: rapporti con i comandi superiori in Italia e in Jugoslavia, relazioni redatte al rientro in patria e varia corrispondenza fra diverse autorità sul tema della resistenza in Montenegro. Manca però il cosiddetto “diario storico”, redatto da Carlo Ravnich. Che fine ha fatto? L’ultimo comandante della divisione aveva raccolto e riordinato presso la sua abitazione la maggior parte della documentazione riguardante la Garibaldi, creando un vero e proprio archivio storico privato. Negli anni ottanta e novanta alcuni studiosi, tutti ex-commilitoni, avevano potuto condurre le proprie ricerche nel suo archivio, utilizzando quelle fonti fondamentali. Un lavoro che, dopo venticinque anni, oggi, paradossalmente, non si potrebbe realizzare.
Alla morte del comandante, nel 1996, proprio Pelosin, il primo che, agli ordini di Ravnich, aveva sparato contro i tedeschi all’alba del 9 settembre 1943, riceve una telefonata e parte da Torino per recuperare l’archivio, con l’intenzione di donarlo all’associazione dei reduci garibaldini. Pochi giorni dopo si presentano però alla sua porta una contessa e un avvocato i quali, impugnando il testamento di Ravnich, si fanno consegnare il materiale. Fedele alla scelta monarchica, l’ultimo comandante della divisione aveva infatti deciso di cedere il suo archivio alla famiglia Savoia. “Per espresso desiderio di S.E. il generale di C.A. Carlo Ravnich, Grand’Ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro”, c’è scritto nella ricevuta consegnata a Pelosin, “io sottoscritto Domenico Orsi”, intermediario comasco ed ex-commilitone, “consegno oggi alla fondazione ‘Umberto II’”, ente privato costituito in Svizzera da Maria Gabriella di Savoia, “l’archivio storico e statistico della Divisione Italiana Garibaldi (ex Taurinense e Venezia), costituito da: n. 12 volumi in carta pergamena rilegati (…), n. 36 raccoglitori numerati (…), n. 20 fascicoli in carta pergamena”, ecc.
Si tratta di un lunghissimo elenco, un vero e proprio archivio, finito così in Svizzera e non consultabile dagli storici. Non solo io ma anche l’associazione dei reduci garibaldini e addirittura il direttore dell’Archivio centrale dello stato hanno ricevuto risposta negativa ad una richiesta di chiarimenti riguardante le carte della divisione Garibaldi. Non sembra esserci da parte della principessa Savoia l’intenzione di consentire la consultazione di quell’importante archivio.
La lunga ricevuta consegnata a Pelosin termina infine con un riferimento a “22 scatole metalliche contenenti film”. Di cosa si tratta? Sono, con molta probabilità, filmati realizzati in Montenegro nel corso della seconda guerra mondiale. Non si tratta di filmati di propaganda ma di riprese amatoriali, effettuate nel contesto dell’occupazione e in seguito durante la lotta partigiana. Sono immagini girate tra i soldati, durante gli spostamenti o le soste, nei presidi o in mezzo alle montagne, ma comunque sempre in un contesto di guerra. Sono veri e propri combat film, materiale raro, quasi unico, nell’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale.
Ravnich era un tipo originale, tutti lo ricordano così. Appassionato di spiritismo e fotografia, è probabilmente lui a realizzare anche quelle riprese. Non ci sono fonti decisive per affermarlo, ma diverse testimonianze gliene attribuiscono la paternità. Il tenente colonnello Musso in particolare ricorda di aver ricevuto alcune pellicole da Ravnich al momento dell’imbarco per l’Italia: avrebbe dovuto mostrare i filmati agli alti comandi italiani, per indurli ad intervenire più convintamente in aiuto dei partigiani italiani in Montenegro. Nel suo libro di memorie Musso sostiene di aver poi mostrato tali pellicole in una proiezione privata presso il ministero della Guerra, suscitando stupore ma ben pochi effetti pratici. In ogni caso anche quelle immagini, così uniche e straordinarie, sono andate perdute nelle segrete di qualche principesca villa svizzera.
Per salvare dall’oblio questa vicenda storica così singolare rinvio a: Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro, prodotto dall’ Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea – Istoreto.
eric.gobetti@gmail.com
E Gobetti è storico del fascismo e della Jugoslavia
Su RaiStoria, nell’ambito della trasmissione R.A.M., sono andati in onda tre servizi a cura di Eric Gobetti con la regia di Massimo Sangermano dedicati alla divisione partigiana Garibaldi in Montenegro:
La divisione Garibaldi – La scelta