di Giulia Muggeo
Michele Sancisi, Simone Annicchiarico
100% Walter
Chiari. Biografia di un genio irregolare
pp. 480, € 22,
Baldini+Castoldi, Milano 2024
Il 2024 è un anno di anniversari e ricorrenze fondamentali per la storia dello spettacolo italiano. Tra i centenari che abbiamo recentemente festeggiato spunta, forse inaspettatamente, anche quello di Walter Chiari, scomparso a sessantasette anni il 20 dicembre del 1991. “Come può l’eterno Peter Pan del teatro, del cinema e della televisione compiere cento anni?” si chiederanno i più nostalgici spettatori e instancabili appassionati del “genio irregolare” Walter. Eppure molto è accaduto da quel lontano 8 marzo del 1924, giorno della sua nascita, quasi casuale, in una casa del centro storico di Verona. A detta di chi l’ha conosciuto intimamente o incrociato solo di sfuggita, Walter Chiari è stata una presenza a tratti immateriale, inafferrabile, proprio come il film interpretato nel 1950 con la regia di Mario Mattoli: L’inafferrabile 12. Questa caratteristica non riguarda soltanto l’uomo-Chiari, il personaggio privato, ma anche l’uomo di spettacolo, il performer, l’attore teatrale e cinematografico, il conduttore televisivo. Persino a chi lo studia Chiari appare come un oggetto per certi versi inaccessibile, sfuggente, pur avendoci donato un catalogo infinito di film, spettacoli di rivista, trasmissioni, comparsate televisive, aneddoti, barzellette.
100% Walter è sicuramente lo strumento perfetto per orientarsi all’interno di un mondo tanto intricato quanto affascinante. La struttura stessa del libro, grazie all’alternanza tra ricostruzioni storiche a cura di Michele Sancisi e ricordi personali di Simone Annicchiarico, permette ai lettori di addentrarsi nell’universo di Chiari abbracciandone la vastità e la complessità. Il volume raccoglie infatti più di quarant’anni di carriera tra teatro di varietà e di prosa, tra film popolari e d’autore, tra reti televisive pubbliche e private. Ma per una celebrity ante litteram come Chiari, la professione si amalgama necessariamente con la vita privata e la vita privata diventa parte integrante del lavoro. L’analisi del performer, dell’attore, del conduttore non può quindi che essere influenzata dalle leggende metropolitane, dai tanti racconti e dai miti che avvolgono Walter Chiari: lo scapolo d’oro, il tombeur de femmes, il padre, il fidanzato, il marito, il figlio. In una parola, l’uomo. 100% Walter tiene insieme tutto questo e molto altro. Riesce in sostanza ad arginare un fiume in piena senza frenarne l’energia e la vitalità.
“La prima e più importante chiave di lettura per capire Walter Chiari – scrive il figlio Simone – è la sua quasi totale mancanza di paura”. Un coraggio, quello dell’attore, visibile tanto nel privato quanto nel lavoro con un percorso professionale atipico, soprattutto se confrontato con le carriere di altri volti coevi dello spettacolo. Quella di Chiari è una parabola che restituisce appieno la sua curiosità, la sua risolutezza, ma anche la sua assenza di timori e paure nei confronti di nuovi mezzi di comunicazione, nuove tecnologie, nuove avventure. Basterebbe citare a mo’ di esempio il suo ingresso nel mondo del cinema nel 1947 con il film di Giorgio Pàstina Vanità, un debutto per certi versi trionfale che lo porterà a vincere il Nastro d’argento come miglior attore esordiente. Ma anche il suo rapporto con la televisione dimostra fin da subito una fenomenale capacità di adattamento e una matura consapevolezza del linguaggio del nuovo medium. Il primo incontro tra Chiari e la televisione avviene nel 1958 con la trasmissione La via del successo, scritta da Metz, Marchesi, Frattini e Terzoli. Sarà amore a prima vista, un amore destinato a durare nei decenni tra alti e bassi, abbandoni e ritorni, rimorsi e rimpianti. In televisione, così come nel jet set dell’Italia tra anni cinquanta e sessanta, Chiari si afferma come una tra le poche figure cosmopolite, tra i pochi conduttori in grado di condensare e unire italianità e internazionalità. Grazie a questa capacità, sviluppata anche grazie alle relazioni amorose con celebri attrici hollywoodiane, egli può passare con disinvoltura da un set di Cinecittà al palcoscenico di Broadway, da un film diretto da Luchino Visconti a uno di Otto Preminger o Orson Welles. Mentre attori a lui coevi – come, ad esempio, Marcello Mastroianni – saranno più propensi a lavorare tra i confini della penisola e si cimenteranno con altre cinematografie soltanto in anni successivi al loro pieno riconoscimento, Chiari, al contrario, si butterà a capofitto e fin da subito in molte avventure che lo porteranno spesso lontano da casa.
Certo, ma quale casa? Verrebbe da chiedersi leggendo i racconti racchiusi nel libro sugli innumerevoli appartamenti sparsi in tutto il mondo, sulle tante case acquistate e misteriosamente svanite nel nulla e, infine, su quella camera spoglia e anonima del Residence Siloe di Milano che lo ha accolto nell’ultimo periodo della sua vita. Walter Chiari, l’apolide cittadino del mondo, il milanese acquisito nato a Verona da genitori pugliesi, probabilmente trovava una casa ovunque andasse. E ovunque andasse si preoccupava di far sentire a casa anche chi gli stava attorno, proprio come faceva davanti alla telecamera con i propri telespettatori. È questo il ritratto che emerge, ad esempio, dai ricordi di Luciano Bianciardi, che al Chiari televisivo, cinematografico e teatrale ha dedicato diverse pagine: “l’altruismo, il candore quasi musulmano del bigamo, il filo rosso di pazzia lombarda che traspare nei suoi discorsi, la voglia scatenata di regalare sempre qualcosa, una risata, un maglione, un’avventura. E, finita la proiezione, a tavola […] abbraccia i camerieri, si preoccupa se qualcuno è rimasto in piedi, cuoce sul fornelletto a spirito un pezzo di carne, lo condisce con misteriose salse inventate dal signor Pino, e poi m’imbocca, come se fossi un suo fratello maggiore che si trascura per disattenzione” (così Bianciardi in La follia lombarda di Walter Chiari apparso su “Il Giorno” nel 1963).
Non era un’operazione semplice, quella affrontata dai due autori di questo volume. Concepire un libro su Walter Chiari significa infatti catturare e consegnare alla parola scritta una presenza inafferrabile, ma anche costruire una memoria tangibile e materiale di un personaggio che ha dato (e si è dato) talmente tanto da non lasciare nulla. Nulla a parte i ricordi di chi lo ha conosciuto e di chi avrebbe voluto conoscerlo. Nonostante la sua proverbiale generosità nella vita professionale e privata, nonostante il suo modo unico di vivere il palcoscenico e di “darsi fuoco tutte le sere per scaldare gli amici” – come diceva Marcello Marchesi –, ricostruire il percorso di Chiari significa anche fare i conti con la sua assenza. Un’assenza che si manifesta su un piano concreto, data la scarsità di materiali d’archivio e di un fondo a lui dedicato, ma anche su di un piano astratto e intangibile, che chiama in causa la sua proverbiale irreperibilità. Scrivere di questo grande protagonista dello spettacolo italiano significa quindi necessariamente prendere anche in considerazione il suo non esserci, o meglio il suo essere altrove.
In attesa di un ipotetico libro costruito unicamente attorno alle assenze di Walter Chiari, in sostanza, il volume di Simone Annicchiarico e Michele Sancisi colma senz’altro un vuoto bibliografico e affettivo avvalendosi di due voci complementari, entrambe necessarie e indispensabili per restituire la complessità del “genio irregolare” Walter.
giuliafrancesca.muggeo@unito.it
G. Muggeo insegna storia del cinema popolare all’Università di Torino