Tanta realtà, tanta fantasia
Sfogliando il numero di settembre possiamo cogliere due nodi tematici forti.
Il primo riguarda le riflessioni sulla società europea ed italiana, dopo lo shock referendario nel Regno Unito e nel corso delle discussioni sulla revisione della Costituzione. Le riflessioni di Florian Mussgnug sul referendum e Brexit mettono giustamente al centro la debolezza dell’identità europea e il nostro immaginario sui “valori condivisi”: “Amarezza e preoccupazione sono particolarmente forti tra gli europei che vivono e lavorano in Gran Bretagna, ma a cui non è stato concesso il diritto di votare nel referendum. Vilipesi dalla campagna Leave come un peso per la nazione, molti di loro hanno scelto la Gran Bretagna perché vedevano in questo paese un raro esempio di società aperta e inclusiva, di multiculturalismo e meritocrazia”. Un’idea di paese che sembra essere stata messa in gioco proprio dal referendum e ha dato quindi alimento all’euroscetticismo di cui parla Alessandro Cavalli nell’intervista di Valentina Cera: “L’identità europea non sarà mai un’identità forte come lo sono state quelle nazionali. Almeno, io mi auguro che non lo diventi, che non si formi una ‘nazione Europa’. Però, non deve neppure essere così debole da impedire la possibilità di stare insieme e collaborare a un futuro comune. L’identità si costruisce sulla memoria e sul progetto, sul versante della memoria ci deve essere la volontà di superare le divisioni retaggio del passato (che non solo esistono, ma sono anche ingombranti), sul versante del progetto, manca un’idea di futuro: che ruolo l’Europa vuole giocare nel mondo di domani? (…) L’Ue è una costruzione fondamentalmente intergovernativa e i governi perseguono l’interesse nazionale piuttosto che l’interesse comune europeo. L’anno scorso sono arrivati entro i confini dell’Ue più di un milione di rifugiati, ma a livello europeo non si è riusciti a trovare un accordo neppure sulla collocazione di 40.000. Quale futuro potrà e saprà darsi in questo contesto l’Ue?”.
Intanto in Italia si discute sulla riforma costituzionale, a cui “L’Indice” di settembre dedica due pagine di opinioni contrapposte. Da una parte le ragioni del SÌ sostenute da Annamaria Poggi, secondo la quale, attraverso la riforma, “il sistema delle garanzie viene potenziato: il rilancio degli istituti di democrazia diretta, il rafforzamento dell’iniziativa popolare delle leggi e del referendum abrogativo, il ricorso diretto alla corte costituzionale sulla legge elettorale”. Dall’altra i dubbi di Francesco Pallante, che si pronuncia per il NO alla riforma costituzionale: “Viviamo in un paese in cui il ‘federalismo sanitario’ ha prodotto regioni in cui la speranza di vita media alla nascita è inferiore di 4 anni rispetto alle altre: vogliamo che tali disparità si riproducano anche in altri ambiti? Va, infine, ancora segnalata l’introduzione della ‘clausola di supremazia’, in nome della quale lo stato, riscontrando un preminente interesse nazionale, può avocare a sé competenze altrimenti attribuite alle regioni. È una cosa positiva, che la revisione del titolo V nel 2001 aveva inopinatamente eliminato. Ma con una significativa differenza: nella Costituzione originaria, la responsabilità di accentrare la competenza gravava sul parlamento (organo espressione di maggioranza e opposizione: dunque di garanzia); con la riforma, si sposta in capo al governo (organo espressione della sola maggioranza: dunque di parte)”.
Nel caos delle opinioni contrapposte e delle “opinioni ricevute” che conducono ai referendum forse l’unica alternativa possibile è rifugiarsi nell’universo lisergico inventato dal re della fantascienza, Philip K. Dick, di cui Carrère ha tentato di ricostruire la biografia; nel caso di quest’autore, realtà e finzione danno luogo a un incredibile cortocircuito creativo, come ci racconta in un Segnale Luca Bianco: “Dick agli inizi sognava di diventare uno scrittore mainstream, e fece alcuni sfortunati tentativi in tal senso: sono romanzi che si trascinano, come i loro protagonisti, tra crisi matrimoniali, esistenze marginali, macerazioni esistenziali, come quelli di un John Williams qualsiasi. Ma la vera cifra della sua grandezza sta nell’aver scelto, dapprima controvoglia e poi consapevolmente e felicemente, la letteratura di genere, e nel saper trasformare, per esempio, una banale storia di adulterio in un intreccio da cui dipendono, quando va bene, i destini della terra, e, quando va male, i fondamenti stessi della realtà”.
Il secondo nodo tematico del numero di settembre è proprio nel passaggio dalla realtà alla creazione di un universo fantastico. Se Philip K. Dick ha saputo “vedere”, con la lente dell’invenzione fantastica i mondi non così irreali della virtualità alla Truman Show, altri autori hanno letto il mondo attraverso filtri solo apparentemente deformanti: è il caso di Gustave Doré, a cui viene chiesto nel 1869 un reportage sulla Londra contemporanea e lui, inaspettatamente, compone in 180 tavole, come racconta Franco Pezzini, il ritratto di una città impietosa, sordida, poverissima: “In scena non è solo la miseria (che in città, in quegli anni, constatano anche Marx ed Engels) ma la fatica di vivere, l’invecchiamento precoce, le condizioni penose dei bambini. Tutte realtà evocate chiaramente nella narrativa coeva, e non solo da Dickens, ma che l’immagine visiva (tanto più di un artista noto per illustrare i classici con potenza e fantasia) rende persino più scioccanti”. È il medesimo passaggio dalla fotografia della realtà alla deformazione fantastica che troviamo nell’opera La bufera di Sorokin, che racconta la “zombificazione delle masse postsovietiche”. L’autore, intervistato da Roberto Valle, dichiara: “La Russia post-sovietica è un paese di allucinazioni consce e inconsce. Negli anni novanta, dopo il crollo dell’impero sovietico, El’cin non ha saputo seppellire il passato sovietico, affinché il paese potesse intraprendere un nuovo sviluppo come l’Italia o la Germania dopo il 1945. Le allucinazioni sovietiche hanno iniziato un processo di mutazione, si sono intrecciate all’ortodossia, al nazionalismo, al neo-imperialismo e all’euroasismo dando vita ad un mostruoso ibrido. Questo ibrido, come uno zombie uscito dalla tomba, distrugge la morale, la cultura, la politica e l’economia del paese. L’odierna politica russa ha un carattere aggressivo allucinogeno, ed è per questo che l’uomo occidentale fa fatica a comprenderla sotto il profilo del raziocinio”. In definitiva: attenti agli ibridi identitari, che danno sempre luogo a un pensiero autoritario. Usiamo il raziocinio, per distinguere la realtà dalla fantasia e progettare un mondo migliore.
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