Mauro Bennici – Un guscio vuoto

OPERA SCELTA PER IL RETELLING: The Chicken Chronicles: Sitting with the Angels Who Have Returned with My Memories: Glorious, Rufus, Gertrude Stein, Splendor, Hortensia, Agnes of God, the Gladyses, & Babe: A Memoir (Alice Walker, New Press, 2011)

ELEMENTO SCELTO: personaggio – Gloria (Glorius)

Mauro Bennici
Un guscio vuoto

La luce pallida dell’alba filtra tra le assi del pollaio. Sbadiglio, accoccolata nel calore della paglia. Un’altra magnifica giornata mi aspetta. Scuoto le piume, allungo le zampe, accompagno il formicolio del miracolo quotidiano.

I passi di Peter. Il mio cuore batte forte. Tra un attimo lui verrà a prendere il mio dono.

Il canto di Rufus squarcia il silenzio, un richiamo forte e fiero che dichiara al mondo: “È mattina, svegliatevi tutte!”. Mi tiro su e allungo il collo verso terra. Alzo e allargo la coda fino a sentire la schiena fare croc. Il pollaio ruggisce in una cacofonia di zampe, becchi e piume.

Qualcosa non quadra. «Hen, che succede fuori?»

L’anziana muove l’ala piano verso il basso. Cala il silenzio.

Le pareti di legno vibrano. Un ronzio sordo, come di una cavalletta gigante. Un suono monotono mai sentito prima. La vibrazione scivola lungo la parete fino alla porta, coprendo la luce sul suo percorso. Salto verso Hen. Devo vedere.

Un clic. È la mano di Peter che spinge il chiavistello con quella delicatezza che riconoscerei tra mille. La porta cigola. Sono in controluce, ma è la sua sagoma. Che paura che ho avuto.

«Ciao!» saluto Peter, ma lui si sposta di lato. «Perché non entri?»

Un aggeggio tozzo spunta dietro le sue gambe e incede verso di me. Il ronzio è il suo verso. Cosa faina è? Grigio, lucido, con bracci metallici che si muovono come serpenti. Indietreggio, le zampe affondano nella paglia.

Gloria, calmati. È con Peter, non può farti del male.
Balzo nella mia cesta. A proteggere l’uovo. Non può essere vero. Incasso il collo tra le piume. Mi appiattisco il più possibile. Chiudo gli occhi. Tutto andrà bene. Urla e schiamazzi. Non è vero. Sto sognando. È un incubo. Svegliati Gloria. Svegliati!

Il ronzio si fa più forte, più vicino. Mi faccio piccola piccola. Vai via. Via. Peter, aiutami. Perché? Perché io? Un artiglio ghiacciato mi afferra al collo.
Spalanco gli occhi. La bestia mi immobilizza e mi solleva appena. Scalcio, mi dimeno. Una chela mi penetra in mezzo alle zampe. Il freddo mi invade dentro.

«No!» Incrocio le zampe per impedirgli di prenderlo. «Lascialo stare.»

La chela si ritrae. Riflette la luce fioca dell’alba e stringe tra le sue grinfie il mio uovo. Ha strappato un pezzo di me senza alcuna pietà. Senza amore, senza calore, senza chiedere permesso. Peter lo prende sempre con mani calde, parlando a bassa voce, perché ogni uovo è un dono prezioso. Perché ha lasciato che questo animale lo prendesse con indifferente brutalità, come un sasso?

La bestia mi lascia e prosegue. La violenza si ripete per tutte noi. Ancora e ancora. Maledetto! Scatto in piedi, le zampe tremano. Respiro con affanno. Balzo giù, ma il volo è incerto. Il ginocchio cede all’impatto al suolo, sbatto un’ala e ruzzolo a terra.

«Basta!» Mi avvento contro l’intruso e lo becco. Che male! Sono di nuovo a terra.

Rufus entra nel pollaio con passo lento e maestoso. Le piume del collo arruffate, il petto gonfio d’orgoglio. «Che sta succedendo?» Si ferma davanti a me, inclinando la testa con aria interrogativa.

«La cosa.» Sibilo, senza staccare gli occhi dal nemico. «Ha preso il mio uovo. Le nostre uova.»

Rufus mi aiuta a rialzarmi e si dirige con movimenti freddi e precisi verso l’invasore. Osserva l’ennesima violenza senza sollevare una piuma. Sbuffa. «E allora? È quello che succede sempre. Deponi l’uovo, loro lo prendono.»

«Non è lo stesso.» Gli corro contro e lo spintono via. «Non capisci? Peter ci ama. Parla con noi. Gioca con noi. Questa cosa… ci tratta come oggetti.»

Lui ride, un suono breve e gutturale che mi ferisce più di quanto voglia ammettere. «Sei troppo sentimentale, Gloria. Peter è il passato, macchina è il futuro e non importa chi prende l’uovo. L’importante è che il ciclo continui.»

«Ciclo?» La parola mi graffia la gola. «Non siamo macchine, Rufus. Ogni uovo è una parte di me. Come fai a non capirlo? Sono anche figli tuoi.»

Scuote la testa e mi punta con il becco appuntito. «Ascolta, Gloria. Non metterti nei guai. Loro vogliono le uova, loro si prendono le uova. E chi non depone uova…»

«Non prendermi per una stupida! So benissimo come funzionano le cose. Ma questo è troppo. Io ho chiuso!»

I suoi occhi si incrinano. Le due fossette sopra il becco si addolciscono. «Peter non è gentile, Gloria. Fa il suo lavoro. E se non facciamo il nostro…»

Alzo le piume e strillo. «Non mi interessa. Non deporrò più uova se Peter non torna a fare il suo lavoro. Non finché ci sarà macchina
Peter. Dove è andato?

Macchina torna verso di me. Il pavimento crepita. Non riesco a muovermi, sono bloccata. Rufus mi sposta e mi abbraccia al sicuro tra le sue ali. Mi accuccio sotto di lui. L’ombra  minacciosa si posa su di me. Non respiro. Non ce la faccio. Le orecchie rimbombano.

Il rumore si allontana. Il cuore si calma. Devo riposare. Devo pensare.

Rufus apre le ali e le inchina verso il terreno. Il capo in basso, sotto il mio becco. «Ripensaci, piccola. Non hai idea di cosa vuoi fare. Non voglio perdere anche te.»

«Lo so benissimo.» Sollevo il becco con determinazione. Se volessi gli staccherei la cresta. «Non sono una macchina da uova. Non mi piegherò.»

«C’è qualche altra testa di legno che la pensa così?» Il tono secco di Rufus taglia il pollaio.

Cerco uno sguardo, un cenno di intesa, di comprensione tra le mie compagne. Chi abbassa gli occhi al mio passaggio. Chi piange. Chi fissa il vuoto, immobile. Chi trema.
Stupido pollo. Sempre successo, dice.

Un profondo respiro, ali pronte e salto. Mi aggrappo con la punta delle zampe alla cesta. Siedo piano, come se l’uovo fosse ancora al suo posto, al caldo, sotto di me. Il freddo del rapimento risale il piumaggio. Maledetto. La testa picchietta avanti e indietro. Avanti e indietro. L’orribile verso sfuma e scompare nei rumori del giorno, ma il freddo non mi molla.

La porta è aperta, ma nessuna esce. Rufus si muove tra le ceste. Invita a prendere il sole, ad andare a mangiare. Che insensibile pennuto.

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Al canto di Rufus non mi muovo. Non ho motivo di farlo. La porta si apre da sola come animata dal vento. Da qualche giorno anche lei è una macchina.

Voglio solo il caldo del mio corpo. I muscoli del ventre mi fanno male. Ogni fibra, ogni tendine, ogni piuma mi implora di cedere, di tornare al ciclo. Ma non ci riesco. Non ho più paura della bestia. Venga pure a prendermi per il collo. Venga pure e frugare tra le mie cosce. Non troverà nulla. Nulla.

Voglio dormire. Voglio sognare le mani di Peter, il suo sorriso malinconico. Lo stesso dell’inverno scorso, quando la tempesta abbatté un ramo del carrubo sul pollaio. Aveva lavorato tutta la notte sotto la pioggia per ripararlo. Tremavo dalla paura e lui mi ha stretto tra le sue mani per scaldarmi. Le sue mani, calde e ruvide, non come quelle chele di ferro.
Sono una stupida. Mi aggrappo a un ricordo come se fosse una speranza. Ha ragione Rufus. Mi farò ammazzare per la mia testardaggine e nulla cambierà.

Rufus fa il suo ingresso nel pollaio. Cresta rossa in bella mostra e coda a tre livelli dal verde al giallo. Non glielo dirò mai, ma mi manca. Lui mi guarda da lontano, inclinando il becco di un semino di girasole appena.
Hen sloggia i letti caldi per impedire che macchina ci faccia del male. Quelle uova abbandonate, pronte per essere prese mi straziano. Lasciate senza lottare. Inermi. Piango, aspettando il sonno.

«Mangia qualcosa.» Sbatto gli occhi alla voce di Hen. Ha lasciato del miglio per me. «Sei tutta zampe e piume.»

Plano al suolo. «Grazie.» Gli occhi bruciano, il sole deve essere alto e forte. Un paio di beccate, senza appetito.

«Un uovo ogni tanto, bambina mia. Uno solo.» Hen china il capo, mi pulisce dalle penne smorte e si avvia fuori.

Alla spicciolata, a turno, mi portano semi, bacche, germogli da mettere sotto il becco. Alcune mi guardano con sospetto, come se il mio rifiuto di collaborare con la bestia ronzante fosse una minaccia per tutte. Altre bisbigliano. «Un uovo, solo uno.»

Il momento si avvicina, lo sento. Come si fa a farsi prendere un uovo ogni tanto a quel modo? Che la fine arrivi presto. Tra non molto morirò di stenti e gli risparmierò la fatica. Sono stanca. Ho sonno.

#

Dei passi si avvicinano alla porta. Non c’è luce all’esterno. Rufus non ha cantato. Le mie penne esterne sono fredde e umide. Chi viene di notte? Una donnola? Il chiavistello gira. Ho il cuore in gola. Un uovo, un uovo soltanto.

Un fascio di luce mi colpisce. Un’ombra copre l’ingresso. L’odore di Peter mi avvolge. Il blu della notte evidenzia i suoi occhi stanchi e le enormi mani. Mi guarda con un sorriso dolce, malinconico. Lo stesso della notte della tempesta.

«Gloria.» La sua voce è un canto, basso e avvolgente. «Sei sempre stata speciale. Ma ora è tempo di andare.» Mi indica la porta.

Sapevo che sarebbe successo, ma non è mai come ce lo si aspetta. Sono sicura che sono tutte sveglie. Che mi ricordino coraggiosa come un cigno anche se dentro sento solo vuoto e freddo. Un profondo respiro e volo direttamente oltre la soglia.

Wow! Il cielo è meraviglioso. Mille lucine che scintillano come lucciole.

Il fruscio del vento si intrufola tra i rami degli alberi. Attenta, le donnole!
Che stupida, sono con Peter. Lo osservo mentre apre la porta del casotto alla fine di tutto con la sua lucina oscillante.

Indietreggio di un paio di passi. Lo seguo o corro verso il pollaio, verso la mia cesta? L’uovo da fare, almeno uno ogni tanto. Il ronzio! Un’eco distante, ma presente. Lo sento. Forse nel vento, forse nel ventre.

Peter si inginocchia accanto a me carezzandomi la testa con delicatezza, sussurrando parole dolci come una ninna nanna. «Gloria, Gloria.» Nei suoi occhi c’è una profonda tristezza, un sentimento che non so spiegare. Mi solleva delicatamente tra le sue calde mani che odorano di terra e sole.

Mentre il pollaio riposa, il mio cuore è di nuovo in pace. So che, fino alla fine, sono stata amata. Ma, per un attimo, ripenso a quel maledetto giorno. Peter accanto a macchina. Peter che si fa da parte. Peter che lascia fare. Lo becco sulla mano e non appena la sua morsa si allenta svolazzo via verso l’albero ferito dalla tempesta.

Mannaggia a me e al mio pessimo allenamento. Sterzo a destra e poi a sinistra, poi di nuovo a sinistra. Le sue mani sono troppo lente per afferrarmi. Il tronco è proprio davanti a me.

Peter mi taglia la strada e si piazza tra me e il carrubo. L’uomo è troppo alto perché possa saltarlo. Fingo di andare a destra ma lui non abbocca. Tiene la distanza. «Fottuta gallina, dove credi di andare?» Ridacchia ansimante.

Figlio di un mammifero. «Volevi tirarmi il collo e io sarei cosa? Villano!»
Dove vado adesso? Riprovo a scattare a destra. È inutile. Peter si avvicina ingobbito con le braccia spalancate come le mascelle di un lupo.

«Chicchirichì!» Rufus? Adesso? L’aia esplode in versi e zampettii. Amato pennuto.

Peter si volta verso il pollaio. È il mio momento. Saetto tra le sue gambe e corro più veloce che posso.

Sento il suo ringhiare alla coda. Mi arrampico sulla corteccia con le zampe facendo ricorso alle mie ultime forze. Stremata, volo verso il primo ramo. Lo avvinghio e proseguo. Un salto verso il secondo e ancora un altro per il terzo.
Ho il fiato azzerato e gli occhi a fessura, ma sono lontana dal suolo. Le zampe sono intorpidite, ferite, e mi brucia il petto.

Il puntino in basso agita le sue ali senza piume e urla senza sosta. Mi si congelassero le chiappe, io da qui non scendo. Per andare dove? Da quel guscio vuoto di Peter?

È da giorni che non mi sentivo così. Non sono una macchina da uova e sai che ti dico? Quasi quasi, proprio qui, senza tetto e senza paglia, faccio un uovo. Perché lo voglio fare io!
Stringo le zampe, chiudo gli occhi e immagino un uovo caldo sotto di me. Un uovo che nessuno mi porterà via. Un uovo che non nascerà mai, ma che è mio, solo mio. E se dovessero arrivare le donnole o le pallottole… pazienza: è così che deve andare il mondo.

Però, quanto mi piacerebbe vedere l’alba da qui.