recensione di Matteo Moca
Isaac Bashevis Singer
Un amico di Kafka
trad. it. di Katia Bagnoli
pp. 338, € 22
Adelphi, Milano, 2022
«Una folla era venuta ad attendere l’arrivo della nave. Sembrava proprio che tutti gli ebrei fossero lì: gli ebrei assimilati e i rabbini con le lunghe barbe e i peyes; ragazze con impresso sul braccio un numero dai campi di sterminio di Hitler; funzionari di organizzazioni sioniste con cartelle rigonfie; studenti di yeshivah con il cappello di velluto e la barba incolta; donne di mondo con le facce imbellettate e le unghie rosse». Così il protagonista del racconto Il figlio descrive le persone che, come lui, attendono sulla banchina di New York che qualcuno scenda dalla nave partita da Israele: ogni persona che aspetta ha una propria storia personale, così come ognuna delle persone che, pian piano, inizia a sbarcare dalla nave dopo un lungo viaggio, storie diverse pronte a incrociarsi. In questo racconto di Singer, da questa raccolta ripubblicata da Adelphi all’interno del meritorio progetto editoriale sull’opera dello scrittore di origine polacca, sono racchiusi, proprio come nel ventre della nave da cui non finiscono mai di uscire i passeggeri, alcuni dei nuclei centrali della sua opera. C’è innanzitutto un elemento autobiografico considerando che lo stesso Singer, nato in Polonia nel 1901, abbandonò l’Europa nel 1935 a causa dei pericoli che correva allora chi apparteneva al popolo ebraico per trasferirsi negli Stati Uniti, dove poter vivere più libero e portare avanti il suo lavoro di scrittore senza distrazioni o preoccupazioni per la propria sopravvivenza. Lo stesso ha fatto, probabilmente, il narratore del racconto che lì sulla banchina, assieme a moltissimi ebrei ormai americani che sorseggiano Coca Cola e parlano un impeccabile inglese con peyes (i riccioli lasciati cadere sulle tempie dagli ebrei ortodossi di osservanza hassidica) e kippot, attende l’arrivo di un figlio che non ha mai conosciuto: le motivazioni tragiche che possono aver sancito questa distanza solo ora percorsa, i tatuaggi dei campi di sterminio che appaiono nel racconto o gli elementi identitari che si sciolgono nella nuova casa americana sono tutti aspetti che portano il narratore a riconoscere di «essere davanti a una nuova epoca della storia ebraica» e quindi portano dritti al cuore di uno dei temi che maggiormente irrora l’opera di Singer, la sua interrogazione sull’identità ebraica, anche al cospetto delle violenze della Seconda guerra mondiale.
È il caso delle ambientazioni americane di alcuni suoi romanzi, con personaggi in fuga dal mondo ebraico e polacco che costruiscono nuove comunità negli Stati Uniti (come Hertz Minsker, protagonista di Il ciarlatano o quelli di Nemici. Una storia d’amore o Ombre sullo Hudson), ma anche di altri racconti di questa raccolta, come in Qualcosa c’è, dove il Rabbi Nechemia, Rebbe di Bechev che «conosceva le astuzie del Maligno e sapeva come tenerlo a bada» perde la fede non sapendo più come rispondere a interrogazioni che esulano dalla comprensione umana («A che serve alla mosca la Tua grandezza, quando cade nella ragnatela del ragno che le risucchia la vita? Cosa se ne fa il topo dei Tuoi attributi quando il gatto lo stringe tra le sue grinfie? La ricompensa in Paradiso? Gli animali non se ne fanno di niente») oppure in I colombi, dove l’anziano professore Wladislaw Eibeschutz (che ha lasciato la cattedra di storia all’università a causa della presenza della confraternita Orzel Polski composta da ragazzi uniti dal «comune odio per gli ebrei») riconosce, sulla scia della somiglianza proposta nel Talmud tra ebrei e colombi, una comune lotta per la sopravvivenza tra le intemperie («i colombi sono disarmati nella lotta per la sopravvivenza, vivono quasi esclusivamente grazie a quello che butta loro la gente. Temono i rumori […] non scacciano nemmeno i passeri che rubano loro il cibo. I colombi, come gli ebrei, prosperano nella pace, nella quiete, nella benevolenza»).
Corteggiato da riflessioni identitarie simili è anche il racconto che dà il titolo alla raccolta dove il protagonista, in cui sembra di ravvisare, grazie al gioco letterario, Singer stesso, dialoga con un amico di Kafka povero ed ex attore di teatro yiddish di nome Jacques Kohn che a un certo punto, nel suo racconto logorroico, riconosce l’imperscrutabile anelito che lo porta a continuare a vivere («Che cosa mi dà la forza di sopportare la povertà, la malattia e, peggio di tutto, l’assenza di ogni speranza? Questa è una buona domanda che mi sono fatto anch’io quando ho letto la prima volta il Libro di Giobbe. Perche Giobbe continua a vivere e soffrire? Per vavere altre figlie, altri asini, altri cammelli? no. La risposta è: per il gusto del gioco. Tutti giochiamo a scacchi con il Destino. Lui fa una mossa, noi ne facciamo un’altra. Sappiamo di non poter vincere, eppure qualcosa ci spinge alla battaglia») e, parlando di Kafka, dice: «Kafka voleva essere ebreo, ma non sapeva come si faceva. Voleva vivere, ma non sapeva come fare nemmeno quello». Forse proprio in questa icastica rappresentazione della vita di Kafka sta uno dei caratteri più fortemente autobiografici di questi racconti, in quella confusione identitaria amplificata dalla guerra, dalla fuga dall’Europa e dalla ricostruzione di una nuova vita così lontano. Sempre nel racconto Il figlio, vedendo le persone che si riconoscono e gli abbracci («tutti divennero una sola famiglia, mentre io rimanevo un estraneo»), il protagonista riflette sullo smarrimento che per un istante corre sugli occhi di chi sbarca, sulle sofferenze del popolo ebraico e sul temporaneo sostegno degli affetti e pensa: «Il mondo intero era Auschwitz. Avrei voluto chiedergli [a un rabbino]perché la Torah non aveva difeso quei milioni di ebrei salvandoli dai forni crematori». Questa è la domanda ultima, inaggirabile, su cui Singer ha per tutta la vita riflettuto scrivendo, dando nuovo fiato e nuova linfa alle storie ebraiche che sin da piccolo ascoltava, riponendo tra le possibilità del raccontare storie, quella di andare oltre la Storia. Ragionare, come fanno i suoi personaggi, sul rapporto tra l’uomo e la Legge, tra la fallibilità e la menzogna umana e la verità che appartiene al divino, tra le pieghe della fede e la ferocia del mondo è un modo per dare voce ai dubbi e ai dolori che affliggono gli uomini di ogni tempo di cui questa raccolta offre un esemplare campionario.