La natura sfuggente della realtà
Nel numero di luglio l’intervista di Veronica Orazi di Javier Marías, autore del libro del mese Berta Isla, apre una finestra sulla natura sfuggente della realtà, di tutto ciò che costituisce l’esperienza soggettiva: “Si potrebbe affermare che siamo incapaci di conoscere alcunché, anche ciò che viviamo o abbiamo vissuto. Ci sembra, infatti, di sapere ma non è così. Pensi all’inizio di David Copperfield, quando il protagonista si presenta e afferma di essere nato, ‘così mi fu detto e credo’. Ecco, questo inciso così sintetico e scarno racchiude una visione chiave del reale: ciò che sappiamo – o che crediamo di sapere – è illusorio, si avvicina più a un atto di fede che all’oggettiva nozione degli eventi. E non potrebbe essere altrimenti: ciò che riguarda il nostro passato remoto non lo ricordiamo e assumiamo i dati di questa fase dell’esistenza dagli altri, accettandoli come veri, obiettivi e reali. Quando poi passiamo a una fase di cui conserviamo memoria e di cui crediamo quindi di essere consapevoli, cioè quando possiamo riflettere su un passato che ricordiamo, e persino al presente che stiamo vivendo, questo meccanismo si amplifica, perché nemmeno del presente sappiamo granché, neppure delle nostre stesse esperienze, neanche dei nostri genitori, che vediamo solo come tali, ignorando in fin dei conti chi sono davvero, come sono al di fuori e al di là di quel ruolo. Questo vale per tutto e tutti”.
Il numero di luglio sembra fornire ai nostri lettori un invito a conoscere ciò che può apparire lontano o diverso da noi. In successione, le rubriche del “primo piano” ci consentono di esplorare i territori del gender e delle città, in un mondo soggetto a rapide trasformazioni. Scrive Gabriella dal Lago: “Il 2017 è l’anno in cui il discorso femminista approda nella cultura pop attraverso canali disparati: dal movimento #metoo alle piattaforme di intrattenimento Netflix e Hulu (quest’ultima con la serie The Handmaid’s Tale, tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood). Nell’editoria il fenomeno si presenta sotto una varietà di forme: romanzi, racconti, graphic novel, libri per bambini, saggi si inseriscono con modalità e temi differenti dentro lo stesso discorso, e sono catalogati in bella vista negli scaffali di librerie che sfoggiano l’etichetta di ‘scritture femminili’ (quando non ‘femministe’). È possibile individuare delle costanti in queste narrazioni. Prima tra tutte, una certa somiglianza non solo tra le voci, ma anche tra le biografie delle autrici e dei personaggi rappresentati: donne tra i venti e i trent’anni, colte, indipendenti, esponenti della media o alta borghesia, che vivono una profonda crisi affettiva nel tramonto della monogamia, la crisi dell’istituto familiare e la tendenza all’atomizzazione sociale”. Si tratta dunque di recuperare l’immaginazione e una visione del mondo, come sembra dirci anche Silvia Nugara nella stessa pagina, a proposito del libro L’aurora delle trans cattive. Storie, sguardi e vissuti della mia generazione transgender (Alegre, 2018): “L’aurora narra in prima persona (singolare e plurale) cosa significasse essere trans prima dell’approvazione della legge 164 del 1982 che riconosce e permette il cambio di sesso. Sono anni pionieristici, belli e terribili, in cui il transito non era supportato da specialisti e consultori, si assumevano gli ormoni senza prescrizione medica, trovare un lavoro che non fosse la prostituzione era difficile e non si dava assistenza legale specifica. (…). Poiché trans è un termine ampio, che non si limita a indicare gli attraversamenti da un lato all’altro della frontiera tra maschio e femmina ma significa piuttosto le diverse forme di vita sul confine, il libro testimonia che ‘un altro genere è possibile’ e non risparmia critiche a chi accusa le donne trans di voler ‘scimmiottare la femminilità’”.
Immaginare un altro genere e altri modi di vivere la sessualità è un po’ come attraversare nuovi territori, conoscere nuove città. In due pagine di “Primo Piano” viaggiamo da Tokyo a Gerusalemme passando da Berlino. Scrive Costantino Pes: “Pur trovandosi nel mezzo di una metropoli densa di quindici milioni di abitanti e con un’urbanistica tutt’altro che lineare, lo straniero che frequenta Tokio in genere rimane colpito dalla sensazione di sicurezza ed efficienza che la città trasmette. Il viaggiatore occidentale è in genere accolto con i modi della nota cortesia nipponica, pur nella frenesia di una capitale che è ritenuta piuttosto fredda e spersonalizzata. Alcuni, come i numerosi amanti di manga, anime, cosplay e altri fenomeni della cultura pop nipponica, camminano trasognati nella folla pittoresca di Shibuya, Harajuku e Akihabara, come se vedessero avverarsi il loro sogno estetico. Il tutto condito in una salsa che a noi appare inequivocabilmente giapponese. Ma Tōkyō è davvero così? Quanto riusciamo a cogliere della complessità di questa megalopoli e quanto ci sfugge delle pulsioni profonde di chi ci abita? Il romanzo distopico di Furukawa Hideo Tokyo Soundtrack offre spunti di riflessione non banali in merito”. Enrico De Angelis recensice invece Berlino città d’altri di Luigi Forte: “In questa città, che mette insieme caos e razionalità, si può scegliere fra coltivare le illusioni oppure invocare la morale, fuggire oppure arrendersi. E il lettore può scegliere di far sua questa o quella reazione, questa o quella riflessione, tanto è il materiale che Forte gli offre. Davanti agli occhi passano coloro che a Berlino si sono inseriti quanto meglio non si potrebbe, come Bertolt Brecht, e quelli che non vi hanno trovato posto, come Robert Walser e Franz Kafka; quelli che l’hanno cantata con sentimenti misti e forti, come Belyi e Sklovskij, che l’hanno amata come Marina Cvetaeva e Boris Pasternak, Auden e Isherwood, oppure totalmente ripudiata, come Virginia Woolf e Vladimir Nabokov”. Chiude il cerchio la Gerusalemme descritta nel volume a cura di Vincent Lemire recensito da Piero Stefani: “Gerusalemme fu coinvolta direttamente nella prima guerra mondiale, non così nella seconda, periodo nel quale in città vi fu una calma quasi assoluta. Proprio quando sugli ebrei europei si stava abbattendo la catastrofe più grande, la città dalla storia travagliata restava indenne. Nel corso dei secoli tracce di Gerusalemme sono state disseminate nel mondo intero (in edifici, arredi, mosaici, raffigurazioni, vestigia presenti in moltissimi luoghi), dal 1957 si è assistito, in un certo senso, a un processo inverso: da allora è lo Yad Vashem di Gerusalemme a essere diventato il memoriale per eccellenza della Shoah consumatasi in terra europea. In buona parte a motivo della fede monoteista nella resurrezione dei morti, Gerusalemme è tuttora contraddistinta dalla presenza di un gran numero di tombe ebraiche, cristiane e musulmane; ora la città ha anche un memoriale caratterizzato da milioni di morti privi di sepoltura e divenuto sede di cerimonie istituzionali”. Un percorso per i nostri lettori che vale come una vacanza ma che rende più acuto lo sguardo della nostra osservazione.
Per le pause di relax valgono però molte altre sollecitazioni delle pagine del numero estivo. Nelle pagine letterarie recensioni di Prunetti, Camurri, Comencini, Cendrars e Hanif Kureishi, un bellissimo “Effetto film” di Matteo Pollone su Solo: A Star Wars Story, di Ron Howard e una pagina di Sport con una recensione di Jacopo Turini sul libro su Duncan Edwards di James Leighton e un pezzo di Matteo Fontanone su Andare per stadi, breve saggio di Pierluigi Allotti pubblicato recentemente dal Mulino: “Anche se pensarlo oggi sembra impossibile, è esistito un tempo in cui nel calcio viveva i suoi albori, le gerarchie cui siamo abituati oggi erano ancora di là da venire e le grandi squadre iniziavano ad attrezzarsi per ciò che sarebbe arrivato dotandosi di strutture all’altezza, i grandi stadi della tradizione italiana”.
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