In diretta dal Festival di Cannes 71: i film italiani

Raffinatezza e coraggio

di Grazia Paganelli

Lo si trova in tutte le sezioni di questo denso festival di Cannes, ed è attuale e convincente. Il cinema italiano in programma sulla Croisette, infatti, si è ritagliato uno spazio che ci parla della raffinatezza del cinema e del coraggio di temi non sempre semplici e non sempre popolari.

La selezione della Quinzaine des Réalisateurs

Si pensi a Stefano Savona e al suo documentario La strada dei Samouni  girato alla periferia rurale di Gaza City, dove la famiglia Samouni si sta preparando a celebrare un matrimonio. La prima festa dall’ultima guerra, durante la quale Amal, Fouad, i loro fratelli e cugini hanno perso i genitori, le case e gli ulivi. Il quartiere in cui vivono ora è in fase di ricostruzione e loro ripiantano gli alberi e arano i campi, ma sono dei sopravvissuti e il compito più difficile, ora, è quello di ricostruire la propria memoria, andata perduta, anzi, estirpata con la violenza e sopraffatta dall’urgenza della ricostruzione. Attraverso i loro ricordi, Stefano Savona (ma con l’inserimento essenziale dell’animazione di Simone Massi) cerca di realizzare un ritratto di questa famiglia prima, durante e dopo l’evento che ha cambiato le loro vite per sempre.

Stefano Savona La strada dei Samouni

La strada dei Samouni, di Stefano Savona

La Quinzaine, che quest’anno compie cinquant’anni, ospiterà anche il nuovo film di Gianni Zanasi Troppa grazia, con Alba Rohrwacher, Elio Germano e Giuseppe Battiston, e il cortometraggio La lotta di Marco Bellocchio: lungo il fiume Trebbia in una giornata d’estate si vede in lontananza una pattuglia di soldati nazisti, inseguono Tonino, partigiano al quale non resta che tuffarsi nel fiume. La fotografia è di Daniele Ciprì, la musica di Nicola Piovani.

Lazzaro felice e Dogman, film italiani in concorso a Cannes

E due sono anche i film italiani del concorso: Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, e Dogman di Matteo Garrone, entrambi accolti con opportuno entusiasmo da parte della critica. Per Rohrwacher, in particolare, si definisce con questo film l’approdo a una dimensione filmica cercata nei due precedenti lungometraggi (Corpo celeste e Le meraviglie) e trovata a partire proprio da una libertà poetica compiuta e solida. Basterebbe “leggere” il manifesto, disegno naïf che raffigura il protagonista nel suo stare placido e inerme, protetto dal lupo e da un’aura tutt’intorno di sospensione. È felice Lazzaro nella piccola comunità di contadini in cui vive, “proprietà” di una marchesa dispotica, che li sfrutta approfittando della loro ignoranza. Non sanno che il mondo oltre il ponte crollato da molti anni, prevede vite più vere e città e un’organizzazione sociale diversa. Non meno crudele, certo, perché individualismo, povertà, rapacità e marginalizzazione non sono più facili da sopportare dell’inconsapevolezza, anzi, privano la vita di quella innocenza che Rohrwacher ricerca da sempre. Viene in mente The Village di M. Night Shyamalan, solo che qui il passaggio dal microcosmo protetto e fuori dal tempo si consuma al contrario, con l’irruzione del contemporaneo nell’isola (in)felice dei braccianti, la loro dispersione ai margini della città e l’incontro col sapere, mentre Lazzaro, caduto in un dirupo vi precipita anni dopo, risorto per intercessione di un lupo, eppure felice nella sua purezza. Favola semplice e densa di riflessioni umane e sociali, rappresentazione del grande inganno del progresso, che resta ancora idea fertile da sviscerare, contraltare del mondo magico di cittiana memoria.

Alice Rohrwacher Lazzaro felice

Lazzaro felice, di Alice Rohrwacher

Matteo Garrone, invece, in Dogman, precipita i suoi personaggi e la sua storia in un microcosmo senza uscita, periferia indeterminata, che non a caso si affaccia sul mare, fatto di vincoli invisibili ma impossibili da oltrepassare, di gabbie e di un uomo che, al contrario, viola un confine e perde la sua innocenza. All’opposto di Lazzaro, infatti, il dogman Marcello dimentica la sua identità nel non saper scegliere una strada da perseguire, e le conseguenze saranno per lui irrecuperabili. “In origine – spiega Garrone – c’è un suggerimento visivo, un’immagine, un’inversione di prospettive: quella di alcuni cani, chiusi in una gabbia, che assistono come testimoni all’esplosione della bestialità umana”.

Cannes 71: Matteo Garrone - Dogman

Dogman, di Matteo Garrone

Euforia per la sezione Un Certain Regard

Il Certain Regard, invece, ha accolto il secondo film di Valeria Golino, Euforia, storia di due fratelli apparentemente diversi che si ritrovano l’uno di fronte all’altro a osservarsi come in uno specchio, ritrovando nella paura della morte di entrambi quel punto dal quale ripartire insieme. Un film solidamente classico, che gioca abilmente la carta dell’ebbrezza e mette in competizione gli opposti, che si trasformano (come i due fratelli) in segni affini. La commedia come stimolo per andare più in profondità, il coraggio di vivere e il coraggio di evadere, ma anche l’attenzione ai sussulti, le carezze, gli sguardi, i salti nel vuoto, i luoghi comuni. Tutto mescolato con precisione e dosaggio dei tempi. Come quando ci si immerge in mare e il silenzio e la luce via via assumono tonalità diverse.

paganelli@museocinema.it

G Paganelli è critico cinematografico

In diretta dal Festival di Cannes 2018:

L’apertura della 71a edizione

L’Immagine e la memoria