Arti tra i due fiumi
recensione di Carlo Lippolis
dal numero di aprile 2018
Zainab Bahrani
LA MESOPOTAMIA
Arte e architettura
ed. orig. 2017, trad. dall’inglese di Daniele A. Gewurz e Isabella Zani
pp. 376, € 80
Einaudi, Torino 2017
La Mesopotamia rappresenta, se non l’origine, una delle prime tappe della storia artistica e architettonica dell’uomo, ma anche del pensiero religioso, dello sviluppo politico, della letteratura e delle scienze. Qui nacquero le prime città, lo stato, i primi imperi, la scrittura e furono introdotte alcune tra le più importanti tecnologie dell’antichità. “Mesopotamia” è un termine greco, dunque tardo, per indicare quella “terra tra i due fiumi” (Tigri ed Eufrate) un tempo dominata da sumeri, accadi, assiri e babilonesi, cassiti e poi ancora da achemenidi, greco-macedoni, parti, sasanidi e infine arabi.
Già nel Rinascimento Giorgio Vasari individuava fra gli egizi e caldei (babilonesi) le prime forme d’arte e Johann J. Winckelmann strutturò la sua Storia dell’arte nell’antichità (1764) come analisi comparata dell’arte vicino-orientale e del mondo classico. Alcune delle creazioni artistiche dell’Oriente antico vennero incluse negli scritti di estetica di Hegel, e a partire dalla metà dell’Ottocento la riscoperta delle grandi capitali assire e dell’antichissima civiltà sumerica influenzarono moda e arti visive. L’arte dei sumeri (“originaria e arcaica”) affascinò artisti di avanguardie europee come Henry Moore o Alberto Giacometti. Senza dimenticare l’eredità, nell’immaginario collettivo, che la sola città di Babilonia ha rappresentato per la letteratura, la pittura e la cinematografia (da Intolerance di Griffith a Metropolis di Lang e oltre). Gli ultimi decenni di guerra e distruzione hanno visto in Medio Oriente una delle fasi più tristi per il patrimonio storico e archeologico di queste remote culture: alle distruzioni dei conflitti, al fenomeno degli scavi clandestini, al venir meno di un controllo governativo sul territorio, si sono succedute, nell’era dei social media, le dissennate e violente distruzioni dell’Isis/Daesh.
L’ampiezza dell’argomento, circa diecimila anni di storia, impone una severa selezione per la presentazione delle opere e delle problematiche: ci si concentra pertanto sulla tradizionale Mesopotamia, corrispondente grossomodo all’attuale Iraq, senza considerare, se non con rapidi excursus, quelle regioni limitrofe, pur importantissime, in mutuo e continuo scambio con la terra tra i due fiumi (Anatolia, Siria, Levante, Iran, paesi del Golfo). Il centro costante della trattazione è costituito dalle principali opere artistiche e architettoniche, inserite nel loro contesto storico-culturale: ne risulta un manuale divulgativo ma articolato di storia dell’arte, libera da ogni pregiudizio evoluzionistico. Un altro aspetto che solo raramente si incontra nelle pubblicazioni sulla Mesopotamia antica è la scelta di prolungare la trattazione fino ai periodi tardi, ovvero fino alle epoche achemenide, seleucide e partica. In effetti, dopo il crollo del regno neo-babilonese a causa dell’invasione persiana, la Mesopotamia fu dominata per quasi un millennio da dinastie non autoctone (achemenidi, greco-macedoni, parti e infine sasanidi), ma questo non interruppe quella straordinaria continuità di tradizioni millenarie che è caratteristica dello sviluppo culturale di quest’area, dando luogo a innumerevoli fenomeni di sincretismo.
Segnaliamo qualche imprecisione, dove, a proposito dell’interesse della dinastia neo-babilonese per la storia passata e la sua conservazione (una sorta di antico collezionismo), l’autrice cita alcune opere antiche che sarebbero state portate e conservate in un settore dell’area palatina di Babilonia (Elijah? Unger, a suo tempo, aveva addirittura ipotizzato qui l’esistenza di un museo ante litteram); i più recenti studi su questo tema, tuttavia, concordano nel non considerare questo assemblaggio di materiale antico come un intenzionale atto di collezionismo. Infine, il luogo di ritrovamento di queste opere non è il palazzo meridionale (palazzo sud), come affermato nel testo, ma quello nord (il cosiddetto Hauptburg), subito al di fuori delle mura interne di Babilonia.
Per quanto concerne invece le epoche più tarde, se la loro trattazione aggiunge valore al percorso artistico che traccia l’autrice, il capitolo sull’arte achemenide (prevalentemente incentrato sui monumenti dell’Iran, come Persepoli e Pasargade, geograficamente e culturalmente esterni all’orizzonte mesopotamico) e quello sull’arte seleucide e partica sono basati su una bibliografia di riferimento limitata e non adeguatamente aggiornata. Zainab Bahrani è docente di storia dell’arte e archeologia presso la Columbia University; autrice di autorevoli monografie sull’arte mesopotamica, è stata direttrice di scavi in Vicino Oriente. Senza dubbio, la prospettiva da cui muove per ripercorrere i millenni di arte mesopotamica è originale e si rifà alla scuola anglosassone, più attenta, rispetto a quella cui noi siamo abituati, agli aspetti della comunicazione visuale, dell’archeologia di genere, della committenza e fruizione dell’opera d’arte. Per quanto si tratti inevitabilmente di una sintesi, sono innumerevoli gli spunti di riflessione o gli approfondimenti che il lettore interessato potrà sviluppare scorrendo queste pagine. Alta la qualità delle riproduzioni fotografiche e grafiche che impreziosiscono il contenuto sostanziale del lavoro.
carlo.lippolis@unito.it
C Lippolis insegna archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico all’Università di Torino