L’arma poetica della posa
recensione di Tiziana Serena
dal numero di aprile 2016
Alessandro Nigro
RITRATTI E AUTORITRATTI SURREALISTI
Fotografia e fotomontaggio nella Parigi di André Breton
pp. 238, 67 ill., € 23
Cleup, Padova 2015
Le fotografie dei surrealisti hanno tenuto in scacco per lungo tempo la capacità della storiografia di decriptarle. I testi che se ne sono occupati, soprattutto a partire dagli ottanta con gli interventi dirompenti di Rosalind Krauss, Jane Livingston e Dawn Ades, hanno avuto il merito di sottolineare la posizione tanto pervasiva quanto paradossale della fotografia all’interno di quel movimento artistico e intellettuale che Walter Benjamin aveva etichettato come l’ultimo istante, luminoso e scintillante, dell’intelligenza europea.
Per i surrealisti la fotografia rappresentò il medium della modernità, la capacità di svelamento nel gioco della soggettività dai proto-selfie, realizzati nelle cabine del photomaton, fino alle possibilità liberatorie del montaggio di immagini spaesanti.
Si tratta di una fotografia praticata da numerosissimi artisti della galassia surrealista, da soli e soprattutto in gruppo come vera e propria pratica creativa collettiva. Una fotografia che tra essi veniva scambiata e rimaneggiata fino a divenire oggetto di riappropriazioni e trasformazioni: da (presunto) documento a vera e propria sostanza poetica. Una fotografia quindi intensamente usata ma stranamente taciuta negli scritti del surrealismo, tranne eccezioni tardive come nel caso di Salvator Dalì.
Negli anni duemila, una seconda ondata di studi ha messo a fuoco le tematiche più importanti riguardanti l’uso della fotografia nel movimento surrealista: a partire dal ruolo delle artiste, fino all’importanza viscerale della pratica del montaggio e del fotomontaggio. Il volume più importante, dal quale prende le mosse il libro di Nigro, è decisamente il catalogo della più aggressiva e persuasiva mostra sul tema, che raccoglieva l’eredità di trent’anni di studio sull’argomento. Con il titolo La Subversion des images (Centre Pompidou, 2009) si voleva sottolineare un aspetto fondamentale: come nel movimento surrealista l’impiego della fotografia non fosse meramente strumentale, quanto teso a sovvertire il suo congenito realismo per piegarlo, fino a distorcerlo, a favore della sua interiorizzazione nel mondo degli artisti.
Il libro di Nigro punta sull’aspetto dell’interiorizzazione da diverse angolature. È quanto permette l’accostamento di realtà eterogenee, legittimando inoltre la pratica del fotomontaggio. Ed è quanto giustifica il passaggio fra più artisti delle fotografie, imponendo problemi di metodo filologico qualora esse vengano considerate come fonti peculiari e non mere piatte immagini fotografiche, meritevoli di un’avvertita attenzione.
Il libro è suddiviso in quattro capitoli il cui avvio prende corpo dalla disamina di quelle che appaiono essere fra le maggiori icone del surrealismo, tanto che nell’ordine dei capitoli sfilano: il ritratto realizzato da Man Ray di André Breton in posa di fronte a L’énigme d’une journée di Giorgio De Chirico (1922); i celebri montaggi dell’autoritratto di Breton al microscopio e quello che egli realizza di Paul Éluard (1930); l’immancabile fotomontaggio Le phénomène de l’extase di Salvator Dalì (1933); le immagini dialogiche fra Claude Cahun e Marcel Moore. Tutte queste icone sono considerate da un’angolatura di sghembo, verificate nella densa tessitura culturale e figurativa del periodo, riscoperte infine nella loro rinnovata semiosi di fonti complesse, quasi tridimensionali.
In filigrana emergono numerose questioni di metodo. In questo senso, il primo capitolo è fra i più emblematici e pone una rosa di nuove questioni alle opere: come si interroga una fotografia del 1922 realizzata da Man Ray dell’ancora poco noto Breton, che appare semisdraiato dinanzi a un imponente sfondo pittorico, quando questo è un dipinto di De Chirico collezionato dall’amico Éluard? Dove e perché è stata costruita la posa di questa immagine? Qual è stato il ruolo di Man Ray e quale quello degli artisti coinvolti nel concepire questa fotografia? Come si interroga questa fonte quando questa non è da considerarsi un’unica immagine poiché si presenta in diverse varianti: fra il positivo e il negativo, fra diverse versioni del positivo (dai provini a contatto a stampe, con note manoscritte o meno, fino a quella in cui risulta addirittura invertita), il tutto prodotto in altrettante diverse date, con disparate finalità, fra cui anche la pubblicazione in determinate riviste?
Le risposte vengono fornite al lettore in un crescendo di analisi di numerosi indizi, in cui la storia del movimento surrealista si intreccia con quella del collezionismo delle opere di De Chirico nel mercato parigino e presso i surrealisti stessi, e della storia della fotografia con Man Ray in prima fila come interprete e collaboratore stretto delle riprese fotografiche. A caratterizzare ulteriormente questo volume è la capacità di inserire l’analisi in un inquadramento generale che riguarda la cultura visuale del periodo. Così ad esempio il riferimento al film Nosferatu. Una sinfonia dell’orrore di Friedrich Wilhelm Murnau (1922) è funzionale a interrogarsi per via di ipotesi successive sul suo funzionamento come erogatore di stimoli visivi sia per la fotografia di Man Ray e di Breton, sia per l’opera di Breton stesso, il quale del resto aveva affermato come la sua idea di automatismo fosse strettamente debitrice certamente dell’occultismo, ma innanzitutto della fotografia e del cinema.
Non perdono mordente filologico i capitoli intermedi fra verifiche di stereotipi e analisi visive delle varie fonti figurative. L’ultima parte del volume tratta il tema delle fotografie realizzate all’insegna del travestitismo e del gioco intellettuale fra Cahun e Moore, soprattutto a partire dall’analisi dei testi letterari che vedono coinvolte le due protagoniste. L’intenzione è di riscattare le loro fotografie dal ruolo di meri autoritratti e di uscire dal binario della biografia prevalentemente concentrata sui temi dell’identità di genere e delle scelte sessuali. Stereotipi che vengono smentiti in parte da nuove fonti. Fra queste spicca, con l’ironia con la quale si tira un coniglio fuori dal cappello, la fotografia della vetrina della libreria parigina José Corti. Vi scorgiamo uno degli autoritratti più famosi di Cahun (con camicia a scacchi e allo specchio), che smentisce il giudizio della critica che lo ha sempre reputato essere un’immagine esclusivamente intima e privata.
La nota fotografia della testa deformata di Cahun, Frontière humaine, è analizzata nel contesto delle pagine della rivista “Bifur” dove apparve in prossimità dei fotogrammi tratti da La linea generale di Sergej Ėjzenštejn. Il film, nonostante fosse in quel momento censurato a Parigi, era conosciuto attraverso le immagini pubblicate nelle riviste francesi e viene presentato da Nigro come uno dei modelli d’ispirazione. Con lo stesso criterio d’analisi, che indaga contesti culturali e visivi il più possibili ampliati, vengono descritti i fotomontaggi per il celebre volume Aveux non avenus (Confessioni non rese, 1930) con testi di Cahun e immagini di Moore. Sottoposti alla prova dell’occhio dello storico dell’arte, questi fotomontaggi vengono chirurgicamente rimontati in un ampio mosaico di riferimenti visivi e culturali. Complessivamente quindi il volume restituisce un contesto ampio e articolato, per molti versi inedito e carico di future implicazioni sul piano storiografico.
tiziana.serena@unifi.it
T Serena è vicepresidente della Società italiana di studi per la fotografia