Serrature biologiche e psicologiche
recensione di Alberto Oliverio
dal numero di dicembre 2017
Beau Lotto
PERCEZIONI
Come il cervello costruisce il mondo
ed. orig. 2017, trad. dall’inglese di Giuliana Olivero
pp. 332, € 25
Bollati Boringhieri, Torino 2017
Che differenza c’è tra ciò che vediamo e ciò che percepiamo? In altre parole, la “cosa in sé”, l’esistenza oggettiva indipendente dal nostro sguardo è vera o è un’illusione? Com’è noto questa domanda ha ossessionato filosofi e scienziati sin dai tempi di Platone e ha anche appassionato Johann Wolfgang Goethe, autore di una teoria dei colori che puntava a spiegare diversi aspetti della realtà visiva. Oggi, le neuroscienze cognitive ci aiutano a rispondere a questo antico interrogativo, a chiarire la differenza tra realtà e percezione, tra ciò che l’occhio vede e la rappresentazione che ne dà il cervello.
Molti ritengono – ingiustamente – che il nostro cervello abbia accesso alla realtà in modo oggettivo ma la situazione è ben diversa come indica, ad esempio, una brillante ricerca svolta da un’artista concettuale francese, Sophie Calle, a partire da un celebre quadro di René Magritte, il pittore surrealista. Nel dipinto, una donna nuda e insanguinata giace su un letto, l’assassino è ancora nella stanza e tiene lo sguardo rivolto verso un grammofono a tromba, tipico dei primi decenni del Novecento. Dietro di lui tre uomini lo spiano da una finestra che si schiude su un paesaggio di montagna, mentre in primo piano due figure identiche gli tendono un agguato. La scena, arricchita da altri dettagli ambigui, come una valigia posata sul pavimento, è una delle prime opere appartenenti al surrealismo di Magritte, e oggi esposta al Museum of Modern Art di New York. L’assassino minacciato, questo è il titolo del dipinto (1926), è un’opera che non riguarda soltanto il campo dell’arte ma anche il modo in cui la nostra mente percepisce la realtà. Infatti, Sophie Calle chiese al personale del museo di descriverle il quadro di Magritte che in quel momento non era presente a causa di un prestito. Le testimonianze delle diverse persone appartenenti allo staff del museo rivelarono come la percezione, e di conseguenza la memoria, non sia una foto della realtà ma una sua interpretazione fortemente legata all’esperienza individuale. Una persona ricordava soltanto due uomini con un abito nero, un’altra delle gocce di sangue, un’altra ancora – uno dei conservatori del museo – spese poche parole sullo stile del dipinto ma descrisse minuziosamente le sue dimensioni, lo stato di conservazione dei colori, le dimensioni della cornice; e un altro ricordò un dettaglio, il paesaggio montano su cui si spalanca la finestra.
Detto in poche parole, ognuno di noi percepisce e ricorda più vivamente solo alcuni particolari della realtà, caratteristiche che hanno a che vedere con esperienze precedenti, emozioni, propensioni fortemente individuali ma anche trappole cognitive. È quanto ci dice un neuroscienziato inglese, Beau Lotto, in un affasciante libro, in cui il lettore viene condotto per mano attraverso il complesso mondo della percezione e partecipa a una serie di esperimenti percettivi, grazie alle figure e a un taglio molto originale del volume che induce il lettore a rendersi conto che ciò che vede passa attraverso complessi filtri e distorsioni. Lotto, che tra l’altro ha realizzato un’installazione artistica allo Science Museum di Londra sui temi della percezione, ha il grande merito di fondere scienza e narrazione, dati che riguardano l’occhio e il cervello, ovverosia visione e percezione, e storie improntate alla realtà quotidiana o alla cronaca.
Un aspetto originale del libro è quello di essere disseminato da “trappole percettive” che, molto spesso, sono agganciate al mondo dell’arte: ad esempio ai movimenti d’avanguardia dei primi del Novecento capeggiati da Kazimir Malevič autore del celeberrimo Quadrato nero e dell’ancor più noto Bianco su bianco. Per Malevič, “solo la sensibilità è essenziale, l’oggetto in sé non significa” e Beau Lotto sottolinea come il dipinto in sé non abbia spesso alcun valore rispetto al passato percettivo di chi lo osserva, all’interpretazione cognitiva. L’autore di Percezioni rimanda spesso alle teorie dello psicologo della percezione e neuroscienziato inglese Richard Gregory che operò in stretta consonanza con lo storico e teorico dell’arte austriaco Ernst Gombrich. Secondo i due studiosi, vi sono schemi figurativi che danno all’immagine il valore di una codificazione che elimina il concetto di una visione innocente e “naturale” dei fatti visivi. Le immagini, secondo Gregory e Gombrich, sono chiavi, capaci di aprire certe serrature biologiche o psicologiche. Questo concetto emerge chiaramente dal testo – e dalle immagini – del bel saggio di Lotto: il cervello non è mai un analizzatore imparziale ma, attraverso la sua plasticità, si adatta e percepisce, modificando in tal modo la sua stessa struttura. La scienza della percezione dimostra che abbiamo la possibilità di attribuire nuovi significati a un’esperienza precedente, il che può alterare l’insieme dei nostri significati passati e, a sua volta, le risposte future. Come conclude Lotto, “siamo noi a cambiare ciò di cui siamo capaci”.
oliverio@oliverio.it
A Oliverio è professore emerito di psicobiologia all’Università Sapienza di Roma