Tra liberismo e paternalismo
di Fulvia de Luise
Valentina Pazé
Libertà in vendita
Il corpo fra scelta e mercato
pp. 192, € 16,
Bollati Boringhieri, Torino 2023
Al centro del libro tre casi che pongono in questione la libertà di cedere ad altri il proprio corpo o di limitarne la disponibilità per sé stessi: la prostituzione che lo vende, concedendone l’uso temporaneo alla volontà altrui; la maternità surrogata, che ne aliena la funzione di trasmettere organicamente la vita; il velo islamico, più o meno integrale, che nega visibilità al corpo e così identità sociale al soggetto occultato. La prostituzione può riguardare individui di sessi diversi, gli altri casi riguardano esclusivamente il corpo della donna. L’angolatura femminile consente di mettere a fuoco con particolare crudezza l’ambiguità di fondo dell’istituto contrattuale, che trae la sua legittimazione dal libero consenso dei contraenti: soggetti che liberamente scelgono di mettere il proprio corpo a disposizione di altri o liberamente accettano di sottoporsi a vincoli cui potrebbero sottrarsi. In queste cessioni non c’è nulla di diverso da quanto avviene normalmente nel mercato del lavoro, dove, dietro la facciata formale del contratto, come patto tra pari, la disparità di condizioni economiche esercita di fatto una coercizione sulla volontà del soggetto più debole.
Pazé delimita la questione della libertà di vendersi focalizzando l’attenzione sull’abuso del corpo femminile, una pratica che oggi ci interroga in modo più radicale non solo per le possibilità inedite aperte dalle tecnologie della procreazione. In che senso, o fino a che punto, vendere il proprio corpo, o darlo in concessione per finalità riproduttive, o escluderlo dalla visibilità sociale, può essere considerato espressione della libertà di un individuo, che dispone di sé come di un oggetto di sua proprietà? In che senso un atto di alienazione di sé può essere ricondotto all’esercizio del diritto inalienabile di libertà, riconosciuto agli individui in quanto tali (liberismo)? Oppure, in che senso quella libertà, proprio in quanto diritto inalienabile, può essere considerata oggetto di tutela e di limiti da parte dell’autorità pubblica (paternalismo)? Queste le domande di fondo che emergono con grande ricchezza analitica e interpretativa. Alle spalle della complessità di questi casi specifici si delineano questioni di portata teorica e filosofica molto più ampia. Pazé le colloca in una sorta di cornice, con un capitolo iniziale, di taglio storico-filosofico, e uno finale, che riprende le questioni da un punto di vista più strettamente giuridico-politico. In causa è un problema noto e discusso dalla notte dei tempi: la libertà del volere. Dal fatto che la libertà del volere esista, come possibilità di scelta tra opzioni diverse, dipendono cose importantissime per il sistema della società civile: l’attribuzione di responsabilità agli individui per le loro azioni, il riconoscimento del merito e l’imputabilità della colpa, in contesti privati e pubblici. Ma antico è anche il dubbio sul fondamento ontologico della libertà nella natura dell’uomo, sulle condizioni del suo effettivo esercizio come “capacità di intendere e di volere”, prima ancora che si sviluppi il dibattito sui limiti che la comunità politica può imporre all’esercizio selvaggio della libertà antropologica.
Valentina Pazé risale ai termini essenziali della questione attraverso un confronto molto selettivo con le teorie-modello offerte da autori “classici” della tradizione filosofica antica e moderna. Alla letteratura antica, Pazé attinge molti spunti di analisi sui fattori che, limitando la capacità di intendere e di volere, potevano essere usati come argomentazioni difensive nei processi. E si sofferma sul ruolo svolto da Platone e Aristotele nel contrastare questa linea di pensiero deresponsabilizzante, che ha alle spalle il fatalismo della tragedia, delineando un modello di soggetto umano centrato sull’autonomia di pensiero e di azione, in grado di assumersi la piena responsabilità non solo degli atti compiuti, ma di sé stesso come prodotto della propria volontà: un modello proposto tuttavia a pochi, perché la libertà del volere appare loro una difficile conquista e non una dotazione naturale di ogni uomo. Per la modernità, i riferimenti importanti sono Hobbes e Spinoza, che hanno tentato una definizione antropologica (non teologica) della libertà umana, individuando nella conservazione della vita e nel suo potenziamento l’irrinunciabile riferimento per le scelte comportamentali che un soggetto può compiere facendo uso della ragione. E tuttavia – sottolinea l’autrice – questa delimitazione di campo non è in grado di escludere le scelte distruttive e auto-distruttive, tra cui il sacrificio della propria vita. Pazé si concentra sulla “volontarietà dell’azione distruttiva”, che suscita interrogativi inquietanti sull’effettiva capacità di autodeterminazione di soggetti immersi in contesti ambientali corrotti e corruttori. Difficile è soprattutto misurare lo spazio che resta alla libertà del volere dentro la fitta rete di condizionamenti, che rende i membri dalla comunità sociale profondamente disuguali tra loro. La disuguaglianza è il filo conduttore nascosto di una ricerca mossa dallo scandalo della “servitù volontaria” e di tutti quegli atti che appaiono chiaramente autolesionisti, ma vengono rivendicati dai soggetti che li compiono come frutto della loro libera scelta. L’ultima parte del volume costituisce una messa a fuoco dei modi in cui la schiavizzazione di uomini da parte di altri uomini è stata concepita e giustificata. Un’approfondita indagine riguarda l’idea moderna di sottomissione volontaria a un padrone, che deve a Grozio e Pufendorf un’elaborazione teorica nei termini propri del contrattualismo, benché il ramo vincente di quella tradizione (Locke, Rousseau, Kant) collochi la libertà tra i diritti inalienabili. Il punto chiave della controversia su cui Pazé richiama l’attenzione è lo sdoppiamento per cui il titolare di un diritto di libertà può espropriarsene per cedersi a un altro come un oggetto. Ѐ difficile considerare la scelta di diventare un rider, una prostituta, una donatrice di figli o una donna velata come espressione di libero arbitrio. Ma a quali forme di tutela è possibile pensare senza che l’idea stessa di tutela esprima una volta di più il dominio paternalistico delle leggi sul corpo e la mente delle donne?
fulvia.deluise@unitn.it
F. de Luise insegna filosofia antica all’Università di Trento