Voci e matrici di Ni una menos

“Sto pensando di organizzare una rivoluzione”

di Emilia Perassi

“Sto pensando di organizzare una rivoluzione. / So che ce ne sarà una molto grande e che ne sarò partecipe. / Non credo con violenza / perché la violenza mi fa paura e non mi piace, / però non temo i grandi sogni / né il desiderio di essere felice / né l’amore”. Sono versi dell’argentina Fernanda Laguna – poetessa, artista visuale, militante della marea globale femminista del Ni una menos  – pubblicati nel 1998 (La señorita, Mansalva Ediciones), sette anni prima dell’accendersi di Ni una menos : con tono quasi spensierato, dal continente delle rivoluzioni Laguna parlava già di rivoluzione come di una quotidianità da pianificare, come di un ordine che convive nella regolarità della giornata, che non la interrompe ma la scandisce, mettendo in continuità lo spazio della casa, del lavoro, della strada e della comunità.

Queste schegge di una poetica rivoluzionaria femminista mi sembrano utili per cogliere sinteticamente i tratti di ciò che avviene il 3 giugno 2015 in Argentina, quando quattrocentomila donne irrompono nelle strade, riscrivono lo spazio pubblico con i loro corpi e le loro parole, alzano l’urlo della denuncia e della richiesta di giustizia per i femminicidi. L’urlo non è improvviso. Non scaturisce dall’istante, ma dalla lunga durata del tempo dissidente, elaborato e processato anche attraverso il connubio fra pratica politica ed esperienza estetica. I versi di Laguna ne sono un piccolo segno, colto fra i molteplici, a dire di un attivismo letterario e artistico da considerare fra gli attori che costruiscono gradualmente, quotidianamente, l’esplosione di Ni una menos . Un’esplosione la cui miccia viene accesa da un gruppo di una ventina di persone: giornaliste, scrittrici, artiste, laureate in scienze umanistiche e sociali. Le ispirano una maratona di lettura contro i femminicidi che si era svolta il 26 marzo del 2015 in memoria dell’assassinio di Daiana García, ritrovata cadavere in un sacco della spazzatura, come un rifiuto in più. Si tratta di un’azione spontanea, che ribadisce le sue intenzioni nel grido “Ni una menos”. Si dirà più tardi (ma le fonti sono contrastanti) che la frase era in debito con un’altra poetessa, l’attivista messicana, vittima a sua volta di femminicidio, Susana Chávez, che la pronunciava durante le marce fatte a partire dal 1995 a Ciudad Juárez per denunciare il genocidio delle donne in quella città. Durante la maratona, María Moreno, fra le giornaliste e scrittrici più autorevoli del femminismo argentino, legge la celebre poesia Cadaveri di Néstor Perlongher, tra le figure più provocatorie del panorama letterario argentino, “attivista del desiderio”, tra i fondatori – nel 1971 – del Frente de Liberación Homosexual. Cadaveri era stata scritta nel 1982, per restituire l’ombra del corpo insepolto dei desaparecidos, insinuato in ogni interstizio di un’Argentina rigurgitante di spettri. Nel rileggerla, quel 26 di marzo del 2015, Maria Moreno la proietta su un’Argentina nuovamente rigurgitante spettri: i corpi delle assenti, delle donne uccise dal femminicidio. Passato e presente si rimettono in continuità. Compresa l’azione di resistenza.

Il 10 maggio 2015, di fronte alla comparsa del cadavere di Chiara Páez, la giornalista Marcela Ojeda scrive via Twitter: “Ci stanno ammazzando”. Le partecipanti alla maratona letteraria di marzo propongono di farne una più grande. In venti giorni si organizzano. Su Twitter, l’hashtag diventa il più letto. In una manciata di ore, da 300 a 130.000 followers. Florencia Abbate, fra le scrittrici che allestiscono la mobilitazione, ricorda l’emozione del crescere vertiginoso delle adesioni, la loro espansione in altre città argentine, i diversi collettivi sociali che dalle scuole, gli ospedali, le associazioni, le fabbriche dichiaravano la loro partecipazione. La sensazione di vertigine era immensa, dice Florencia: “Era la società stessa che stava incorporando il tema”. In modo trasversale. Poi internazionale. Sin dalle origini del movimento, è chiara la volontà di non pensare al femminicidio nella logica della sicurezza o del reclamo punitivo verso i colpevoli, bensì come massimo indicatore della violenza strutturale neoliberale. L’imperativo categorico del “non una di meno” si fa espressione di un desiderio assoluto, doloroso e festivo al tempo stesso, di disinventare la modernità, dunque, di reimmaginarla a partire dai corpi, dalle emozioni e dalla lingua, dai mandati culturali che li determinano nella logica dell’accumulazione del capitale, dalle pedagogie della crudeltà che li disciplinano, impoveriscono e sfigurano. Corpi, emozioni e lingue da rimettere in stato di insurrezione desiderante, in produzione e riproduzione controculturale, in guerra contro la morte. Silvia Federici, Rita Segato, Suely Rolnik, Gilles Deleuze e Felix Guattari costituiscono i costanti riferimenti teorici cui manifesti e azioni si rivolgono.

Nella mobilitazione dell’anno successivo, il 3 giugno del 2016, la marcia si fa visualmente travolgente per l’ulteriore esplosione delle pratiche artistiche. Pratiche raccolte in uno straordinario volume come Recuperemos la imaginación para cambiar la historia. Centosessantacinque artiste vi mostrano opere plastiche, fotografiche, audiovisive, letterarie e poetiche che obbediscono alla pulsione amorosa, creativa e ribelle del Ni una menos. Opere che producono significato e affetti, deposte in un archivio vivo che sfida i paradigmi opprimenti della rappresentazione dei corpi, porge la loro superficie come testo sul quale scrivere e inscrivere nuovi sguardi, nuova storia. È un esercizio di potenza produttiva in cui l’esperienza del dissenso e della dissidenza si manifesta come esperienza estetica.

L’edizione del 2016, in forza di questa potenza, si amplia e trasforma, come mostra la stessa parola d’ordine che, dal Ni una menos  riferita ai femminicidi, sostantiva i diversi tipi di violenza e di esclusione: “Ni una trans menos”, “Ni una trabajadora menos”, “Ni una menos por abortos clandestinos”, “Ni una migranta menos” sono alcuni degli esempi possibili. La trasversalità cresce. Si uniscono collettivi di donne afrodiscendenti, gruppi delle villas miseria come la Garganta Poderosa. Irrompono nello spazio pubblico corpi e discorsi sino ad allora invisibili. L’attivismo Lgbtiq performa con opulenza il proprio ruolo scardinante. Murales, graffiti, manifesti, bandiere, canzoni, magliette, istallazioni disegnano una città “montata” come territorio femminista e transfemminista. È la potenza di cui parla Verónica Gago, per dire di tutte le strade aperte, di tutto ciò che è stato messo in discussione e reinventato: le forme delle alleanze politiche, il farsi carico della sofferenza, le lotte trasversali.

Nel 2018 l’asse principale dell’agenda del movimento diventa quello del diritto all’aborto, già istituito con lo Sciopero Internazionale delle donne dell’8 marzo 2017. Le scrittrici argentine sono pronte. Il 15 aprile firmano in trecentocinquanta la loro lettera aperta. Scrittrici diversissime come Claudia Piñeiro e Maria Moreno vi aderiscono, tornando a sperimentare il superamento delle categorie. Da un femminismo della differenza a un femminismo della molteplicità delle differenze. In questi anni, si assiste di fatto a un’esplosione di libri. Molte delle compagne di Ni una menos  pubblicano le loro opere, andando significativamente ad alimentare, quando non a determinare, quello che ora stiamo chiamando il boom delle scrittrici latinoamericane. Cito solo alcune di queste pazienti e spesso irriverenti raccoglitrici di altre immagini per il mondo perché tradotte in italiano: Verónica Gago, con La potenza femminista (Capovolte, 2022), Dolores Reyes con Mangiaterra (Solferino, 2020), Gabriela Cabezón Cámara, con Le avventure della China Iron (Mondadori, 2023). Neppure è un caso, ma effetto di questa potenza, la pubblicazione, a partire dal 2020, per l’editore Eduvim dei volumi della Historia feminista de la literatura argentina, la cui Introduzione esplicita il vincolo fra la volontà di genealogie nuove, rimesse a canone con la temperie scatenata dal 2015.

Dal 25 novembre del 2015, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un altro slogan accompagna il grido Ni una menos : “Vivas nos queremos!” (“Ci vogliamo vive!”). L’atto di sovranità narrativa è un atto di lotta. Irrevocabile.

emilia.perassi@unito.it
E. Perassi insegna letteratura latinoamericana all’Università di Torino