Gramsci44, la centralità dell’azione pedagogica gramsciana

Il documentario di Emiliano Barbucci

recensione di Carmine Cassino

dal numero di settembre 2017

“Per venti anni dobbiamo impedire a quel cervello di funzionare”. Questa frase di portata quasi mitica -sebbene oggigiorno gli storici non siano restii ad attribuirgli veridicità- e che sarebbe stata pronunciata dal pubblico ministero del tribunale speciale di Milano Michele Isgrò al momento della condanna del leader del PCd’I a venti anni di reclusione, per verosimile o meno che sia dà comunque l’idea della grandezza intellettuale di Antonio Gramsci nel contesto della cultura italiana del primo Novecento.

Una grandezza ossimorica se paragonata alla gracilità fisica dell’uomo Gramsci, provato nel corpo e nell’animo da un’esistenza sofferente, parca di affetti, di amori accolti e manifestati. Il più significativo sentimento provato da Antonio Gramsci nel corso della sua complessa esistenza è senza dubbio quello verso la rivoluzione, intesa innanzitutto come prassi pedagogica nei confronti di coloro posti alla base dei processi produttivi, leggasi proletariato industriale e contadino.

Gramsci44 locandinaE al pedagogo, al promotore della cultura degli e per gli ultimi, all’esaltatore dell’educazione come strumento di redenzione è dedicato il bellissimo documentario di Emiliano Barbucci, talentuoso regista calabrese, con la sceneggiatura di Emanuele Milasi e la preziosa fotografia di Daniele Ciprì. Il titolo – Gramsci44 (2016, prodotto da RamFilm) – rimanda ai giorni di confino trascorsi dal dirigente comunista sull’isola di Ustica, luogo che al pari di altre località amene accoglieva condannati a pene di sostanziale gravità, comminate in particolar modo per “reati politici” (ma non solo). Un luogo in cui Gramsci (un intenso Peppino Mazzotta) giunse in ceppi, dopo il breve periodo di detenzione romana a seguito del suo arresto (novembre 1926), insieme ad altri compagni antifascisti, tra cui Amadeo Bordiga (interpretato da Americo Melchionda), cofondatore del PCd’I nel 1921. Come ha ben sottolineato Angelo D’Orsi nella più recente biografia gramsciana (Antonio Gramsci. Una nuova biografia, 2016), l’arresto decretò la fine dell’attività politica di un grande dirigente, ma di converso «aprì la strada all’opera di un gigante del pensiero, politico, ma non soltanto».

Una levatura culturale e umana che il disagio e le ristrettezze di una decennale cattività solleciteranno formidabilmente e che proprio sull’isola manifesta la sua pregnanza, portando l’intellettuale Gramsci a mettere da parte qualsiasi pregiudiziale correntizia nell’organizzazione del lavoro con i suoi compagni. E infatti è proprio in quel contesto che il partito ritrova per l’ultima volta quella “unità” che, per Antonio Gramsci, è condizione imprescindibile alla struttura, tanto da averne fatto nel 1924 un esemplare titolo di giornale di partito. Un’unità che ha luogo proprio nel momento in cui in URSS la scomparsa di Lenin apriva il campo alla feroce lotta intestina tra le varie fazioni (la destra di Bucharin, il centro staliniano, la sinistra trotskista) che sfocerà negli anni successivi in uno stillicidio di intelligenze rivoluzionarie, con drammatico riverbero sul movimento operaio internazionale, che all’URSS guardava come concreta realizzazione di “un altro mondo possibile”. Una vocazione che Gramsci rivendicherà fino alla fine dei suoi giorni, non eludendo la critica alla classe dirigente di un paese che progressivamente si isolava nella costruzione dell’imponente socialismo in casa propria, e giungendo alla rottura (non ufficiale) col compagno Ercoli (Palmiro Togliatti), ormai totalmente allineato ai dettami staliniani del PCUS, intollerante verso qualsiasi infedeltà alla linea.

Con Bordiga e altri (sull’isola erano presenti anche i deputati Paolo Conca e Giuseppe Sbaraglini) Gramsci dà vita a un’esperienza significativa nella quotidianità depressa e marginale di quel proletariato contadino meridionale che a Ustica costituiva uno spaccato significativo delle classi subalterne del mezzogiorno: organizza una scuola. Un modo per affrontare l’analfabetismo imperante, che fosse anche utile a “evitare i pericoli di demoralizzazione, che sono grandissimi”. Nelle sue lettere, Gramsci illustrava la strutturazione di questo percorso, pensato con corsi elementari e di cultura generale, intervallati da quelle che lui chiamava “conferenze”. Con Bordiga divideva la direzione didattica: a lui toccava la sezione storico-letteraria, al compagno napoletano quella scientifica. Fa presente Gramsci come i corsi fossero seguiti anche da funzionari in servizio sull’isola.

Gramsci44

Il regista pone a confronto, con rilevante capacità narrativa frutto di un montaggio attento, l’esperienza scolastica di quei quarantaquattro giorni con quella attuale, dove in seppur mutate condizioni socioeconomiche mantiene i connotati di esperienza di frontiera. Al Gramsci testimone della costruzione di un percorso educativo del tutto inedito in quel contesto si affianca la voce di chi quel processo lo affronta oggi, da un punto di vista docente e discente. Le due narrazioni si combinano in un recupero di memoria che, seppur annebbiata dagli anni che passano nei ricordi di chi già c’era quando Gramsci arrivò, risulta ben sedimentata nel patrimonio valoriale di cui quella comunità si alimenta ancora oggi.

Grazie alla fotografia anch’essa “magistrale” (è proprio il caso di dire) e a una colonna sonora capace come non mai di combinarsi a un paesaggio evocativo e al saliente racconto gramsciano, Barbucci dà vita a un’opera  documentaristica che aggiunge qualcosa di nuovo a un percorso biografico che ha sovente trascurato il periodo usticense. Non esiste solo il Gramsci prigioniero a San Vittore o a Turi. Esiste il Gramsci maestro di Ustica. Forse quello che più di tutti si avvicinò alla concretezza della prassi rivoluzionaria, fondata sull’educazione degli ultimi.

sostienecassino@hotmail.it

C Cassino è dottore di ricerca in storia contemporanea presso l’università di Lisbona