Dopo trentadue anni il sequel-remake senza Lucas
recensione di Matteo Pollone
dal numero di febbraio 2016
J.J. Abrams
STAR WARS: IL RISVEGLIO DELLA FORZA
con Harrison Ford, Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam Driver, Daisy Ridley, Oscar Isaac
Usa 2015
Il primo capitolo della nuova trilogia di Guerre stellari si sta avviando, mentre stiamo scrivendo, a battere ogni record d’incasso della storia del cinema, sempre se non si considera l’inflazione (un calcolo corretto vedrebbe, pare, ancora saldamente al primo posto Via col vento, Gone with the Wind, Victor Fleming, 1939). Rilevato dalla Disney, il mondo inventato da George Lucas nel 1977 sembra avere ancora un grande fascino sul pubblico del 2015. Ha ancora molto da raccontare di sé e anche del cinema contemporaneo, di cui è già, a poche settimane dalla sua uscita, un testo cardine, un’opera chiave. Il merito è in larga parte dell’autore dietro a questa operazione, J.J. Abrams, creatore delle serie tv Alias (ABC, 2001-2006), Lost (ABC, 2004-2010) e Fringe (Fox, 2008-2010), nonché regista già cimentatosi in passato con il rilancio di due franchise di grande successo, quello di Mission Impossibile con Mission: Impossible III, 2006, e quello di Star Trek, con Star Trek, 2009, e il seguito, Star Trek Into Darkness, 2013.
Vi sono due momenti, in questo settimo film della saga, che appaiono senza dubbio come rivelatori, indici di come il film si propone al pubblico e di che posizione occupa all’interno del panorama cinematografico odierno. Il primo, già inserito nel trailer diffuso a partire dal 16 aprile 2015, è l’apparizione dei personaggi di Han Solo (Harrison Ford) e Chewbacca (Peter Mayhew). I due salgono a sorpresa sul Millennium Falcon, entrato in scena poco prima, poi Solo, sorridendo, dice all’amico: “Chewie, siamo a casa”. Fin dal trailer, che contiene già la maschera di Darth Vader, il droide R2-D2, la spada laser di Luke Skywalker (Mark Hamill) e molti altri degli elementi più riconoscibili della prima trilogia, Il risveglio della Forza si presenta come un’opera dal sapore nostalgico, rivolta esplicitamente ai fan della saga e pensata per rinverdire, a trentadue anni di distanza dal terzo (sesto, secondo la nuova numerazione) capitolo, un franchise che la seconda trilogia (1999-2005) aveva un po’ ammaccato.
Trentadue anni, appunto: il tempo passato nella storia e quello trascorso tra Il ritorno dello Jedi e questo sequel sembra essere il medesimo. Non a caso, Adam Driver, l’attore scelto per interpretare Ben Solo, alias Kylo Ren, il figlio di Han Solo e della principessa (ora generale) Leia Organa (Carrie Fisher), è nato il 19 novembre 1983, sei mesi dopo l’uscita nelle sale di Il ritorno dello Jedi e ha quindi, come quel film, 32 anni. Non sembri un dettaglio da poco: l’adesione, in più punti, quasi filologica alla saga originale è, come è noto, ciò che maggiormente ha irritato George Lucas, che in una recente intervista a Charlie Rose per “The Hollywood Reporter”, ha dichiarato: “Loro (cioè J.J. Abrams e la Disney, casa di distribuzione del film e proprietaria della Lucasfilm Ltd.) volevano fare un film rétro, un’idea che a me non piaceva. Ho lavorato molto duramente per rendere ogni film completamente diverso, con pianeti diversi, astronavi diverse…”. Nell’imbastire la seconda trilogia, non particolarmente amata dai critici e dai fan, l’interesse di Lucas era non solo quello di ritornare su Vader e su alcuni altri personaggi (Obi-Wan Kenobi e Yoda su tutti), ma soprattutto di espandere l’universo narrativo originario, esplorando usi e costumi della galassia, mostrando razze aliene mai viste nei tre film precedenti, rendendo più chiara la storia della nascita dell’Impero galattico contro cui si battono i personaggi di Guerre stellari.
Star Wars come i Marvel
Questo intento esplorativo, questa volontà di mappare un universo narrativo, scompare del tutto da Il risveglio della Forza. In senso stretto, il film è chiaramente un sequel, ma a J.J. Abrams interessa poco il mondo al di fuori dei confini in cui ci si muove nei primi tre film della saga. Vi sono, certamente, personaggi e ambienti nuovi, ma è difficile non notare quanto questi siano ricalcati su ciò che già si è visto in Guerre stellari, in L’impero colpisce ancora e nel Ritorno dello Jedi. La prima parte del film, quando ancora nessun personaggio già noto ha ancora fatto il suo ingresso, dimostra ampiamente questo assunto: come in Guerre stellari, un combattente della resistenza entra in possesso di dati cruciali per la lotta e, in procinto di essere catturato, li affida a un droide perché li porti in salvo. Il droide arriva nelle mani di un personaggio destinato ad avere un ruolo cruciale nella vicenda, imparentato, a sua insaputa, con alcuni dei protagonisti della saga. Fin dalle prime battute, quindi, Il risveglio della Forza si presenta come un sequel che ha in sé però anche tutte le caratteristiche di un remake: la missione che attende la resistenza, infatti, è anche in questo caso la stessa del film del 1977: distruggere un’enorme arma spaziale che minaccia interi pianeti.
Se si considerano questi fattori, non sarà difficile dare ragione a chi, tra i recensori più scettici, ha parlato di Il risveglio della Forza come un film troppo simile ai blockbuster supereroici sempre prodotti dalla Disney a partire dal materiale pubblicato dalla Marvel Comics. Questo non perché i personaggi siano ripensati per un pubblico abituato a Spiderman, agli X-Men o agli Avengers (ciò presupporrebbe un’eccessiva distanza dalle creature di Lucas e invaliderebbe l’operazione nostalgica di J.J. Abrams), ma perché la logica che sottende un’operazione come quella di Il risveglio della Forza è la stessa che sta alla base di molti dei cicli supereroici contemporanei, che subiscono continui restyling che sconfinano, di tanto in tanto, in veri e propri reboot. A ben guardare, Il risveglio della Forza può nondimeno essere avvicinato alla recente produzione Marvel anche per un altro motivo: poco più di un anno fa, Guardiani della Galassia (Guardians of the Galaxy, James Gunn 2014), ha segnato un punto di svolta considerevole nella produzione supereroica che fa capo alla Casa delle Idee, proponendosi come figlio di un modello di cinema fantastico e di fantascienza che guarda direttamente a Lucas, Spielberg, Dante e a molta produzione caratteristica degli anni ottanta, la stessa che funge da punto di riferimento per il J.J. Abrams di Super 8 (id, 2011) e che sempre di più impregna molte delle produzioni high budget hollywoodiane.
La lotta interiore tra bene e male
Ciò detto, arriviamo al secondo momento chiave, dei due citati all’inizio. Quello in cui Kylo Ren, parlando con la maschera del nonno, sopravvissuta alle fiamme, si dice tentato dalla luce, dal lato della Forza opposto a quello oscuro a cui si è votato e che minacciava i protagonisti delle precedenti trilogie. Questa fascinazione del bene sul personaggio malvagio sembra assumere un valore aggiunto rispetto alla sola lotta interiore del vilain: nella seconda trilogia, Lucas aveva scelto di narrare il passato di Anakin Skywalker fino alla sua trasformazione in Darth Vader. Questa parte della saga, iniziata nel 1999 con La minaccia fantasma (The Phantom Menace) e conclusasi nel 2005 con La vendetta dei Sith (Revenge of the Sith), ha saputo anticipare gran parte delle trasformazioni del blockbuster hollywoodiano successivo, che ha nei toni cupi e nei racconti di eroi caduti indiscutibili tratti distintivi, come dimostrano, più di ogni altra opera, i film di Christopher Nolan dedicati a Batman, in particolar modo il seminale Il cavaliere oscuro (The Dark Knight, 2008). Lo stesso Abrams, per quanto non sembri facilmente stregato dalle tenebre, ha già pagato pegno a questa tendenza con il suo Star Trek Into Darkness. Con Il risveglio della Forza, però, sembra voler andare nella direzione opposta: il fascino che la luce esercita su Kylo Ren ci sembra dunque metafora di ciò che sta accadendo a Hollywood, ma la riscoperta della leggerezza infantile della grande stagione postmoderna degli anni ottanta non è senza controindicazioni. Se quei film (non solo i Guerre stellari di Lucas, ma anche gli Indiana Jones di Spielberg, ecc.) erano quintessenza di un postmoderno che guardava con grande libertà al cinema classico come a un enorme serbatoio di figure, situazioni, mondi, generi e stili, il loro ricalco, oggi, rischia di canonizzarli eccessivamente e di trasformarli in testi sacri, a cui si finisce per guardare in maniera un po’ meccanica e prevedibile, come accade appunto nel Risveglio della Forza. Ma forse è troppo presto per parlare: del resto, questo è solo il primo capitolo di una trilogia. Per ora siamo tornati a casa, ci sono state date le conferme che aspettavamo. Ciò che ci auguriamo, per i prossimi due film, è di essere presi alla sprovvista.
matteo.pollone@unito.it
M Pollone insegna storia delle teoriche del cinema all’Università di Genova