Genio nel reportage
recensione di Adolfo Mignemi
dal numero di novembre 2016
DOMON KEN
Il maestro del realismo giapponese
a cura di Rossella Menegazzo e Takeshi Fujimori con Yuki Seli
pp.184, € 39
Skira, Milano 2016
«Sono pochi i giapponesi che non conoscono o non hanno mai sentito pronunciare il nome di Domon Ken», scrive Rossella Menegazzo. In Italia, al contrario, alla sua attività professionale gli sono stati dedicati solo due testi (introvabili), pubblicati nel 2005 e nel 2007.
«Soprannominato ‘il genio (letteralmente ‘il diavolo’) della fotografia di reportage’, Domon Ken fu colui che affermò il realismo nella fotografia giapponese divenendone uno dei massimi rappresentanti»: così Takeshi Fujimori, che fu suo allievo, tratteggia il profilo del maestro, rimasto, a 26 anni dalla morte, punto di riferimento per l’attività fotografica sia professionale sia amatoriale giapponese, ma inspiegabilmente ancora oggi quasi sconosciuto nel mondo occidentale.
Fu lo stesso fotografo a delineare con estrema precisione i caratteri del suo lavoro: «Il realismo non si trova dentro quel marchingegno freddo e quadrato che si chiama macchina fotografica, ma si nasconde nel modo di esprimere e vedere il mondo della persona che scatta la fotografia (…). Quel dispositivo freddo che si chiama macchina fotografica, come un pennello o una matita, non va oltre il suo essere un utensile pratico».
Prima sociale, poi socialista
Domon inizia nel 1933 la sua carriera come apprendista in uno studio di Ueno. Nel giro di due anni riesce ad acquisire competenze e cultura fotografica tali da poter trovare lavoro presso Nippon Kōbō, lo studio forse più all’avanguardia negli anni trenta in Giappone. Incomincia così a praticare con successo il lavoro di fotogiornalista, pubblicando le sue immagini non solo in Giappone ma negli Stati Uniti. Nel 1939 entra come fotografo al servizio dell’Agenzia per le relazioni culturali internazionali.
Nonostante il clima di militarizzazione che cresce in Giappone e la politica di espansione nazional-imperialista volta al predominio giapponese sull’Asia, che caratterizzerà il rapido allargarsi dei conflitti nell’area del Pacifico e l’avvicinarsi del Giappone ai regimi totalitari fascisti europei, Domon riesce a continuare la sua instancabile ricerca formale. Ricerca rivolta contemporaneamente alla cultura, all’arte e alla società del suo paese e che lo porterà ad affinare un linguaggio – che definisce prima «realismo sociale» e nel dopoguerra, «socialista» – capace di raccontare la reale situazione del Giappone, duramente provato dalla guerra e in profondo cambiamento.
Dall’ovattato spazio conosciuto fotografando il teatro bunraku nei primi anni del secondo conflitto mondiale e dalla scoperta dell’assoluta bellezza dei templi antichi passerà, negli anni del dopoguerra e della «americanizzazione» della società giapponese (sul piano personale, anche della militanza nel partito comunista), a dedicarsi con perseveranza quasi maniacale a documentare la vita nei miseri villaggi di minatori dell’isola di Kyūshū e nei quartieri più poveri di Tokyo. Nel 1957, a dodici anni dal bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, Domon realizza una documentazione della vita nelle due città che, per l’intensità e il rigore formale delle immagini scattate in quei luoghi, rappresenta uno dei principali e ancor oggi insuperati reportage dedicati all’argomento.
I contributi di Kamekura Yasaku, Takeshi Fujimori, Mari Shirayama e Rossella Menegazzo spaziano, da un canto, sui rapporti tra la fotografia giapponese e le esperienze che in questo campo si vivono in Europa, negli Stati Uniti e nel paese dei soviet negli anni trenta, e poi negli anni cinquanta in Francia; dall’altro, sull’impatto che la ricerca condotta da Domon con la macchina fotografica, relativa al rapporto tra realtà e verità, finisce per avere nella conoscenza approfondita e nell’interazione tra culture diverse.
admig@tiscali.it
A Mignemi lavora all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia