Camminar guardando, 31
                                                            di Stefano de Bosio
dal numero di luglio/agosto 2014
Nel 1959, Frank Lloyd Wright paragonava in un’intervista la libertà formale del nastro-spirale del suo Guggenheim Museum, allora in corso di completamento sulla Fifth Avenue, alle forme severe e squadrate del poco distante Metropolitan Museum of Art che, nelle parole dell’architetto, appariva al confronto un “fienile protestante”. Il Protestant barn ha però dimostrato nei decenni una flessibilità invidiabile nel rispondere alle rinnovate esigenze del museo di massa e della museografia contemporanea, una sfida che il capolavoro di Wright, anche dopo gli importanti lavori di ampliamento intrapresi nei primi anni novanta, ha difficoltà a raccogliere.
Il Metropolitan di oggi è l’esito di una serie di interventi operati sul corpo dell’edificio inaugurato nel 1880, e che, a eccezione della lunga facciata in stile Beaux-Arts sulla Fifth Avenue, completata a sua volta nel 1902, ne risulta all’esterno quasi interamente celato. Condotti sulla base di un masterplan elaborato negli anni settanta, tali ampliamenti si sono succeduti di concerto al progressivo riallestimento delle vastissime ed enciclopediche collezioni del museo. Circoscrivendo lo sguardo agli anni recenti, il 2007 ha visto la riapertura delle gallerie dedicate all’arte greca e romana, gravitanti attorno al monumentale peristilio dove sono presentate le collezioni di scultura romana, delle gallerie per l’arte dell’Ottocento e del primo Novecento e delle gallerie dedicate all’arte dei nativi nordamericani e dell’Oceania: spazi, questi ultimi, ora dominati dai pali rituali alti oltre sette metri, intagliati dagli Asmat della Nuova Guinea. Nel 2011 sono state inaugurate le nuove gallerie dedicate all’arte islamica: la prima riapertura sotto la direzione di Thomas P. Campbell, subentrato nel 2009 a Philippe de Montebello, per oltre trent’anni alla guida del Met. Il gennaio 2012 ha visto il completamento del riallestimento delle gallerie di arte americana, idealmente culminante nella grande sala con il George Washington che attraversa il Delaware, dipinto nel 1851 da Emanuel Gottlieb Leutze e tra le opere simbolo della pittura americana di storia.
The European Painting Rooms nell’allestimento di Keith Christiansen
Ultimo in ordine di tempo è il riallestimento delle collezioni di pittura europea, le European Painting Rooms, ospitate al secondo piano e spazianti dal tardo Duecento al primo Ottocento. Il nuovo progetto espositivo, curato da Keith Christiansen, direttore del dipartimento, ha anzitutto beneficiato del recupero di nove sale precedentemente riservate alle esposizioni temporanee, aumentando così la superficie espositiva di oltre un terzo e portando il numero di opere esposte da circa quattrocentocinquanta a oltre settecento. Questo nuovo, esteso, perimetro ha consentito un ripensamento d’insieme nella distribuzione delle collezioni che, conservando la precedente suddivisione per scuole pittoriche e ambiti cronologici, si presentano ora per nuclei compatti.
Giungendo nelle sale dallo scalone che si diparte dalla monumentale Great Hall di ingresso al museo si incontra dapprima un vestibolo con esposte le tre grandi tele con Battaglie e trionfi della Roma antica di Giovanni Battista Tiepolo, provenienti dal Salone di Ca’ Dolfin a Venezia. Per queste tele alte quasi sei metri, l’allestimento in questo ambiente risultava obbligatorio, essendo l’unico del dipartimento in grado di ospitarle. Tale presenza ad apertura del percorso ha suggerito ai curatori di aggregare nelle sale immediatamente successive le opere italiane del Sei e Settecento. Una scelta che, nelle sezioni dedicate, tra gli altri, ai Carracci, al Guercino, a Guido Reni e Caravaggio, vede ora riflettersi, e in modo plateale, il nuovo interesse per lo studio della pittura del Seicento italiano che ha caratterizzato, anche nei paesi anglosassoni, il secondo Novecento.
Già da queste sale è possibile apprezzare le soluzioni museografiche, di grande garbo ed eleganza, alla base di questo nuovo allestimento: una distribuzione pausata dei dipinti, un grigio antracite per il colore di rivestimento delle pareti, la posa di un parquet di legno in tutte le sale, un’illuminazione zenitale che, dove possibile, fa uso di luce naturale, cartellini identificativi con caratteri bianchi su fondo grigio, di dimensioni adatte per essere letti con agio anche dalla media distanza.
Dalla grande sala dedicata alla Italian Baroque Painting il visitatore vede aprirsi diversi itinerari possibili nelle collezioni, risultato della struttura simile a una doppia H propria dell’edificio. Una varietà che è qui riassunta, emblematicamente, dalla presenza lungo differenti assi visivi della Madonna col Bambino di Duccio di Buoninsegna (acquisita dal Met nel 2004) e del superbo dittichetto con La crocifissione e il Giudizio finale di Jan van Eyck. Come detto, le collezioni fiamminghe e olandesi hanno particolarmente beneficiato dell’acquisizione di nuovi spazi espositivi, con la creazione, ad esempio, di sale tematiche dedicate alla ritrattistica neerlandese tra Quattro e Cinquecento e alla natura morta olandese nel Seicento, nonché indimenticabili sezioni monografiche dedicate a Rembrandt e a Jan Vermeer. Quest’ultima ospita cinque dei trentasei dipinti di cui si compone il catalogo del pittore di Delft, che vi è presente come ritrattista, pittore di genere e di scene allegoriche, con opere appartenenti a fasi diverse della sua carriera, dagli anni cinquanta agli anni settanta del Seicento. Anche la Giovane donna assopita, parte della collezione Altman e dunque presentata fino a oggi negli spazi del museo a essa dedicati, è ora qui esposta.
Tra i passaggi più suggestivi del nuovo allestimento si annovera la continuità con cui la nuova, luminosa sala dedicata a Peter Paul Rubens e Antoon van Dyck si lega, da una parte, con lo spazio in cui sono esposte le opere di Tiziano, Tintoretto e Veronese (ma anche di Lorenzo Lotto e dei Bassano), a suggerire il peso del Cinquecento veneto per il Seicento fiammingo e, dall’altra, la grande tradizione del ritratto inglese del Settecento, con Gainsborough, Reynolds e Lawrence; con gli inglesi, specie per il tramite di van Dyck, eredi di quelle medesime ricerche cromatiche e luministiche. Altro passaggio di indubbia efficacia nel percorso espositivo riguarda lo snodo Francia-Italia nei primi decenni del Seicento, restituito con il ruolo di plaque tournante affidato a una sala dedicata alla pittura di paesaggio nella Roma del Seicento. Qui, i dipinti di Claude Lorrain, cui si affiancano notevoli opere di Pietro Testa, Sébastien Bourdon e Andrea di Lione, si trovano in prossimità della (memorabile) sala dedicata ai dipinti di Nicolas Poussin, dalla quale, proseguendo, si giunge al Settecento, fino allo Jacques-Louis David dei Coniugi Lavoisier e della Morte di Socrate. Dal paesaggio romano, seguendo un altro itinerario, si entra direttamente nel Seicento romano oppure ci si inoltra nella veduta veneziana del Settecento.
Ancora, alla sezione che espone i ritratti di Goya, di fatto estremo cronologico delle collezioni del dipartimento, si accede sia dalla sala dedicata al Seicento spagnolo, con le opere di Jusepe de Ribera e Diego Velázquez, che da quella dedicata ai ritrattisti del tardo Settecento francese, dove la presenza importante di opere di Elisabeth Vigée-Lebrun e di altre pittrici s’incarica di sottolineare la qualità della pratica artistica “al femminile”. Altri passaggi risultano invece meno parlanti, come l’accostamento tra la sala dedicata ai piccoli formati del Settecento francese, con Boucher e Watteau, e la sala con opere di Domenico Ghirlandaio e dei Della Robbia.
Ospitata negli spazi al centro del nuovo allestimento, la presentazione della pittura italiana del Tre e Quattrocento rappresenta indubbiamente una delle identità forti del dipartimento, con Siena, Firenze e Venezia in posizione di privilegio in considerazione della qualità delle opere esposte, da Duccio a Simone Martini, da Filippo Lippi a Botticelli, a Giovanni Bellini, ma anche Mantegna e Antonello da Messina. L’allestimento è stata l’occasione anche per dotare alcune opere di nuove cornici d’epoca, tra cui spicca la cornice veneziana di primo Cinquecento che ora inquadra la Meditazione sulla Passione di Vittore Carpaccio. Per mezzo di prestiti del dipartimento di scultura europea e di arti decorative, due sezioni di taglio tematico affrontano, rispettivamente, la pittura di cassoni e le relazioni tra pittura e scultura nella Firenze del Quattrocento, con opere di Ghirlandaio, Desiderio da Settignano e Luca della Robbia. Ugualmente, una sala è dedicata alle diverse tipologie del polittico tardogotico, accostando il contesto italiano con quello spagnolo e franco-fiammingo. Una scelta in cui si riconosce, in controluce, quella medesima sensibilità al confronto tra opere di contesti culturali diversi che, implicitamente, innerva nel suo insieme queste nuove sale per gli Old Masters.
stefano_debosio@yahoo.it
S de Bosio è dottore di ricerca in storia dell’arte moderna all’Università di Torino