La ricerca dell’identità, tra instabilità ed equilibrio
recensione di Grazia Paganelli
Come sempre il cinema di Laurent Cantet è più complesso di come appare, perché ci sono strati successivi da attraversare prima di riuscire ad avere completa padronanza della storia che vuole raccontare. Proprio come un romanzo, il progetto di un film riguarda la vita dei suoi protagonisti e per entrare nella testa dei lettori/spettatori si deve andare oltre la semplice esposizione di un carattere o di una serie di gesti. “Per scrivere un romanzo – dice la protagonista Olivia di L’atelier – a un certo punto bisogna necessariamente documentarsi, fare ricerche, per dare più verità alla finzione”. Come a dire che ogni storia ci riguarda sempre e per vivere nella sua finzione, deve avere radici nella realtà. È quello che fa Cantet (e il co-sceneggiatore del film Martin Campillo) in questo film, essenziale e coerente, rigoroso al punto da sembrare un’indagine. Proprio quella che cercano di inventare i giovani partecipanti all’atelier di scrittura che si tiene a La Ciotat. A condurlo è Olivia, giovane scrittrice parigina che si accorge subito che tra i suoi studenti c’è un ragazzo diverso, Antoine, forse più intelligente ma sicuramente tormentato da una forza distruttiva.
Insieme, durante la lezione quotidiana, devono costruire una storia e tutti scelgono di partire da un omicidio. Un dettaglio importante per articolare il seguito, non solo di questo ideale romanzo, ma di tutte le conversazioni tra questo gruppo di origine popolare, che vive dove alla fine del 1800 nacque il cinema dei fratelli Lumiére. Ma quel passato non li sfiora neppure, perché c’è quello più recente a far parte ancora delle loro vite. La chiusura dei cantieri navali di La Ciotat, infatti, scatenò negli anni Ottanta una lunga stagione di lotte operaie, di cui oggi resta una gigantesca gru, come uno scheletro che si vede da ogni punto della città. Proprio qui sta la nota dolente, che a vario modo colpisce i nostri protagonisti. Perché non gli scioperi del passato, ma la solitiudine del presente preme su di loro più di quanto non appaia. “Devono trovare il proprio posto in un mondo che ha per loro una scarsa considerazione, con la costante sensazione di non avere nessun controllo sulle proprie vite”, spiega Cantet che, infatti, mette in primo piano la violenza del presente, l’instabilità sociale, prima che economica, il terrorismo e l’affermazione dell’estrema destra, tutto compresso nel sentire di Antoine, nella sua aggressività (o nell’apatia degli altri) e nella provocazione che suona come una richiesta d’aiuto. Quando l’attenta Olivia scorge i germi di un disagio tanto grande, reagisce andando in profondità, sfidando Antoine con le parole, sul suo stesso terreno scivoloso e avvicinandosi a tal punto da rischiare di cadere. Come nel giallo in costruzione, anche nel film si accumulano le informazioni, dettaglio dopo dettaglio, i punti interrogativi si moltiplicano e l’inquietudine si fa tensione.
La scommessa vinta da Cantet è quella di avanzare di pari passo sui due piani, che spesso si incrociano. “Lo vesto e lo nutro come un bambino, non è indipendente, non ha profondità” dice turbata al suo editore a proposito di uno dei personaggi del nuovo libro a cui sta lavorando: è evidente che in questa consapevolezza ci sia l’osservazione di Antoine e degli altri, questi giovani risoluti, taciturni, impauriti o violenti, in cerca di un’identità, che sfugge loro o si manifesta in gesti spesso inappropriati. Vicinanza e distanza sono la materia prima con cui Cantet lavora, filmando i volti con lunghi primi piani, facendo passare l’energia necessaria all’avanzamento della vicenda attraverso l’accumulazione, talvolta la ripetizione, per poi cercare di nuovo la sospensione e il mistero. Questo il senso dei campi lunghi, soprattutto notturni, che spingono la prospettiva in profondità, non senza ostacoli per gli occhi. Un ragazzo osserva una donna da lontano nel buio, ha una pistola in mano mentre le si avvicina. Tutto potrebbe accadere, ma non accade. Solo un attento lavoro di alternanza e di contrasto tra il troppo vicino e il troppo lontano riescono a descrivere i sentimenti dei due protagonisti in questa lunga scena quasi finale, che rimanda all’inizio del film, con il personaggio di un videogioco che sparava alla luna. Ritroveremo Olivia e Antoine il giorno dopo alla luce del sole, entrambi più spaventati ma ormai consapevoli.
paganelli@museocinema.it
G Paganelli è responsabile della programmazione del cinema Massimo di Torino