Federica Rovati – L’arte del primo Novecento

Il profilo inquieto dell’ultimo secolo dell’arte

   recensione di Sandra Pinto

dal numero di novembre 2015

Federica Rovati
L’ARTE DEL PRIMO NOVECENTO
pp. XII-282, € 34
Einaudi, Torino 2015

Federica Rovati - L’arte del primo NovecentoUn libro che obbliga a una presentazione sui generis per la formula narrativa scelta dall’autrice. Ha infatti del prodigioso la riuscita nell’esaurire vittoriosamente in pochissimo spazio un tema vasto ed esteso temporalmente anche oltre il primo Novecento, considerato che è il secondo dopoguerra mondiale il termine ultimo trattato dal libro. Ed è bello constatare che dalla “Pbe Arte” Einaudi, collana di divulgazione, alla didattica è concesso un rango che solitamente non le si permette di raggiungere. È questo il rischio che Federica Rovati è riuscita a vincere e per il quale, trattandosi di record, vale la pena, spiegandolo, usare anche i numeri: centosessanta pagine di testo con tredici foto documentarie in bianco e nero, e cinquanta schede di opere, illustrate a colori nella pagina a fronte. La premessa dell’autrice – che non raggiunge la pagina e mezza – spiega con assoluta chiarezza come i sacrificati siano stati artisti pur importanti rimasti senza un ruolo nello specifico dei problemi affrontati, e la proposta metodologica sia stata quella di “aprire il ventaglio dei … sondaggi formali … dentro la generale disparità linguistica dell’arte contemporanea”. “Il profilo inquieto” del periodo resta affidato non all’acquisizione di certezze e al raggiungimento di conclusioni, ma alla ricostruzione ragionevole di problematicità e contraddizioni che in positivo rappresentano una caratteristica dominante del Novecento. Il modello ricostruttivo del periodo in esame risulta da un’analisi svolta in cinque capitoli di poco più di trenta pagine ciascuno. Il primo e l’ultimo confrontano tra loro due opposti, l’uno lo specifico formale, l’altro quello ideologico, mentre i capitoli di centro affrontano il nuovo, i mutamenti, le rotture – in pittura, scultura, realtà oggettuale – nelle modalità in cui vengono vissute da artisti o comunità artistiche, nelle diverse aree geografiche e politiche.

Il primo commento dovuto a questa dichiarazione di intenti, pienamente rispettata in nome di una critica sostanzialmente modernistica di impianto internazionale, è l’esclusione di tutto ciò che di integralmente moderato, di continuità, vive sul piano di una regionalità in senso lato ancora esistente e resistente. Per chiudere la premessa infatti Rovati sceglie, come del tutto aderente al suo proposito, un’affermazione (1938) di Gertrude Stein sul Novecento che indicizza la fisionomia del periodo in quanto epoca in cui tutto si spacca, e che è splendida perché rifiuta ciò che è semplicemente conseguente, così come avviene che “i prodigi della natura” siano “più splendidi dei normali eventi naturali”.

Guardando i capitoli, purtroppo senza poter essere sintetici e completi allo stesso tempo: Avanguardia e tradizione tratta lo scorporo della tradizione antica da quella moderna, i nomi delle avanguardie, i manifesti, i generi, la questione dei ritorni all’ordine. Laboratori della modernità apre sulla città, l’equiparazione tra ciò che è pertinente all’arte e ciò che, al di sotto di essa, riceve l’ammissione al campo artistico, l’atelier e la vita anche pubblica che vi si svolge, i metodi di lavoro e/o l’improvvisazione, l’artista che scrive, i giornali, l’occupazione di spazi teatrali, le mostre mostrate. Superfici e strutture è particolarmente interessante per l’anatomizzazione di colore, segno, parole, montaggio delle immagini in pittura, e per l’analisi della nuova sintassi della scultura, nell’ambito della quale i volumi si confrontano con intersezioni, trasparenze, costruzioni e altre gravitazioni (ad esempio Alexander Calder). La realtà oggettuale: collage, Mario Merz, readymade, oggetti d’affezione e oggetti (surrealisti) a funzionamento simbolico. Propaganda e impegno: forse il più organico dei cinque, con numerosi sottocapitoli tra i quali si segnalano Trappole del mercato, Ambiguità e compromessi, Muri ai pittori, Arte di Stato e arte contro, L’inferno della modernità.

Apprezzabile anche la selezione tematica della bibliografia generale, dopo quella puntuale dei capitoli e i riferimenti delle singole schede, mentre nell’indice dei nomi rilevo l’unica apparente smagliatura nella presenza del nome di Edvard Munch, senza numero di pagina. Lo segnalo però solo per felicitarmi che un grande fenomeno periferico si manifesti al suo posto implicitamente come cinquantunesimo, vale a dire appunto periferico.

andarspinto@tele2.it

S Pinto è soprintendente emerito alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma