Lo storyboard più raffinato del mondo: intervista a Bruno Bozzetto


L’ipnosi collettiva del film e l’immaginazione libera del fumetto

intervista a Bruno Bozzetto di Andrea Pagliardi

dal numero di settembre 2018

Minivip & Supervip. Il mistero del Via Vai esce a cinquant’anni da Vip. Mio fratello Superuomo. Solo che non è un film, ma un fumetto. Come mai questa scelta?

Sono anni che da più parti mi viene chiesto di riportare Minivip e Supervip sul grande schermo. Io voglio bene a quei due, perciò ho iniziato a lavorare su una storia che li vedeva impegnati in una nuova avventura. Ho coinvolto lo sceneggiatore Nicola Ioppolo (serie tv di Lupo Alberto, La famiglia spaghetti) e finalmente, dopo alterne vicende, quattro o cinque anni fa abbiamo completato la sceneggiatura per un lungometraggio.
Le difficoltà nel trovare i fondi per realizzare il film mi hanno indotto a considerare altre strade, così ho coinvolto Grégory Panaccione, inizialmente per produrre un trailer. Rimasi colpito dallo storyboard che Grégory aveva realizzato per quel trailer: i suoi disegni mantenevano quella freschezza che a me piaceva. Da lì ecco l’idea: perché non realizzarne un graphic novel, impresa assai più abbordabile? Gregory mi pareva la persona più adatta: è bravissimo, ha il tratto giusto, stilizzato e vivace, e ha esperienza sia nel campo dei fumetti sia in quello dell’animazione.
A Grégory l’idea piacque e ne parlò con Barbara Canepa, direttrice della prestigiosa Métamorphose collection che accettò di pubblicarlo. Grégory ha lavorato a una velocità spaventosa e in soli sette mesi ha disegnato e colorato più di 270 pagine (e infatti vogliono ucciderlo perché dicono che rovina il mercato), mantenendo una qualità strepitosa.

Cosa significa adattare per il fumetto i disegni e lo stile di un lungometraggio di 50 anni fa?

In animazione i personaggi sono disegnati a parte su rodovetri, fogli di acetato trasparente che vengono colorati con colori acrilici, mentre le scenografie, almeno nel nostro caso, erano realizzate ad acquarello. La differenza sullo schermo si nota, ma è accettata e, anzi, è uno dei tratti estetici più tipici del cinema d’animazione. Il fumetto, però, è un mezzo narrativo completamente diverso, perciò ogni trasposizione su carta di un film animato rischia di tradire i personaggi o gli ambienti. Ecco, io non so come ci sia riuscito, ma Gregory ha ripreso i colori e il carattere volutamente abbozzato delle scenografie di Giovanni Mulazzani riuscendo ad armonizzarle pienamente con il disegno in stile cartoon dei personaggi, infondendo al tutto un’impronta autoriale e contemporanea.

Come avete lavorato lei e Grégory Panaccione?

Gli animatori vogliono capire come si muove il personaggio, ma tengono a freno la loro creatività. E così deve essere: dal momento che a un film d’animazione lavorano molte persone è importante che lo spettatore non percepisca cambiamenti di stile da una scena all’altra, perciò gli animatori non devono interpretare in modo personale un personaggio. Puoi permetterti maggiore libertà solo se la produzione è piccola e il team è affiatato, come successe a noi con West and Soda e Vip. Mio fratello superuomo. Fu una magia che oggi sarebbe irripetibile per un lungometraggio. Eravamo quattro gatti, discutevamo di tutto e tutto veniva messo in discussione: nuove gag nascevano continuamente e il film cresceva e si trasformava giorno dopo giorno. Ecco, lavorando con Grégory mi è parso che si sia ricreato qualcosa di simile a quello stesso spirito perché eravamo in due a decidere in un clima di creatività continua. Rispetto alla sceneggiatura non è stato modificato molto, ma abbiamo dovuto fare grossi tagli ed eliminare sequenze intere.

Lei però aveva già realizzato diverse strisce, negli anni settanta e ottanta, alcune anche di Vip e Minivip. Come è stato passare dalla forma breve della pagina umoristica alla forma lunga del graphic novel?

Ah, be’, è tutta un’altra cosa: il graphic novel sta alla striscia a fumetti come il lungometraggio sta al cortometraggio. Quando lavori a una storia lunga occorre strutturare, per così dire, dall’alto il materiale narrativo: i momenti di tensione devono essere smorzati, i dialoghi vanno alternati alle scene d’azione; le gag comiche, poi, sono da dosare come il sale. Uno degli aspetti che più mi convince in questa storia è proprio la varietà dei luoghi in cui è ambientata, da cui viene fuori la grande ricchezza di situazioni che compongono la vicenda. Se hai a che fare con una storia lunga hai bisogno di tante stanze in cui ogni tanto cambiare aria per rinnovare l’attenzione dei lettori. Così, ancora ai tempi della sceneggiatura, ho “colorato” le varie sequenze e le ho sistemate in una specie di grafico cromatico della storia. Le sequenze sul pianeta Sparky, ad esempio, dove piove sempre, erano verde-marcio, mentre quelle ambientate sulla Terra coperta dallo smog erano grigie. C’erano poi le sequenze nel deserto, luminosissime e tutte gialle. Ora, nella prima parte lo spazio dedicato al verde-marcio di Sparky è ridotto, il grigio della vita sulla terra-smog ha la predominanza. Man mano che si procede nel fumetto aumentano le scene ambientate sul pianeta e l’alternanza tra i due mondi diventa più frenetica, finché non fa il suo ingresso anche il deserto, per giungere infine all’arcobaleno finale. Questo modo cromatico di leggere la vicenda ci ha consentito di sciogliere diversi nodi narrativi e ci ha aiutato a sviluppare personaggi e situazioni.

Qual è dunque la differenza tra i cartoni animati e il fumetto?

La vera differenza è in qualcosa che succede nella testa del pubblico. Quando vedi un film sei un idiota: come diceva mio padre depositi il cervello alla cassa del cinematografo perché la pellicola occupa tutti i tuoi sensi, riempie ogni spazio della tua immaginazione dall’inizio alla fine del film. A questo affascinante meccanismo di ipnosi collettiva ho dedicato la mia vita. Il fumetto, invece, funziona solo se lascia spazio alla fantasia del lettore e mette in moto un vero e proprio processo creativo che diventa essenziale per lo sviluppo della storia. Io e Grégory non abbiamo fatto altro che strutturare uno spazio, un piccolo parallelepipedo di carta che abbiamo scarabocchiato riempiendolo di linee, colori e parole. La scelta di introdurre un personaggio con un campo lungo, l’inquadratura di un particolare o i balloon aiutano il lettore a leggere la storia come l’abbiamo pensata, ma è lui che la interpreta. Noi ti guidiamo per mano, ma tutto il resto lo fai tu, da solo: lo spazio bianco tra una vignetta e l’altra lo riempi tu, il tempo narrativo è il tuo, come tua è la velocità con cui segui l’accadere degli eventi. Un tramonto dura quanto lo decidi tu e con la tua immaginazione completi le azioni, aggiungi le voci e i suoni.
Ecco, le voci, ad esempio, tu che voci ti immagini per Minivip? Di buono c’è che avendo visto il film del 1968 probabilmente gli assocerai la voce di Oreste Lionello, che poi è anche quella di Woody Allen, ma per i personaggi nuovi come Willy, Sterminator o Sing Song sei costretto a fare da te.

A proposito di film vedremo mai un lungometraggio tratto da Il mistero del Via Vai?

Mah, io non dispero. Prima di realizzare il graphic novel, quando andavo in giro a raccontare questa storia a probabili produttori, non era facile convincerli. La vicenda si svolge su tanti livelli diversi ed è particolarmente intricata. Quando ne parlavo mi perdevo perché partivo da un piano narrativo e mi ritrovavo su un altro, così il mio interlocutore non capiva più niente. Ma ora c’è un libro che, se uno ha la pazienza di leggerlo, ti racconta tutta la storia. Anzi, fa di più: scherzando, l’ho definito lo storyboard più raffinato del mondo, e può anche darsi che ora uno dica: “Cavolo, potrebbe essere un bel film” e magari si farà.


L’eroismo sconclusionato dei fratelli bergamaschi: sul numero di settembre 2018 Chiara Bongiovanni recensisce Minivip & Supervip. Il mistero del Via Vai di Bruno Bozzetto e Grégory Panaccione.