Bill Viola. Rinascimento elettronico

Un americano a Firenze – Camminar guardando, 42

di Laura Iamurri

dal numero di luglio/agosto 2017

È un festoso ritorno, quello di Bill Viola a Firenze, in un certo senso un ritorno a casa, nel luogo di origine di molte delle sue idee e delle sue opere. Firenze è la città nella quale l’artista americano è arrivato poco più che ventenne, nel settembre 1974, per lavorare come primo assistente e direttore tecnico del laboratorio di produzione video art/tapes/22 fondato da Maria Gloria Bicocchi. Con una laurea in experimental studies alla Syracuse University e qualche realizzazione di video alle spalle, Viola è stato per circa un anno e mezzo – dal settembre 1974 al febbraio1976 – il principale collaboratore degli artisti che arrivavano nel capoluogo toscano per cimentarsi con una tecnologia allora in una fase decisamente sperimentale: da Giulio Paolini a Giuseppe Chiari, da Chris Burden a Charlemagne Palestine, e ancora Gino de Dominicis, Arnulf Rainer, Joan Jonas, Daniel Buren, Urs Lüthi, sono davvero molti gli artisti che si sono affidati – come documentano le fotografie di Gianni Melotti – alla expertise professionale di quello che per tutti era “il tecnico americano”.

A margine delle attività nel laboratorio di via Ricasoli, Bill Viola scopriva il contesto urbano fiorentino: come l’artista ha più volte ricordato, Firenze è la città in cui ha imparato che il posto dell’arte non è esclusivamente il museo, e che l’arte e la sua storia possono essere parte della vita quotidiana; che la disseminazione del patrimonio nel tessuto urbano e extraurbano riserva incontri inaspettati e felici, e mette continuamente in relazione il passato e il presente, collocando tutto – in termini percettivi – in una contemporaneità che ha la profondità e lo spessore della stratificazione storica. Ora, a distanza di più di quattro decenni da quel primo e fondamentale soggiorno dell’artista a Firenze, Palazzo Strozzi gli dedica una importante retrospettiva curata dal suo direttore Arturo Galansino insieme a Kira Perov; la mostra coinvolge tutti gli spazi espositivi dell’edificio e prosegue anche all’esterno, nella città, con opere allestite al Museo dell’Opera del Duomo (Acceptance, 2008, e Observance, 2002); nell’ex Cenacolo di Santa Maria Novella (Tempest. Study for the Raft, 2005); nella Galleria degli Uffizi (Self Portrait, Submerged, 2013); e nei dintorni, nel Museo della Collegiata di Sant’Andrea a Empoli (Sharon, 2013).

Bill Viola, la retrospettiva

Come appare evidente dalla rete di relazioni imbastita con le istituzioni museali cittadine e non, la retrospettiva di Palazzo Strozzi si distingue dalle numerose esposizioni precedenti per il desiderio di mettere in dialogo diretto l’artista americano e i contesti storici, le opere video e i dipinti dei maestri rinascimentali che le hanno – più o meno direttamente – ispirate. A dire il vero, il confronto forse più spettacolare, quello fra The Greeting e la Visitazione di Pontormo, era già stato visto nel 2001 a Carmignano e nel 2014 a Palazzo Strozzi in occasione della mostra Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera, ma in entrambi i casi si era trattato di una conversazione a distanza, essendo le opere allestite in ambienti separati. Questa volta invece le due opere convivono nello stesso spazio, in un dialogo emozionante e magnifico, in un accrochage che ne rispetta le differenti qualità visive lasciando allo sguardo del pubblico la libertà di vagare dall’una all’altra, esplorandone le assonanze e ripercorrendone le suggestioni.

Il confronto con le opere del passato si estende questa volta in maniera ambiziosa ma rimane, come sottolinea Galansino nel suo saggio in catalogo, “circoscritto filologicamente a opere, temi, artisti e luoghi che hanno davvero contato per l’artista”. E dunque nelle sale di Palazzo Strozzi si succedono l’austera “predella elettronica” di Catherine’s Room e il dossale con Caterina da Siena fra quattro beate dominicane dipinto da Andrea di Bartolo; il video Emergence e l’affresco staccato di Masolino da Panicale raffigurante il Cristo in pietà, affrontati in un ambiente relativamente piccolo (che, per una volta, non permette una fruizione ottimale); la lunetta di Paolo Uccello con il Diluvio universale e recessione delle acque che precede e introduce il ritmo affannoso di The Deluge; e infine le due tavole di Lucas Cranach con Adamo e Eva, quasi specchio ideale e libero dalle tracce del tempo che governa i gesti delle due figure proiettate su granito nero di Man Searching for Immortality e Woman Searching for Eternity.

Nel percorso allestito al piano nobile questi preziosi confronti sono alternati ad altre opere di Bill Viola, scelte tra le più celebri (come The Crossing) o a loro volta parti di una serie più ampia ed evocatrici nel ritmo e nel racconto di altre opere rinascimentali (come The Path). Sono opere che, come le altre già citate, fanno riferimento a periodi diversi della vita e dell’opera di Viola, a partire da quello che può essere considerato il momento del riconoscimento internazionale dell’artista, quando nel 1995 venne scelto per rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia. In quella occasione furono pensate e progettate The Greeting e l’installazione sonora Presence; le opere successive, sgranate negli ultimi due decenni, portano le tracce delle esperienze intellettuali maturate in questi anni, quali ad esempio la ricerca sulle passioni condotta nel corso di una lunga residenza al Getty Research Institute. Il perfezionamento tecnologico e il ricorso a un sistema di produzione sempre più sofisticato, e sempre più simile a quello del grande cinema, sono la parte sommersa di questo lavoro, quella che resta celata dietro la assoluta perfezione formale delle immagini video. È un merito non minore di questa mostra aver messo a disposizione del pubblico una piccola ma significativa documentazione fotografica che permette di gettare uno sguardo dietro le quinte, alle fasi di montaggio dei set e di tournage, alle vedute d’insieme delle scene e alle immagini che fissano in uno scatto le relazioni tra l’artista e la nutrita schiera dei suoi collaboratori. Accanto e insieme alle fotografie di scena, chi volesse capire meglio le opere di Bill Viola, o farsi un’idea del contesto internazionale in cui il suo lavoro si è inserito in quattro decenni e mezzo di attività, ha a disposizione una bibliografia molto ben selezionata, assemblata in una piccola sala negli ambienti sotterranei della Strozzina.

A fronte della altissima definizione e della vertiginosa levigatezza delle immagini più recenti, le opere degli anni settanta mostrano tutto il tempo trascorso anche dal punto di vista della strumentazione e delle possibilità tecniche: le immagini sgranate, la semplicità della composizione, la brevità dei video rimandano a un’epoca quasi pionieristica, in cui i limiti di una tecnologia ampiamente perfettibile lasciavano tuttavia già intravedere le potenzialità di esplorazione di un linguaggio tutto da inventare. Nella secchezza della durata limitata e nella qualità incerta delle immagini, il carattere sperimentale e la genialità di alcune invenzioni non hanno perso tuttavia la loro capacità di incantamento: come il tentativo di catturare i miraggi nel calore tremolante di Chott el-Djerid; o come la vicenda insondabile che si snoda nei sette minuti magici di The Reflecting Pool. Indietro nel tempo, i brevissimi e ingegnosi video realizzati ancora a Syracuse, concentrati su temi e scarti temporali minimi, hanno via via lasciato spazio a una attitudine più contemplativa, che a Firenze ha assunto il carattere di una vera e propria riflessione visiva sul tempo (Eclipse). Anche in questo caso si tratta di un ritorno: parte dei lavori del 1973 e 1974 in mostra alla Strozzina erano già stati esposti nel 1974 in occasione della rassegna Americans in Florence. Europeans in Florence. Videotapes produced by art/tapes/22, prodotta dal museo di Long Beach e documentata dal catalogo edito dal Centro Di. In questa chiave di ritorno, e di rievocazione tanto del clima della Firenze anni settanta quanto della scena effervescente del laboratorio video di Maria Gloria Bicocchi (opportunamente ricordata attraverso una bella selezione di immagini), è giusto chiudere questo percorso con l’installazione Il vapore: oggi di proprietà del Maxxi Museo delle Arti del XXI secolo, Il vapore è stata presentata nel 1975 in occasione della prima mostra personale di Bill Viola in Europa, allestita all’interno del ciclo “Per conoscenza” allo spazio Zona di Firenze, e segna un tentativo di coinvolgimento del pubblico anche a un livello percettivo più esteso e più fisico, uditivo e olfattivo. Rimane una testimonianza importante dell’esplorazione ad ampio raggio compiuta da Viola prima della concentrazione esclusiva sulla qualità dell’immagine e sulla sua esistenza nello spazio.

laura.iamurri@uniroma3.it

L Iamurri insegna storia dell’arte contemporanea all’Università Roma Tre

Bill Viola. Rinascimento elettronico – Dal 10 marzo al 23 luglio 2017 – Palazzo Strozzi, Firenze