Arte obliquamente politica
recensione di Irene Bignardi
dal numero di aprile 2014
Rossana Rossanda
IL FILM DEL SECOLO
con Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri
pp. 341, € 16,18
Bompiani, Milano 2013
Non sempre la lettura di un libro offre l’occasione di togliersi, come si dice con frusta metafora, i sassolini dalle scarpe. Ma è quello che capiterà alla sottoscritta alla fine della lettura del libro di Rossana Rossanda. Un librone affrontato con timor panico. Perché, per raccontare il film e i film di un secolo si sono messi insieme non solo i due critici cinematografici del “Manifesto”, che hanno il compito di porre domande, di stimolare risposte, di animare il dibattito e collegare con la loro sapienza cinefila i momenti di questa conversazione a tre, quando la tensione della conversazione scende. Ma è scesa in campo Rossana Rossanda, la ragazza del secolo scorso, una donna di tagliente intelligenza e di vasta cultura, per fortuna, aggiungerei, non cinefila, non nel senso comune del termine, comunque, non nel senso della parola che indica qualcuno per cui il cinema rappresenti nella vita un riferimento costante e centrale.
Dico per fortuna perché l’approccio di Rossanda ai temi cinematografici che via via le vengono proposti dai due amici e colleghi è disinvolto e pragmatico. Se certe cose non le ho viste o non le ricordo, dice Rossanda, forse non ne valeva la pena. Quello che sta a cuore a Rossanda è il secolo più che il cinema, o il cinema, “arte obliquamente politica”, come dice acutamente Silvestri, in quanto strumento per guardare al secolo. Niente da spartire con l’autoreferenziale cinefilia dove nulla si crea e nulla di distrugge, dove Harry pioggia di sangue (grazie Nanni Moretti per le tue proteste) nel cielo infinito della voracità cinefila vale quanto Billy Wilder (che per altro Rossanda invita a non enfatizzare: “Wilder non era Wittgenstein”. Be’ no, ma in compenso si faceva capire molto bene). E se Rossanda è stata la grande intellettuale che in un momento storico altamente politico si è presa il compito, nel 1973 (la recensione possiamo leggerla in questo volume), di affrontare criticamente Sussurri e grida, con molte argomentate riserve, ora è anche pronta a rimettersi in discussione sullo stesso tema dello scontro tra natura e cultura, in base al principio che, se lo sfondo cambia, può cambiare anche il giudizio.
In un conversazione a tre voci che ogni tanto finisce per sembrare uno scontro controllato dalla buona educazione e dal rispetto che i due critici portano alla grande intellettuale, apprendiamo (scelgo a caso in una vasta casistica) che Rossanda avrebbe voluto essere la Garbo di La regina Cristina, che il cinema di Ozu ci conduce al concetto di dignità in Giappone, che Il silenzio degli innocenti è (Silvestri dixit) un film sulla “vitalità cannibale” o sul “cannibale antisistemico”, che Reds non è piaciuto a nessuno, che Guerre stellari non va a genio a Rossanda checché ne pensi Silvestri, che a Rossanda non è piaciuto The Artist (di cui vi proponiamo una scena), che i film di Lubitsch, secondo lei, “sono privi di ogni rispetto umano”, anche se per la loro grazia li si può vedere una o due volte all’anno.
Che Godard, sempre secondo Rossanda, ha fatto sì delle cose nuove, “ma il suo cinema non mi cambia niente”. Si azzuffano sull’idea di bellezza. Quando Rossanda ricorda certe storiche censure politiche Rai, Silvestri s’indigna perché la Rai non manda in onda in prima serata Il silenzio degli innocenti. Leni Riefenstahl non è molto apprezzata dai tre neanche come regista. Quando Silvestri parla di dieci anni di “potere dal basso” Rossanda gli chiede se vuol scherzare, e si lancia in un’analisi politica dei pochi anni del Movimento. A prova del potere del cinema come detonatore, ogni titolo porta a un oggetto di discussione correlato. E quando Ciotta parla del cinema che “il Manifesto” ha trattato sempre “ con la stessa autorevolezza delle questioni operaie e delle lotte rivoluzionarie”, Rossanda sbotta: “Perché con la stessa autorevolezza? La politica decide sulle vite, e con la fame o la guerra sulle morti”. La cavalcata attraverso il secolo del cinema è avventurosa, controllata, sapiente. Le assenze sono interessanti quanto le presenze. Non ci sono Scorsese e Kubrick? Ci sono Elvio Fachinelli e Di Vittorio. Rossanda si muove con autorevole indipendenza dalle mode, Silvestri e Ciotta tendono fili e collegamenti parlando sempre come libri stampati, senza lasciarsi sfuggire l’occasione di attaccare i bersagli di sempre. Tra cui (e qui se ne va il primo sassolino) il rituale attacco, innescato da Rivette e da Serge Daney, e seguito acriticamente da molti, alla carrellata sulla mano di Emmanuelle Riva in Kapò, che, per inciso, carrellata non è, e non è sensazionalistica, ma il bersaglio di un critico (Daney) che si diverte a mettere slealmente sullo stesso piano Bambi e il film di Pontecorvo.
E poi Cronenberg. Per avere a suo tempo criticato Crash (qui il trailer) chi scrive è diventata la reietta del web, la non cinefila per eccellenza, la poveraccia che non capisce il genio. Ed è una consolazione non da poco sentir dire a Rossanda che anche lei, come Moretti, come Luigi Pintor, trova “abominevole” David Cronenberg. Io non sono neanche così estrema, penso solo che Crash sia un film perverso e dannoso. Ma grazie davvero, Rossanda, da oggi mi sento meno sola.
irenebignardi43@gmail.com
I Bignardi è critica cinematografica