Un universo aspro e variegato
recensione di Alfredo Ilardi
Alessandro Carrera
BOB DYLAN
€ 3, starter Doppiozero, 2015
Alessandro Carrera è un incondizionato «dylaniano» e un instancabile «decriptologo» dell’opera di Dylan.
Direttore dei programmi di Italian Studies e di World Cultures and Literatures all’Università di Huston, Texas, dopo La voce di Bob Dylan (2001 e 2011), Chronicles, Vol. 1 (2005), Lyrics (2006) e Tarantula (2007), con questo e-book Bob Dylan ancora una volta indaga il mondo poetico del cantautore di Hibbing, Minnesota. E non lo fa seguendo uno scontato tracciato cronologico, ma zigzagando con agilità attraverso il paesaggio variegato e spesso aspro dell’universo di Dylan. Il risultato è un testo denso di sorprese: in particolare, il capitolo sull’influenza di Brecht nella poetica del cantautore, quello sui fans, costruito intorno a notazioni anche personali e i capitoli sul rapporto con la religione e la politica, dai quali emerge da un lato un’imprevedibile lettura in chiave di «aspirazione religiosa» di una stagione delle canzoni di Dylan, dall’altro una visione dai toni contraddittoriamente apocalittici della politica. Carrera evoca con sottile umorismo, un poco delirante ma in perfetta sintonia con il personaggio, la personalità e l’opera di uno dei cantautori contemporanei più innovativi e che continua a dominare con la sua poetica la scena della canzone americana.
Il folk song revival
Bob Dylan è figlio del momento più magico del folk song revival degli anni sessanta in America e allo stesso tempo ne impersona la fine. C’è una fotografia scattata al Newport Folk Festival del 1963, oggi esposta al Museum of the City of New York, emblematica di questo revival e della sua futura evoluzione e conclusione. Ritrae il trio Peter, Paul and Mary, Joan Baez, il quartetto The Freedom Singers e Pete Seeger, mentre cantano Blowing in the Wind. Al centro del gruppo, un giovane Bob Dylan, quasi schiacciato tra tanti interpreti storici della canzone popolare americana.
Se gli anni sessanta hanno visto lo sbocciare di una nuova era della cultura e del canto popolare in America, questo risveglio si è preparato gradualmente nel clima infuocato e drammatico delle lotte operaie agli inizi del XIX secolo. Questa atmosfera ha favorito una vasta creazione di canti a sfondo sociale e di protesta a opera principalmente di militanti sindacali.
Primo fra tutti il leggendario Joe Hill, un emigrato svedese, accusato di omicidio a seguito di un’oscura vicenda e fucilato a Salt Lake City nel novembre del 1915. Una produzione di canzoni profondamente radicate nella tradizione musicale anglo-irlandese e in quella autoctona americana, costituita dai canti di lavoro, dai blues, dagli spirituals, dai canti dei cowboys e da quelli militari. Un patrimonio musicale che si è ampliato negli anni tra le due guerre mondiali e la cui consistenza è stata precisata negli anni trenta dal monumentale lavoro di registrazione e di catalogazione di John e Alan Lomax. È l’America raccontata da John Steinbeck in Furore (1939) e nelle poesie di Carl Sandburg, quella dei quadri di Ben Shahn e di Thomas Beaton e quella cantata da un folk singer dell’Oklahoma, Woodie Guthrie, che nel 1940 ne diviene il portavoce con le sue Dust Bowl Ballads (1939) e che ne riscrive provocatoriamente l’inno con This Land is My Land (1940). La generazione di musicisti successiva, i nuovi folksingers, sono una sua filiazione; tuttavia uno tra essi, Pete Seeger, si distingue nettamente dal gruppo. Fino alla sua scomparsa nel 2014, è rimasto ostinatamente fedele al principio dell’uguaglianza e della dignità di tutti gli esseri umani e ha personalmente proclamato questa convinzione ogni qualvolta questi ideali rischiavano di essere calpestati. Negli anni cinquanta, il movimento della canzone popolare entra in una fase di transizione, perde d’impatto politico, avviandosi però verso un inaspettato successo di pubblico. Il superamento di questo periodo si manifesta sull’onda dei profondi cambiamenti operati nella cultura americana, tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, dai movimenti per i diritti civili e le proteste giovanili di opposizione alla guerra in Vietnam. Questi movimenti costituiscono l’humus politico e culturale nel quale germoglia e sboccia una nuova e ineguagliata stagione della canzone popolare in America.
Se la foto del 1963 al Newport Folk Festival ritrae un Bob Dylan allineato con i più tradizionali interpreti del momento, già nel 1965 lo stesso festival assiste a una sua controversa apparizione con chitarra elettrica, che infrange clamorosamente i canoni interpretativi della canzone popolare, inaugura il folk rock e annuncia la fine del folk revival. L’impegno sociale sintetizzato dalla canzone folk tradizionale è sostituito dalla quotidianità urbana delle problematiche individuali anticipando un realismo poetico tutt’ora in evoluzione.
alfredoilardi@hotmail.com
A Ilardi ha lavorato sulla proprietà intellettuale per le Nazioni Unite