Daniela Ginex (1960) – Anime gemelle
Quando si svegliò dentro il corpo di uno Yorkshire dal lucido pelo color miele, l’avvocato Beniamino Zuccalà ebbe come prima preoccupazione quella di scivolare via dal letto matrimoniale prima che sua moglie Erminia aprisse gli occhi sull’abominio igienico che si stava svolgendo fra le lenzuola. Avrebbe avuto più di una difficoltà a spiegarle che cosa era successo: neanche lui, d’altra parte, riusciva a comprendere la causa del curioso fenomeno che gli aveva cambiato la vita in una notte.
Trotterellò fino alla cucina con l’intento di sgattaiolare fuori dall’ampio sportello montato sulla porta di ingresso secondaria per il cane di casa, una vivace Labrador di nome Stella. Benny – si era appena ribattezzato con un nome più adatto alla circostanza – le passò davanti circospetto, mentre lei dormiva sprofondata nella cuccia. Quando fu vicino allo sportello fece per sgusciare fuori, ma Stella si ridestò con un ringhio e lo agguantò per la coda, impedendogli l’evasione.
Fu colta da una raffica di emozioni che la mandarono in confusione, facendola comportare in modo ancora più fastidioso e rumoroso del solito. Saltò, guaì e latrò, gli diede dei piccoli colpi con il muso, poi si risolse a leccarlo energicamente, tenendolo fermo perché non potesse evitare il bagno di saliva. Infine, sopraffatta dall’emozione, liberò la vescica al centro della stanza.
Richiamata dal trambusto, Erminia accorse.
– Che diamine, Stella, sono le sei! Possibile che… Stella?
Faticò a mettere a fuoco la scena. L’ordine consueto – il tavolo del ripiano di ceramica decorata, le sedie impagliate disposte intorno con perfetta simmetria, il cestino sulla credenza, pieno di frutta fresca – era turbato da una pozza al centro della stanza.
– Cane cattivo!
Erminia sollevò una mano accennando a una sculacciata, ma si fermò a mezz’aria. Si era infatti resa conto che ciò che Stella stringeva fra le zampe non era né il suo pelouche preferito, un logoro coniglio azzurro, né la solita maglietta rubata alla cesta della lavanderia.
Stella emise un sordo ringhio, digrignando i denti e schermando con le zampe il suo nuovo protégé.
Erminia si avvicinò, sorpresa e guardinga.
– Se ti sei messa in testa che mi prendo in casa un altro cane, te lo puoi scordare.
Provò con decisione ad allargare le zampe che Stella teneva fittamente attorno al malcapitato, mentre quella reagiva ululando a volume sempre più alto.
Finalmente Benny venne fuori dalla morsa. Si scrollò, sedette sul pavimento, poi si guardò intorno. Nel frattempo Stella saltellava pesantemente.
– Non ti fare strane idee, tu, eh. Ora te ne torni da dove sei venuto.
Erminia lo guardava attentamente, assorta.
– Certo che hai proprio uno sguardo umano.
A quel punto Benny emise un suono. Cioè, provò a parlare, ma gli uscì un uggiolio ridicolo che andava trasformandosi in un verso più grave ma ben poco significativo. Quindi raschiò, gridò con tutta la sua forza.
Ma gli uscì solo un abbaio.
– Chissà che mi vuoi dire, povero cucciolo.
E gli carezzò la testa.
Benny si sforzò ancora.
– Waaarrrrr mmmmiiiii….
Erminia impallidì.
– Che brutta voce hai, sembri uno di quegli uccelli con la voce umana.
Benny riprovò, ma gli uscì solo un latrato pietoso.
– Beh, ti do due croccantini e poi vediamo da dove sei scappato.
Mentre la donna si apprestava a versare il cibo in una scodella, Benny insistette con i vocalizzi, cercando di sperimentare dei suoni comprensibili. Alla fine ci riuscì.
– Erminia, sono io.
Lei si voltò. Il vano della porta era vuoto.
Benny, che ormai riusciva a padroneggiare la voce in modo comprensibile, riprese a parlare.
– Sono io, Erminia. Sono il cane.
Erminia si lasciò sfuggire il sacchetto che teneva in mano. La voce le uscì tremante.
– Beniamino, smettila con questi scherzi stupidi.
Benny emise un latrato sordo, poi recuperò il controllo della voce.
– Ti pare che abbia voglia di scherzare? Sono io, ti ho detto. Sono diventato un cane. Nel frattempo, richiamati dal chiasso, accorsero i due figli della coppia.
– Che è questo casino? Stavo dormendo.
Erminia si era seduta per terra, il volto fra le mani. Sollevò lo sguardo verso la figlia che aveva parlato.
– Vostro padre sostiene di essere diventato un cane.
I ragazzi fissarono Benny in silenzio.
– Vuoi dire che oggi non ci può accompagnare a scuola?
– E allora restiamo a casa.
Benny richiamò all’ordine i figli con un brontolio soffocato. Erminia cercò di riprendere il controllo della situazione.
– Stamattina andate a piedi. Io porto vostro padre dal medico.
– Casomai dal veterinario.
Tutti erano rimasti in silenzio alla battuta di spirito di Benny, tranne Stella, che aveva reagito con uno strano uhuh, come se avesse apprezzato l’umorismo del padrone.
– Ma dico, come puoi essere così cinico? La situazione è critica e tu te ne esci con una battuta?
Non c’era niente da fare, Erminia non era mai stata in sintonia con questo aspetto del carattere di Beniamino, il cui umorismo sottile e pronto lo aiutava a guardare con occhi beffardi la realtà.
Mentre sorseggiava un caffè, cercava di riordinare le idee. Benny era di fronte a lei, appollaiato su una sedia, ai piedi della quale Stella stava accovacciata.
– Beh, ma ora che facciamo? Come andrai in studio? E la gente che dirà?
Concordarono che Benny avrebbe lavorato temporaneamente da casa, adducendo un malanno. Erminia sarebbe passata dallo studio a prendere le pratiche più urgenti.
Improvvisamente Stella ebbe un sussulto, al quale Benny reagì saltando tutto in una volta dalla sedia e ansimando. Entrambi si misero davanti al vetro della porta-finestra e attaccarono ad abbaiare furiosamente.
– Ma cosa c’è? Stella, stai buona. Beniamino, cuccia.
La porta chiusa non permetteva loro di sfogare la rabbia contro il gatto che in quel momento transitava con fare provocatorio, così il verso dei due cani si trasformò in un uggiolio disperato.
Quando si fu ricomposto, Benny tornò alla sua sedia.
– Ah, gliene ho cantate quattro. Mi piacerebbe poter fare altrettanto con certi miei clienti.
Stella uggiolò. Uhuh.
Erminia uscì brevemente, raccomandando a Benny di mantenere un profilo basso.
– Stai tranquilla, se dovessero portare una raccomandata eviterò di firmarla con il mio nome.
Erminia lanciò un’occhiataccia al marito-cane, mentre Stella saltellava di gioia. Uhuhuh.
Dopo appena un’ora era di nuovo a casa. Aveva comprato una cuccia nuova.
Benny guardò la moglie costernato. Era stato freddamente estromesso dal talamo nuziale. Si avviò a capo chino verso il suo nuovo letto, lo annusò a lungo e rumorosamente, poi, rassegnato, produsse un paio di starnuti compressi e si acciambellò.
Erminia era assorta nei suoi pensieri quando Benny emise il solito latrato strano – quello di quando si dimenticava come modulare la voce umana. Accorse allarmata.–
– Che succede?
– Scusami, cara, temo di avere delle urgenze fisiologiche.
– Ti porto fuori.
– Ma… non posso usare il bagno?
Farfugliando delle scuse, Erminia optò per la solita passeggiata per entrambi, utilizzando per il neo-cane un vecchio guinzaglio di Stella.
Una volta fuori, Benny fu travolto da un “tripudio di odori festanti”, come ebbe modo di definire in seguito gli stimoli olfattivi che lo avevano sopraffatto uscendo, portandolo a saltellare affannosamente avanti e indietro e ad annusare ogni centimetro di marciapiede e aiuole.
– Erminia, io penso di liberarmi qui.
E così dicendo, Benny si accovacciò e defecò compunto. Erminia si affrettò a raccogliere gli escrementi nell’apposito sacchetto, sussurrando una raccomandazione al marito.
– Sarebbe meglio che non parlassi, mentre siamo fuori. Pensa che cosa direbbe la gente.
Erano quasi di ritorno, quando furono fermati dalla vicina. Quella pettegola, sempre a impicciarsi dei fatti altrui, nella fattispecie la presenza di un nuovo cane. Erminia fu svelta a inventare una spiegazione: era di un’amica che glielo aveva affidato temporaneamente. La donna si avvicinò.
– Ma è proprio carino, vieni bello.
Così dicendo allungò una mano verso la testa di Benny che, in un gesto improvviso, per poco non la morse.
– Ben…!
Fece Erminia tirando il guinzaglio. Si scusò e si ritirò a casa.
– Perdonami, cara. È che non posso tollerarla, quella intrigante. Non è che abbia avuto tante occasioni di darle un morso.
Come per le altre volte, Stella emise un uhuh compiaciuto, il muso atteggiato a quello che a tutti gli effetti sembrava un sorriso. Erminia la osservò pensierosa.
– Ma tu guarda questa, sembra che stia ridendo.
– Almeno qualcuno apprezza il mio umorismo.
Di nuovo l’uhuh, questa volta accompagnato da vari saltelli intorno all’ex padrone, ora compagno di vita.
Erminia preparò il pranzo, i ragazzi tornarono da scuola, tutti insieme si sedettero al desco, al quale Benny aveva preteso di partecipare, appollaiandosi su un vecchio seggiolone.
Benny commentò la manovra economica del governo mentre lappava rumorosamente il piatto che aveva ripulito in un batter d’occhio delle polpette preparate dalla moglie.
Trascorse il pomeriggio, durante il quale si destreggiò con le pratiche di studio, che Erminia sfogliava per lui. Il computer era stato portato in cucina e il tavolo era pieno di carte.
La sera, dopo la cena e la tv, venne l’ora di andare a dormire.
– Scusa, Beniamino, ma se non ti dispiace… preferirei che tu dormissi nella cuccia. Mi fa impressione, nel letto.
Benny si aspettava dalla moglie una maggiore apertura mentale, ma con magnanimità si risolse ad essere paziente e attendere il momento in cui lei sarebbe stata pronta ad accogliere la sua nuova natura canina senza riserve. E poi chissà, poteva anche succedere che tornasse come prima.
E invece la mattina dopo Benny si svegliò ancora cane, e così il giorno seguente e l’altro ancora.
Era passato ormai un mese dalla metamorfosi. La visita dal medico era stata rimandata di giorno in giorno, nella speranza che il male recedesse spontaneamente.
Una mattina, verso le sei, Erminia fu svegliata dal bubbolio di Stella, esattamente come il primo giorno. Si alzò di scatto, speranzosa di trovare il marito con le restituite spoglie umane.
Ma, affacciandosi dal vano della porta, quale non fu la sua sorpresa nel trovare Benny che tentava affannosamente di coprire la Labrador, mordendola sul collo per tenerla ferma.
– Ma… Beniamino! Che cosa fai?
La domanda era ridondante, perché la scena era chiarissima.
I due fedifraghi si ricomposero e Benny tentò di spiegarsi.
– Perdonami, cara, non capisco come sia potuto succedere. Non sono più in me, non sono padrone delle mie emozioni, delle mie azioni…
Ma le scusanti suonavano false e proditorie alle irritate orecchie della donna, che non voleva sentire ragioni.
– Dopo tutti questi anni di vita insieme, che cosa devo vedere? Che vai a letto con una cagna?
Il tono dispregiativo non sfuggì a Stella, che mostrò i denti emettendo un ringhio sommesso.
– Ne parliamo quando torni normale!
Erminia si ritirò nella camera da letto, sbattendo la porta.
La tensione fu forte per tutto il giorno, ed Erminia non rivolse più la parola al marito.
L’indomani si svegliò tardi, avendo preso sonno solo nell’ultima parte di una notte agitata. Guardò la sveglia, che segnava le otto, e scese in cucina.
Un insolito silenzio era rotto soltanto dal ronzio del frigo e dai suoni ovattati provenienti da fuori.
Sul tavolo, il laptop di Beniamino era acceso.
Erminia si avvicinò. Lo schermo mostrava un documento di word.
Erminia inforcò gli occhiali e si sedette.
Dovette rileggere più volte quella che sembrava una lettera di addio.
cara perdonami per il dolore che ti provoco ma non posso rinunciare alla mia felicità ho trovato l’amore della mia vita lei mi capisce e soprattutto apprezza il mio umorismo ti auguro ogni bene beniamino
Erminia crollò il capo, incerta fra la disperazione e la rabbia.
Poi scoppiò a ridere.
Beniamino ci aveva messo una buona mezz’ora a scrivere quel messaggio, mentre Stella lo guardava adorante.
Entrambi erano sgattaiolati dallo sportello basso e adesso trotterellavano l’uno accanto all’altro, già a un paio di chilometri di distanza da casa.
La loro nuova vita era appena cominciata.