Il finto pene delle iene
recensione di Telmo Pievani
dal numero di aprile 2017
Léo Grasset
IL TORCICOLLO DELLA GIRAFFA
L’evoluzione secondo gli abitanti della savana
ed. orig. 2015, trad. dal francese di Andrea Migliori
pp. 152, € 16
Dedalo, Bari 2016
Questo libro è un antidoto stilistico contro la ripetitività dei lenti documentari naturalistici sulla savana, quelli in cui predatori e prede si sfidano eternamente nello stesso modo, tutti sospettano di tutti gli altri, un’allerta tesa incombe su ogni abbeveraggio, il divorante e il divorando si scrutano, e ogni pianta e animale sembra lì da sempre perfettamente al suo posto, in armonia con il suo dovere evoluzionistico. Léo Grasset, ventottenne inventore del canale Youtube DirtyBiology, smonta le telecamere fisse, toglie i filtri e mescola i linguaggi: ne risulta la savana dal punto di vista dei social network, con tutte le stranezze e imperfezioni dei suoi abitanti, la savana come intreccio di storie da raccontare in un blog, mentre incombe lo spettro della desertificazione e diventa sempre più urgente immaginare una nuova alleanza tra le culture locali e l’ambiente.
Il naturalista e videomaker francese, in una raccolta di brevi saggi pensati nel solco del compianto Stephen J. Gould, smonta pezzo per pezzo il mito dell’ottimalità della natura. Scopriamo così che la corsa casuale a zigzag, in tutte le direzioni, della gazzella di Thomson è la migliore strategia per sfiancare la già corta resistenza del ghepardo. Sfruttare l’aleatorio e la roulette ecologica per non farsi mangiare: la casualità non ci sembra ottimale, ma funziona benissimo se devi sorprendere uno che ti insegue a 90 all’ora, o se non sai dov’è esattamente la fonte di cibo, o se devi disperdere il tuo seme. Dal caso si sprigiona ordine. C’è filosofia nella savana.
L’evoluzione è un “ribollire creativo” in cui le funzioni si sovrappongono: le strisce delle zebre servono per mimetizzarsi, per scacciare i tafani, per disperdere calore o per una combinazione di questi vantaggi? Grasset si prende gioco dell’esempio più scontato e da manuale di evoluzione darwiniana: le giraffe che danno il titolo al libro possiedono da dodici milioni di anni il collo allungato per una funzione alimentare (accedere alle foglie di acacia più alte vincendo la competizione con altri ungulati), ma i maschi usano colli robusti e teste dure anche per battersi l’uno contro l’altro per l’accesso alle femmine, segno che forse anche la selezione sessuale ha avuto un ruolo.
La scrittura da youtuber di Grasset (reduce da un soggiorno di alcuni mesi nel parco nazionale Hwange in Zimbabwe) è lontanissima da quella di Gould, i saggi risentono molto della loro origine in un blog e i casi che sceglie sono quasi tutti già arcinoti, fatta eccezione per i racconti sulla coevoluzione tra le specie ominine e la fauna africana. Le savane infatti sono ecosistemi influenzati da millenni dalle attività umane. In molte parti la miscellanea di curiosità dalla savana non ha un filo conduttore, ma ogni saggio è corredato da utili bibliografie e l’effetto complessivo è comunque gradevole, soprattutto quando elenca gli spassosi errori etologici contenuti nei film d’animazione di maggior successo che hanno come protagonisti gli animali della savana. Del resto, le stranezze delle strategie di sopravvivenza sono tali e tante (la climatizzazione nei termitai, le decisioni di gruppo, i corteggiamenti in stile pop-art dell’uccello giardiniere, gli adattamenti opportunisti degli animali agli ambienti antropizzati, l’aggressività parossistica del tasso del miele, gli scarabei stercorari che si orientano tramite la Via Lattea) che è rischioso tentare teorizzazioni automatiche quando ti trovi nel mezzo della savana. Gli scambi di tratti tra maschi e femmine illustrano bene questo principio.
Singolari inerzie evolutive
I maschi umani hanno i capezzoli, che non servono a niente (già se l’era chiesto un perplesso Charles Darwin), essendo un residuo del processo di sviluppo (i capezzoli compaiono prima dei caratteri maschili, quindi anche i maschi per simmetria, o vincolo di sviluppo, si tengono i loro innocui capezzoli). Le iene femmine fanno l’inverso, esibendo un finto pene che simula in tutto e per tutto quello maschile: forse è un eccesso ormonale andato troppo per le lunghe o l’effetto di una selezione competitiva tra le femmine. Tutta diversa è la storia delle corna (tipicamente maschili) possedute anche da bufale, mucche e altri bovidi di grandi dimensioni: in questo caso un tratto maschile è stato trattenuto dalle femmine per funzioni di difesa dai predatori.
Ecco allora che l’utile e l’inutile si mescolano nell’evoluzione. Un tratto inutile (i capezzoli maschili) si conserva per correlazione genetica e viene tollerato in quanto non costoso, oppure viene riutilizzato per svolgere una nuova funzione (le corna femminili come difesa). Osservando i tratti vestigiali e le tante inerzie evolutive, Darwin aveva commentato che la natura gronda di inutilità, ulteriore riprova che il disegno intelligente non esiste. Nessun progettista intelligente, infatti, avrebbe mai concepito l’esistenza di alcuni mammiferi di grossa taglia particolarmente idioti e sleali, appartenenti alla specie auto-nominatasi Homo sapiens (nata nella savana duecento millenni fa), che ancora nel XXI secolo organizzano battute di “caccia sportiva” al leone per il solo gusto di farsi fotografare con il felino sotto i piedi. Va benissimo anche il rap naturalistico di Grasset per ricordarcelo.
dietelmo.pievani@unipd.it
T Pievani insegna filosofia della biologia all’Università di Padova