Contro l’impunità e l’oblio
di Diego Guzzi
Valeria Deplano, Alessandro Pes
Storia del colonialismo italiano
Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni
pp. 228, € 19,
Carocci, Roma 2024
È una sintesi istruttiva ed efficace quella che Valeria Deplano e Alessandro Pes – entrambi docenti di storia contemporanea all’Università di Cagliari – hanno dedicato alle vicende del colonialismo italiano ripercorrendone le principali fasi, dall’acquisizione della baia di Assab in età postunitaria sino al termine dell’amministrazione fiduciaria in Somalia, conclusasi nel 1960. Proprio la scelta di ragionare sui tempi lunghi di questa storia, durata tre quarti di secolo, è un elemento meritorio del volume, che sfata irrevocabilmente il mito autoassolutorio di un colonialismo (almeno a tratti) buono; mostrando invece, grazie a un’attenta selezione di fonti e a un solido corredo bibliografico, che la condotta criminale non si limitò ai soli anni del fascismo.
Il primo dei tre corposi capitoli in cui il libro è articolato si incentra infatti sull’età liberale (dagli anni ottanta dell’Ottocento alla svolta della prima guerra mondiale) e illustra con argomentazioni stringenti come già in quella fase fossero elementi strutturali del disegno espansionistico tanto la rivendicazione di improbabili continuità con la presenza degli antichi romani in Nordafrica quanto la gerarchizzazione razziale e la persecuzione sistematica di oppositori e resistenti, comprese le deportazioni e le esecuzioni sommarie cui si aggiunsero, durante la spedizione contro la Libia del 1911, i bombardamenti aerei sulla popolazione civile. Emerse altresì, fin da subito, il saldo intreccio strettosi tra potere politico, interessi industriali e moralismo cattolico, per camuffare la volontà di conquista dietro la retorica di una missione civilizzatrice che avrebbe rappresentato l’eccezionalità del colonialismo italiano, rispetto al vorace imperialismo delle altre potenze europee. Nella realtà, i territori occupati vennero sistematicamente depredati, e le popolazioni locali sottoposte a provvedimenti discriminatori che le subordinarono ai coloni, anche allo scopo di articolare per contrasto, mediante la loro razzializzazione, una nuova declinazione biologica dell’identità italiana.
Il volume si concentra quindi sul periodo fascista, rilevando le continuità con l’epoca precedente e al contempo descrivendo le azioni e le strategie finalizzate all’ulteriore estensione e consolidamento della presenza nelle colonie. Vero è che gli eventi fondamentali di questa fase sono mediamente più noti, perché indagati da una storiografia coraggiosa (quella di Angelo Del Boca, di Giorgio Rochat, poi di Nicola Labanca) che, seppur marginalizzata, già negli scorsi decenni riuscì a sollecitare nel dibattito pubblico alcune prime riflessioni sulle colpe italiane in Africa. Ma è comunque utile la ricapitolazione offerta da Deplano e Pes, che riprendono e aggiornano quei lavori mettendo opportunamente a fuoco la spietata sequela dei crimini fascisti: dall’impiego genocidario dell’iprite sulle popolazioni civili in Cirenaica alla strage di Yekatit 12, perpetrata ad Addis Abeba nel febbraio 1937 in reazione all’attentato al viceré Rodolfo Graziani; dalla brutale eliminazione dell’élite politica e religiosa dell’Etiopia alla creazione di dispositivi giuridici discriminatori, come le “leggi sul madamato”, che vietarono ai coloni di intrattenere relazioni coniugali con donne africane e finirono per ispirare la successiva legislazione antisemita introdotta in Italia nel 1938 con l’emanazione delle leggi razziali.
L’ultimo capitolo sposta infine l’attenzione sulla storia repubblicana, che sino a tempi recenti non ha segnato rotture rispetto al passato. Nell’immediato secondo dopoguerra i governi italiani negarono le responsabilità – o le minimizzarono o le circoscrissero ad alcuni eccessi del regime fascista – anche allo scopo di strappare alle potenze vincitrici il permesso di mantenere una presenza territoriale in Africa. Il progetto fallì e allora sull’intera vicenda cadde ufficialmente il silenzio, che non venne in fondo scalfito nemmeno dalle rivendicazioni delle ex colonie, sia per le complesse vicende politiche che riguardarono ciascuna di esse nella seconda metà del Novecento, sia per l’assai esiguo afflusso di migranti postcoloniali sul nostro territorio nazionale. In una sorta di larga intesa omertosa, i riferimenti all’“Oltremare” scomparvero dalla manualistica scolastica e i rari appelli alle istituzioni, relativi per esempio alla restituzione del patrimonio saccheggiato, caddero nel vuoto. Si è dovuto attendere il 1997 per una prima ammissione formale, quando il presidente Scalfaro in visita ad Addis Abeba definì criminale l’occupazione italiana dell’Etiopia. Al tempo, gli echi nel dibattito politico furono deboli ed è dovuta trascorrere ancora una generazione perché la questione, dopo una lunghissima stagione di amnesie, si stia finalmente affacciando nell’agone della memoria pubblica. Tra le spie di questo tardivo interesse vi è oggi, per contrapposizione, anche la reazione negazionista che su questi temi sta dilagando, in modo sistematico e organizzato, in particolare nel web: un revisionismo rancoroso che addita come “cultura della cancellazione”, forse non scorgendo il tratto paradossale di questa accusa, ogni tentativo di recuperare il passato rimosso. Il volume di Deplano e Pes è un robusto argine contro queste risacche nostalgiche e contro gli apologeti incalliti dell’impunità e dell’oblio.
guzzidiego@gmail.com
D. Guzzi insegna filosofia e storia nei licei