La scelta dell’attenzione: nel 2024, la lectio di Simone Weil sarà il fil rouge tra i festival della Rete Pym
Una sfida, una provocazione, un auspicio per attraversare il nostro tempo. L’attenzione è il tema prescelto dalla Rete Pym, fondata nel 2019 per la difesa della bibliodiversità in Italia e la promozione di una cultura indipendente, che interesserà tutto il prossimo anno i palinsesti dei quattro festival coinvolti: Elba Book, la Fiera del Libro “Argonautilus” di Iglesias, Giallo Garda e le Officine Wort.
«Molto spesso l’attenzione viene confusa con una sorta di sforzo muscolare. Quando si dice agli allievi “ora state attenti”, li si vede corrugare le sopracciglia, trattenere il respiro, contrarre i muscoli. Se qualche istante dopo si domanda loro a che cosa siano stati attenti, non sono in grado di rispondere. Non hanno fatto attenzione ad alcunché. Non hanno fatto attenzione. Hanno solo contratto i muscoli». A spiegarlo con sagacia è stata Simone Weil in Attesa di Dio (1950), facendo riflettere sulla differenza tra essere attenti (caratteristica odierna assai in voga) e prestare attenzione a ciò che si può ascoltare. L’attenzione ha una fortissima polarizzazione estroflessa, e una grande potenzialità di apertura eterodiretta. A fare sua la lectio della filosofa francese è Marco Belli, direttore artistico di Elba Book: «L’attenzione ha una fortissima polarizzazione estroflessa, e una grande potenzialità di apertura eterodiretta. In una società in cui la fretta scandisce i tempi e si viene facilmente sopraffatti da una moltitudine non referenziata di informazioni, immagini, suoni e stimoli vari, secondo noi la possibilità di riuscire ancora a prestare attenzione è una chance che può aiutare l’individuo a non vivere in un tempo sclerotizzato, troppo simile allo scroll di immagini, tutte diverse fra loro, in uno qualsiasi dei principali social network». E prosegue Weil: «Nella nostra anima c’è qualcosa che ripugna la vera attenzione molto più violentemente di quanto alla carne ripugni la fatica. […] Ecco perché ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po’ di male in sé stessi». D’altronde, dedicarsi a qualcosa con estrema attenzione, è una estremizzazione del sé nell’altro, un atto totale di impegno, seppure transeunte, la capacità rimbaudiana di riconoscere che «io è un altro» e applicare tale (ri)conoscibilità al tempo e allo spazio presenti, affinché tempo e spazio siano una dimostrazione dell’esistenza reciproca dell’io e del tu, dell’io e dell’altra cosa da sé. «Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione», ha chiosato Cristina Campo ne Gli imperdonabili (1987) con la sua lancinante lucidità. Il concetto di attenzione è un processo cognitivo da allenare affinché si impari a selezionare i tanti stimoli che arrivano in ogni momento, ma soprattutto a ignorarne altri, in una società bombardata da informazioni anche false. Questo esercizio dovrebbe iniziare da piccoli. Dunque cos’è l’attenzione?
«Sempre secondo Weil è prendersi cura dell’altro, essere generosi – incalza Belli – è dare fiducia all’interlocutore. Attenzione è fare spazio all’altro, è un’arma bianca di difesa, termine usato metaforicamente e provocatoriamente proprio in un clima mondiale difficile e bellicoso. L’attenzione è cura contro la guerra, contro la prevaricazione. Le forme dell’attenzione, tutte necessarie, sono di vari tipi. Ad esempio, quella rispetto al territorio e all’ambiente per capire quali siano le sue criticità e le sue esigenze. I tanti e recenti disastri ambientali non sono stati solo casuali, ma per colpa della mancanza di attenzione alla terra e all’acque». L’attenzione è lasciare spazio all’atro, riconoscerne i bisogni più profondi.