Irrkunst. Edmund de Waal

L’arte di errare

di Marco Maggi

IRRKUNST. EDMUND DE WAAL
With a text by Edmund de Waal (German / English)
104 pp., 45 €
Holzwarth Publications, Berlin 2016

IrrkunstIl nome di Edmund de Waal è conosciuto per Un’eredità d’avorio e d’ambra, libro-rivelazione pubblicato in traduzione italiana da Bollati Boringhieri nel 2011; meno noto è il fatto che, prima che scrittore, de Waal è peritissimo ceramista e professore di quest’arte, a torto reputata minore, alla University of Westminster. La pubblicazione legata a un’esposizione ospitata questa primavera dalla galleria Max Hetzler di Berlino, uscita prima del memoir dal titolo La strada bianca (Libro del mese di Novembre 2016), consente di far luce su questo lato dell’attività creativa di de Waal, il principale, in effetti.

Il titolo, Irrkunst. Edmund de Waal,  richiama il celebre aforisma di Walter Benjamin secondo il quale «ci vuole una certa pratica per smarrirsi in una città come ci si smarrisce in una foresta». De Waal ricorda di aver conosciuto Berlino, prima ancora che da visitatore, attraverso la lettura di Infanzia berlinese intorno al millenovecento di Benjamin, manuale di riferimento per l’arte metropolitana dell’errare, in tutte le possibili accezioni del verbo. Il progetto Irrkunst, pensato per gli spazi della Max Hetzler Galerie a Charlottenburg (uno dei quali è situato proprio di fronte alla scuola elementare frequentata da Benjamin), è dedicato a un dialogo intermediale con lo scrittore e filosofo berlinese, compresi alcuni manoscritti in prestito dal Walter Benjamin Archiv.

Benjamin figurava già tra i numi tutelari di Un’eredità di avorio ed ambra. Dal progetto incompiuto su Parigi capitale del XIX secolo erano tratte gran parte delle scenografie della parte dedicata a Charles Ephrussi, contemporaneo di Proust e dei Goncourt: Haussman, l’intérieur, i feuilleton e il japonisme, quest’ultimo riletto in piena ortodossia benjaminiana: «L’aura che circonda la lacca scaturisce dalla sua irraggiungibilità», chiara eco della definizione di aura come «apparizione irripetibile di una lontananza», oltre che delle notazioni sulle cosiddette “arti minori” contenute nel saggio Il narratore.

Più in profondità, le memorie personali di Benjamin colmano le lacune di quelle familiari di de Waal, come nel passo in cui si ricorda la biblioteca viennese di Viktor Ephrussi requisita dai nazisti, nella quale figurava una «pesante edizione della Divina Commedia rilegata in marocchino e illustrata da Doré, che tanta soggezione incuteva ai suoi figli»: anche qui un’eco benjaminiana, dal la prosa di Infanzia berlinese dedicato alla Colonna della Vittoria: «Non sono mai entrato in questo locale […] temevo di trovarvi rappresentazioni simili a quelle che avevo sfogliato, mai senza terrore, nelle siderografie di Doré per l’Inferno di Dante».

Si potrebbero addurre altri esempi di questa contaminazione di memorie. Basti qui ricordare il destino della collezione di netsuke (piccole sculture giapponesi con funzione di fermaglio) che fa da filo conduttore a Un’eredità di avorio ed ambra. Andato fuori moda il japonisme, dal salon parigino di Charles Ephrussi la collezione migra in uno spogliatoio del palazzo del ramo viennese della famiglia, dove rinasce a nuova (minore) vita tra i giochi d’infanzia: destino parallelo a quello dei Kaiserpanorama secondo Benjamin, che da passatempo per adulti nel secolo XIX, all’inizio del Novecento erano ormai frequentati soltanto da bambini.

L’installazione che dà il nome al progetto berlinese di de Waal, Irrkunst, consta di tre monumentali volumi laccati di nero, sui quali si aprono fessure ad altezze diverse. All’interno delle nicchie sono collocate composizioni di vasi di de Waal, nei quali la lucentezza dell’ossidiana si sposa misteriosamente con le superfici scabre dell’argilla; per osservarle, è necessario accostare gli occhi all’apertura: allora le minimali forme verticali dei vasi dischiudono universi in miniatura. Proprio come nei panorama ottocenteschi, nei quali, secondo Benjamin, era possibile assistere alla dilatazione dello spazio chiuso in paesaggio.

M Maggi insegna letteratura e arti all’Università della Svizzera italiana

marco.maggi@usi.ch