Donne guerriere contro Mussoloni
di Caterina Romeo
Maaza Mengiste
Il re ombra
ed. orig. 2019, trad. dall’inglese di Anna Nadotti,
pp. 440, € 21,
Einaudi, Torino 2021
Il re ombra di Maaza Mengiste (The Shadow King, 2019, vincitore per la narrativa del premio The Bridge nel 2019, finalista del Booker Prize 2020), è un romanzo storico ambientato durante gli anni dell’occupazione italiana in Etiopia (1935-1941), con l’eccezione del Prologo e dell’Epilogo che si svolgono nel 1974, subito prima della destituzione dell’imperatore etiope Hailé Selassié e dell’insediamento del governo socialista del Derg. Il re ombra è un romanzo sulla memoria, su chi ha il diritto e il potere di ricordare e di costruire processi di memorializzazione, ma anche su chi ha il diritto di dimenticare e di rimuovere esperienze traumatiche collettive (come la guerra) e personali (come la violenza sessuale, presentata nel romanzo come una pratica socialmente accettata). Il re ombra narra della resistenza etiope all’invasione italiana, cominciata attraverso l’uso delle parole prima ancora che delle armi, mediante l’atto deliberato di pronunciare in maniera errata il nome del duce, mettendo in tal modo in atto un rifiuto di riconoscere la sua autorità: “Mussoloni: quella pronuncia volutamente sbagliata si è diffusa nel paese, dapprima quelli che non sapevano, poi quelli che invece sapevano”. Come afferma Mengiste nella Nota dell’autrice e in alcune interviste, la storia della resistenza etiope – che era riuscita a sconfiggere il potente esercito fascista con poche armi obsolete grazie alla fierezza di un popolo che aveva difeso la propria terra a rischio della vita – permea l’immaginario collettivo etiope e costituisce una contronarrazione rispetto alla storia coloniale ufficiale. L’operazione che compie Mengiste, però, va un passo oltre: la scrittrice reinscrive la presenza delle donne in tale narrazione, costantemente rimossa tanto dalla storia coloniale narrata dai libri di storia italiana, quanto dalla controstoria anticoloniale etiope. Il processo che Mengiste intraprende implica la decostruzione dell’opposizione binaria colonizzatore/colonizzato e mette in discussione l’omogeneità di entrambe le categorie al proprio interno. Ciò vuol dire contrastare la narrazione dello splendore dell’impero fascista, ma anche dell’eroismo degli uomini etiopi che avevano sconfitto quell’impero, in quanto la memorializzazione della loro vittoria era stata costruita sulla sistematica cancellazione delle donne, delle loro vite, del loro coraggio, delle loro lotte, dei loro corpi.
Per mettere in luce il contributo delle donne durante la resistenza, Mengiste sviluppa una riflessione sui ruoli che esse occupavano nella società etiope prima di quella guerra e sulle politiche di genere in vigore in quella società, e mostra come l’annichilimento delle donne era parte di un processo di costruzione della maschilità che basava la propria autorità sulla capacità degli uomini di mantenere il controllo sui corpi delle donne e sui territori della nazione. In tal modo Mengiste mette in discussione l’eroismo dei condottieri etiopi e svela che le donne non erano sistematicamente violate soltanto dai colonizzatori italiani. Per scrivere tale contro-contronarrazione, Mengiste ascolta attentamente le voci delle donne, di quelle “subalterne” che si sono rifiutate di rimanere in silenzio, anche se intrappolate in uno spazio delimitato dal nazionalismo da un lato e dal colonialismo dall’altro (Gayatri Chakravorty Spivak, Can the Subaltern Speak, Columbia University Press, 1985)
Il romanzo si compone di tre libri in cui la storia dell’Etiopia è narrata per la maggior parte attraverso gli occhi della protagonista Hirut. Fanno da cornice a questi tre libri un Prologo e un Epilogo ambientati nel 1974 in cui Hirut attende (Prologo) e poi incontra (Epilogo) il fotografo dell’esercito italiano Ettore Navarra, per il quale in tutti quegli anni ha custodito una scatola di latta da lui affidatale durante la guerra. La storia dell’Etiopia è narrata al presente, non dunque come un ricordo. È la fine del 1935 e la giovanissima Hirut vive nella casa di Kidane e Aster, dove svolge mansioni domestiche. Kidane, ufficiale dell’Imperatore Hailé Selassié, sta reclutando uomini in tutto il paese per organizzare la resistenza in vista dell’imminente invasione italiana. Allo scoppio della guerra la richiesta delle donne, con a capo Aster, di combattere al fianco degli uomini viene rifiutata da Kidane: a loro viene affidato unicamente il compito di nutrire le truppe e curare i feriti. Ma quando Hirut acquisisce autorevolezza dopo aver architettato un piano per salvare l’Etiopia – trasformare un contadino, Minim, nel “re ombra”, un simulacro dell’Imperatore (fuggito in Inghilterra) che si mostri alla popolazione etiope e che le infonda coraggio – Aster e Hirut sono autorizzate a prendere le armi.
La complessa e sofisticata architettura del romanzo tiene insieme diversi livelli narrativi, intersecando le vicende personali alla storia ufficiale. La macronarrazione si articola mediante una moltitudine di micronarrazioni, in cui viene presentata una raffinata analisi psicologica dei personaggi, con le loro insicurezze e le loro paure. I due schieramenti non sono presentati come omogenei al loro interno, bensì attraversati da fratture profonde causate da strutture sociali preesistenti nelle due società, quella etiope e quella italiana. Nello schieramento italiano Ettore Navarra – mandato in Etiopia per documentare visivamente le vittorie militari italiane (o per costruire visivamente vittorie che nella realtà non erano state riportate) – si interroga sulla propria appartenenza alla nazione italiana quando, dopo l’emanazione delle leggi razziali, i suoi genitori in patria vengono deportati nei campi di concentramento (il padre è ebreo) e lui stesso è costantemente assalito dal terrore di essere denunciato dal suo ufficiale, il colonnello Carlo Fucelli. Allo stesso tempo, nello schieramento etiope i valorosi condottieri consacrati dalla storia come eroi nazionali di fatto costruiscono e consolidano la propria autorità attraverso un’affermazione di maschilità e un esercizio del proprio potere patriarcale fondato su una sistematica violenza contro le donne. Tra le scene più potenti del romanzo ci sono quelle in cui l’Imperatore Hailé Selassié, solo nelle sue stanze, vede la figlia Zenebework morta molti anni prima, vittima di un marito a cui era stata data forzatamente in sposa per motivi legati alla ragion di stato. Come il consigliere aveva detto all’Imperatore, “le ragazze muoiono per tante ragioni: parto, infermità, malattie, uomini” (corsivo mio). Il potere distruttivo del patriarcato è così profondamente radicato nella società etiope da essere qui equiparato a un evento naturale.
Il re ombra è un romanzo sulle donne etiopi, sulla resistenza delle guerrigliere durante l’occupazione fascista dell’Etiopia e sul contributo che esse hanno offerto nell’impresa di sconfiggere l’esercito italiano; un romanzo sulla resilienza e sulla resistenza delle donne nella società patriarcale etiope e sul processo doloroso di riguadagnare la propria capacità di agency. Come Maaza Mengiste ricorda ai lettori e alle lettrici, la storia è una questione tra uomini non perché gli uomini ne siano stati e ne siano gli unici attori, ma perché sono stati gli unici ad avere accesso alla narrazione di quella storia, gli unici che hanno avuto il potere di ricordare e di costruire una memoria nazionale che ha costantemente cancellato la presenza e la forza delle donne. Dunque, come Mengiste afferma nella Nota dell’autrice, è necessario che la storia sia narrata dal punto di vista delle donne: “Ciò che sono arrivata a capire è questo: la storia militare è sempre stata una storia maschile, ma ciò non è vero per l’Etiopia, e non è mai stato vero in nessuna forma di lotta. Le donne ci sono state, noi ci siamo ora”.
caterina.romeo@uniroma1.it
C. Romeo insegna critica letteraria e studi di genere all’Università La Sapienza di Roma