Agrodolce mediterraneo
di Roberto Interdonato
Ingrid Seyman
La piccola conformista
ed. orig. 2019, trad. dal francese di Marina De Leo,
Sellerio, Palermo 2021
La piccola conformista – nell’originale La petite conformiste – è il romanzo d’esordio di Ingrid Seyman, giornalista e documentarista originaria di Marsiglia. Proprio in questa città sulla riva nord del Mediterraneo si situa la storia di Esther e della sua famiglia. La città-porto meticcia, che per secoli è stata passaggio o rifugio e che rivive ad esempio nei noir di Jean-Claude Izzo, è infatti lo scenario della litania allegra dei Dahan. La sfida che l’autrice ha sentito di lanciare a se stessa è stata raccontare una storia tragica con i toni del comico e dell’irriverente. Sta qui l’originalità del risultato letterario di Seyman. Di infanzie e crescite dolorose la letteratura francese più recente ha fatto esperienza, mancava però il riso per farci addentrare nelle pieghe più celate di una veste di dolore creata, si potrebbe dire ‘sartorialmente’, dalla storia e dalle ideologie. Il riso scaturisce dalla prima pagina, quando la protagonista Esther, che nel romanzo si erge a prodigiosa narratrice autodiegetica dall’età dei tre anni, afferma di essere nata da destra in una famiglia di sinistra, vale a dire di hippie che hanno fatto il ‘68, e per giunta il giorno di Natale, per la gioia della madre atea e del padre ebreo (che a volte dimentica di essere ebreo). L’anticapitalista Elizabeth, la madre, è preoccupata per questa bambina così conservatrice e reazionaria, che dai quindici mesi si addormenta tutte le sere alle otto in punto, che non vuole saperne di ballare nelle discoteche dove vanno i genitori, che vagheggia vestitini blu e si sottrae ai pantaloni a zampa d’elefante, che non rompe mai nulla in casa; e che quando cresce è addirittura entusiasta del cattolicissimo e borghesissimo istituto dove i genitori, figli delle loro contraddizioni, la iscrivono. È talmente preoccupata da volerla portare da uno psichiatra infantile. Proposito di difficile realizzazione, visto che il padre Patrick acconsentirebbe a mandarla solo da uno psichiatra ebreo e nel quartiere dove vivono non ve ne sono. Personaggio piuttosto bizzarro, Patrick, tanto da far ponderare a Esther un parricidio. Rasenta in effetti l’ossessivo con le sue risibili pantomime di Alain Delon e Jacques Brel, le liste di cose da fare declamate a mo’ di versi, le manie per l’ordine e la pulizia della casa, le paure – a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta – di nuovi rastrellamenti nazisti degli ebrei, gli inscenamenti della propria morte.
Un fardello, in effetti, pesa sul suo stomaco – come anche su quello dei genitori Fortunée e Isaac, i nostalgici nonni di Esther e dell’iperattivo fratellino Jérémy – ed è causato dal doloroso distacco dall’Algeria francese nell’inverno del ‘62. Di questo paese che non esiste più, resta in casa Dahan solo un vaso di terracotta pieno di terra di Souk Ahras, raccolta dal giovane Patrick insieme a Isaac ai piedi del fico che cresceva nel giardino della loro casa di pieds-noirs e che, passando per il Mediterraneo, è giunto in Francia. È l’incidentale rovesciamento di questa terra dolce, a cui Esther tocca porre rimedio, che porterà all’agro e inaspettato epilogo di una saga familiare che l’ormai giovane adolescente finirà di raccontare dentro questo curioso romanzo di formazione. Il conformismo della ‘piccola’ Esther, che con la sua diligenza destroide cerca sempre una consolazione per l’impermanenza delle cose, è tutto sommato la ribellione anticonformista alle irrequietezze della sua famiglia e del mondo.