Una questione privata
recensione di Adolfo Mignemi
dal numero di gennaio 2016
Vivian Maier
UNA FOTOGRAFA RITROVATA
ed. orig. 2014, trad. dall’inglese di Andrea Bruno Aureli
pp. 288, € 39
Contrasto, Roma 2015
Quella della “tata con la Rolleiflex al collo” è una storia tutta americana, che sembra appena uscita dalle righe dell’esemplare ricerca The Lonely Crowd: A Study of the Changing American Character, coordinata alla fine degli anni quaranta da David Riesman.
Il caso nasce così: nel 2007 il contenuto di cinque armadi, lasciati in un deposito il cui affitto non era stato pagato, venne acquistato per duecentocinquanta dollari da un banditore d’aste di Chicago che, dopo aver suddiviso in lotti le scatole e i bauli di vestiti, libri, effetti personali e fotografie, li rivendette all’asta. Per la stessa cifra un collezionista che commerciava in fotografie acquistò circa duemila stampe, mille rullini in pellicola non sviluppata e alcuni film; un altro acquirente acquisì per mille dollari circa diciottomila negativi, che rivendette poi a un artista e impresario. Nello stesso periodo John Maloof, agente immobiliare che all’epoca stava conducendo una ricerca sulla storia di Portage Park, il suo quartiere di Chicago, acquistò per trentotto dollari dalla casa d’aste RPN Sales circa trentamila negativi e altri oggetti personali, sempre appartenuti a Vivian Maier.
Maloof, divenuto nel frattempo il principale possessore di oggetti appartenuti alla donna, ne trasse alcune mostre, pubblicazioni e, nel 2013, un documentario, Finding Vivian Maier e, infine, lo scorso anno, il volume di cui si tratta in queste righe. “Seppur scattate decenni or sono – scrive Marvin Heiferman – le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata. Molti di noi condividono il suo stesso desiderio e il suo impulso di fare fotografie – grazie alla tecnologia digitale a nostra disposizione, oggi lo possiamo fare”. Esiste però una differenza. Maier praticò la fotografia “con disciplina e usò questo linguaggio per dar struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo”.
Oggi siamo in grado di produrre immagini e con un semplice click proiettarle in tutto il mondo: per questo “l’innegabile talento di Vivian Maier, abbinato al fermo proposito di mantenere la propria attività di fotografa come una questione privata, ci affascina e al tempo stesso ci confonde”. Siamo esattamente al centro del problema interpretativo che ogni fotografia reca con sé. I meriti di questa nuova antologia sono dati dal fatto che non solo in quelle immagini riconosciamo nella Maier “un’antesignana della nostra attuale dipendenza dal mondo dell’immagine”, ma che le stesse immagini ci interrogano sul nostro rapportaci a esse, ponendo un quesito a cui è difficile sfuggire: “Lei e il suo lavoro sono stati trasformati in qualche cosa di diverso da ciò che erano?”.
È una domanda che solitamente tendiamo a sfuggire: una fotografia è prodotta, da un lato, dall’evento che la genera ed è caratterizzata dalla volontà del fotografo che in essa si esprime; dall’altro, è intrinsecamente costituita anche dalle forme e modalità del suo utilizzo. La rottura di questa relazione è quasi sempre un evento devastante sulla possibilità di analizzare compiutamente tutto ciò che caratterizza il primo momento.
Un’ultima considerazione: si stima che la produzione fotografica di Maier sia quantificabile in circa 150.000 scatti; essi rappresentano forse l’unico esempio di una sistematica documentazione dell’evolvere dell’immaginario visivo di un americano nei cinque decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Un vero patrimonio. Grazie al caso.
admig@tiscali.it
A Mignemi lavora all’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia
Dal 19 novembre 2015 al 31 gennaio 2016 si tiene a Milano la mostra Vivian Maier, Street photographer presso la Fondazione FORMA per la fotografia.