Il contrattacco è una risata
di Federica Fugazzotto
Percival Everett
Gli alberi
ed. orig. 2021, trad. dall’inglese di Andrea Silvestri,
pp. 378, € 20,
La nave di Teseo, Milano 2023
Giocare è una cosa seria. Lo sa bene Percival Everett che, grazie alla sua capacità di approcciarsi a generi letterari diversi sovvertendone i canoni, si è imposto alla critica americana come uno degli autori più poliedrici e influenti degli ultimi vent’anni. Gli alberi, approdato in Italia per La nave di Teseo, è solo l’ultimo esempio della maestria di Everett.
Il romanzo è ambientato a Money, una cittadina del Mississippi in cui una serie di strani e truculenti crimini comincia a scuotere la comunità. Accanto a cadaveri di uomini bianchi orrendamente mutilati viene rinvenuto il cadavere di un uomo nero che sparisce e ricompare su scene del crimine diverse senza che nessuno riesca a trovare una spiegazione razionale. È un fantasma? È tutto frutto di un elaboratissimo complotto? Ben presto situazioni simili cominciano a verificarsi in tutti gli Stati Uniti e non ci vuole molto per capire che quella che Everett sta mettendo in scena è una resa dei conti che affonda le radici in secoli di schiavitù, segregazione, linciaggi. “So che non è facile da accettare. Ma questa è una guerra. Una guerra che va avanti da quattrocento anni, e adesso stiamo passando al contrattacco”.
Partendo da questa premessa, viene spontaneo chiedersi come sia possibile “giocare” con un argomento così complesso. Eppure, leggendo Gli alberi, riderete. Riderete della stupidità degli abitanti di Money, ancorati al ricordo del presunto passato glorioso della Confederazione, riderete dei loro goffi tentativi di riportare in auge il Kkk, riderete della loro croce infuocata talmente sgangherata da spingere uno degli agenti neri inviati dallo stato del Mississippi a occuparsi del caso ad affermare laconico: “Quella cosa era una croce? … Mi sono dimenticato di spaventarmi”. L’ironia di Everett è affilata, precisa, mai fuori luogo, mai fine a sé stessa: in una recente videointervista rilasciata all’Università dell’Arizona l’autore ha posto l’accento sull’importanza del senso dell’umorismo tra le comunità oppresse come potente mezzo di sopravvivenza e resistenza.
La straordinaria abilità di Everett nel mettere in mostra la natura profondamente grottesca del razzismo non deve però trarre in inganno: proprio perché Everett sovverte canoni, aspettative e regole, i lettori devono sempre tenere la guardia alta. Se un attimo prima l’autore li rassicura, strappando loro una risata, un attimo dopo li colpisce brutalmente senza alcun preavviso, costringendoli a guardare nei recessi più bui della storia americana, raccontando i dimenticati, i senza nome, le vittime di violentissimi linciaggi che hanno pagato per il colore della loro pelle non solo con la vita, ma anche con l’oblio. Persone i cui nomi sono stati dimenticati, persone spazzate via dalla storia e dalla memoria, come se non fossero mai esistite e che adesso, stanche di essere vittime, reclamano vendetta, pronte a fare quello che devono per pareggiare i conti.
Everett, come molti altri autori afroamericani contemporanei, rifugge l’ipocrita nozione di uguaglianza razziale o, peggio, di post-razzismo. Si rifiuta di edulcorare la storia e di rassicurare i bianchi, non offre soluzioni, né speranza, non parla di perdono. Non è l’assoluzione a interessarlo, ma l’ammissione di ciò che è stato. Se i bianchi rifiutano di assumersi le proprie responsabilità, se distolgono gli occhi dal passato perpetrando false narrazioni imbevute di suprematismo bianco, allora per Everett l’unica soluzione è che il passato bussi alla loro porta e li costringa a guardarlo in faccia, una faccia tumefatta, sanguinante, ma più viva che mai.
È questo il cuore pulsante del romanzo; Gli alberi parla sì di razzismo ma parla soprattutto di narrazioni distorte spacciate per verità, di bugie istituzionalizzate, della tendenza a cercare sempre una scappatoia di fronte alla storia. Everett sa che il concetto di storia è sfuggente, scivoloso, facilmente manipolabile e per questo nel romanzo Gli alberi la storia si fa concreta, assume i nomi e i corpi mutilati delle persone cadute nell’oblio, avanza inesorabile e travolge con furia chi troppo a lungo l’ha negata, l’ha riscritta, l’ha relegata negli angoli più inaccessibili della memoria.
Gli alberi si insinua nella coscienza del lettore e lì rimane per molto tempo, è un romanzo di cui si potrebbe parlare e scrivere a lungo ma si incapperebbe nel rischio di svilirlo, semplificarlo ed è forse per questo che Percival Everett dichiara di non leggere mai le recensioni dei suoi libri. Lasciamo dunque che siano le parole di Mama Z, ultracentenaria abitante di Money che ha dedicato tutta la sua vita a ridare un nome a chi l’aveva perso, creando un archivio contenente tutti i linciaggi avvenuti negli Stati Uniti, a rivelarci il senso più intimo e profondo di questo magistrale romanzo: “Se vuoi conoscere un posto, devi parlare con la sua storia”.
federica.fugazzotto@gmail.com
F. Fugazotto è dottoranda in lingua e letteratura americana all’Università di Vercelli