di Giulia Baselica
Arkadij e Boris Strugackij
Lo scarabeo nel formicaio
trad. dal russo di Claudia Scandura, ed. originale 1979
pp. 245, € 18,50
Carbonio, Milano, 2024
Apparso sulla rivista moscovita “Znanie – sila” fra il 1979 e il 1980, Lo scarabeo nel formicaio (Žuk v muravejnike) appartiene al ciclo “Universo di mezzogiorno” ed è il secondo romanzo di una trilogia costruita intorno al personaggio di Maksim Kammerer. È preceduto da L’isola abitata (Carbonio 2021) e seguito da Le onde placano il vento (Mondadori 2023).
Autrice della nuova traduzione e del saggio critico “Lo scarabeo nel formicaio”: una riflessione sulla sicurezza della Terra e sulla libertà dell’individuo che segue la Postfazione di Boris Strugackij, è la studiosa Claudia Scandura, alla quale si deve anche la prima versione italiana del romanzo, pubblicata da Editori Riuniti nel 1988.
Narrata in prima persona e in forma di annotazioni, appunti di diario e resoconti ufficiali, questa “detective story fantascientifica” si svolge in quattro intensissimi giorni, dal 1° al 4 giugno 2178, ma la molteplicità di avvenimenti, flashback e digressioni proiettano la narrazione oltre ogni confine spazio-temporale per sottoporre al lettore un tema di natura etica: la necessità di controllare il progresso scientifico per garantire la sicurezza della collettività a detrimento del vantaggio del singolo.
Maksim Kammerer è incaricato di ritrovare un certo Lev Abalkn, partito per una missione sulla Terra e, apparentemente, scomparso nel nulla. Riceve da Sua Eccellenza, alias Rudolf Siroskij, il dossier relativo al misterioso individuo e, sul retro del primo foglio, che contiene scarne informazioni biografiche, è tracciata la lettera ‘ž’, iniziale del termine žuk, ‘scarabeo’. Il caso è complesso e Kammerer comprende subito che l’autentico interrogativo riguarda non il modo e il luogo in cui Abalkin si è nascosto, bensì la ragione per la quale si è deciso di cercarlo, in assoluta segretezza e in soli quattro giorni.
Il dossier contiene sintetiche relazioni inerenti ai soggetti che, a vario titolo, hanno intrattenuto rapporti con Abalkin e che Kammerer tenterà di intervistare. Lev è un “figlio postumo di genitori vivi” e, secondo la testimonianza di un suo insegnante ormai centenario, da adolescente manifestava comportamenti inconsueti. Delle carte affidate a Kammerer il documento più interessante è un rapporto redatto dallo stesso Abalkin: il dettagliato resoconto dell’esplorazione del pianeta Pandora, obiettivo dell’“operazione mondo morto”, narrazione autonoma e incastonata nel romanzo, oltre che visionaria raffigurazione del destino delle civiltà. Pandora è un immenso territorio abbandonato, teatro di una violentissima battaglia e Abalkin annota una sua potente intuizione: “i più vari cataclismi – si tratti di un’epidemia globale o di una guerra mondiale o di una catastrofe geologica – portano in superficie sempre lo stesso sentimento: odio, egoismo bestiale, crudeltà, che sembrano giustificati, ma non hanno invece nessuna giustificazione”.
Un’ampia sezione del documento è dedicata a un essere per il quale Abalkin nutre una profonda affezione. Si chiama Ščekn, è una creatura intelligente, non umana e del tutto simile a un cane nell’aspetto e nel comportamento. Abalkin ha conosciuto Ščekn cinque anni prima: si è preso cura di lui, gli ha insegnato la propria lingua, lo ha assistito quando si è ammalato, eppure sa di non conoscerlo a fondo, forse perché Ščekn è una sorta di alter ego della specie umana terrestre, incarnazione di una coscienza dialogante, capace di rilevare le profonde contraddizioni della condotta e degli atteggiamenti umani. Quando sputa e bestemmia ricorda Šarik, il randagio che nel racconto bulgakoviano Cuore di cane subisce un trapianto di ipofisi, proveniente dal cadavere di un uomo assassinato in una bettola.
I frammentari riferimenti a Ščekn catturano l’interesse di Kammerer, che avvia una ricerca, consultando il “Grande servizio di informazioni planetarie”, il sistema antesignano del World Wide Web. Scopre che Ščekn non è un terrestre né un umanoide, che le informazioni al suo riguardo sono innumerevoli, ma sostanzialmente contraddittorie: alla fine degli anni Settanta i fratelli Strugackij avevano già preconizzato non soltanto l’avvento della Rete, bensì, soprattutto, l’insidioso e preteso potere dell’illusoria onniscienza di cui si ammanta ogni interrogante.
Ščekn appartiene al popolo dei Testoni, i quali vivono in tane, disconoscono l’importanza delle telecomunicazioni e attribuiscono, invece, un prezioso valore alle interazioni personali. Kammerer raggiunge poi il pianeta Sarakš, dove è accolto da un guardiano che assomiglia al poeta Aleksandr Blok e che gli rivela il motto cui si rifà il popolo dei Testoni: “Siamo per la conoscenza e non per la curiosità”. Qui Kammerer intervista Ščekn, il quale, nel corso di un colloquio faticoso e discontinuo, dichiara che la questione Abalkin riguarda esclusivamente il popolo della Terra.
Al termine di una rocambolesca ricerca Kammerer incontra Maja Glumova, che gli rivela di aver intrattenuto con Abalkin una travolgente relazione sentimentale, interrotta all’improvviso e senza motivo. Ma, soprattutto, la donna confessa di averlo incontrato il giorno prima. Insieme a Sua Eccellenza, Kammerer raggiunge quindi il Museo delle Civiltà extraterrestri. Nello studio di Maja Glumova incontrano Izaak Bromberg, storico della scienza, esponente del movimento dei Giuisti – sostenitori del “diritto della scienza di svilupparsi senza limiti” – e in possesso di importanti informazioni relative alle circostanze della nascita e all’identità di Lev Abalkin, potenziale e grave pericolo per l’umanità. Inaspettatamente il misterioso individuo si materializza dinanzi a Sua Eccellenza e tra i due scoppia un alterco. Di lì a poco Kammerer esorterà Lev Abalkin a mettersi in salvo su un altro pianeta, ma il suo accorato discorso sarà interrotto da un malore provocato da un colpo inferto dal suo stesso interlocutore. Sarà troppo tardi quando, ripresi i sensi, Kammerer raggiungerà, per l’ultima volta, lo studio di Maja Glumova: il destino fatale si sarà già compiuto.
Lo scarabeo nel formicaio, metafora che sintetizza il messaggio consegnato al lettore, è un romanzo che avvince per la pluralità delle sue possibili interpretazioni e per la molteplicità delle voci e dei punti di vista che intessono la trama. Se è l’enigmatico personaggio di Abalkin a dinamizzare la narrazione e a trascinarci in un percorso accidentato, con stalli improvvisi e inaspettate aperture, le contestuali testimonianze scritte, microracconti che contribuiscono all’unitarietà del romanzo, contengono riflessioni generate dai sentimenti più vari. Superando i confini della finzione, oltre che del contesto geografico, politico e culturale nel quale operano gli Autori, esse giungono al lettore del nostro tempo non per offrirgli risposte puntuali, ma per invitarlo a porsi grandi domande.
(giulia.baselica@unito.it)
G. Baselica insegna lingua e letteratura russa all’Università di Torino