recensione di Elisabetta d’Erme
Alasdair Gray
1982 Janine
ed. orig. 1984, trad. dall’inglese di Enrico Terrinoni
pp. 365, € 21
Safarà editore, Pordenone 2020
Janine «sa incarnare quasi ogni stereotipo femminile, dall’adolescente idiota all’aristocratica distaccata», di solito è vestita con una minigonna di pelle bianca, chiusa da bottoni a pressione che mentre cammina si aprono e fanno “click”, e una camicia di seta, bianca come le scarpe con l’alto plateau. Attorno a questo feticcio si dipanano le barocche fantasie erotiche sadomaso di Jock McLeish, di cui, insieme a Superba/ldracca, Big Momma, Nina e Sontag, è incontrastata regina l’immaginaria Janine. Le sue visioni di sequestri, bondage e stupri vengono però regolarmente interrotte da flash dalla vita reale o divagazioni sociopolitiche. Siamo infatti in piena Era Thatcher, imperano deregulation, privatizzazioni e lo smantellamento dello stato sociale, è l’anno in cui la Scozia arriva ai finali del Campionato di calcio contro il Brasile. Jock di mestiere fa il supervisore di sistemi sicurezza, è un uomo di mezza età, divorziato e alcolizzato. È convinto che – in fondo – «Non sono uno schifoso stronzo galattico, sono soltanto un normale stronzo. E non sono ipocrita». Per lavoro è sempre in viaggio e lo incontriamo durante una lunga notte insonne, sdraiato sul letto di un modesto hotel di provincia dalle parti di Glasgow, incerto se ingerire o meno una cinquantina di barbiturici, mentre sta stilando un bilancio della sua vita, decisamente fallimentare. Oltre al whisky e ai suoi fantasmi, ha per compagnia la voce del suo Dio privato o forse del suo Super-Io, che lo biasima, ammonisce e critica, ma il più delle volte Jock risponde a quella voce censoria mandandola a quel paese. Si proclama conservatore per poter stare dalla parte dei vincenti. In realtà è un nichilista e cerca solo di distinguersi dal padre, minatore, marxista, pacifista (anche se sulla Somme qualche tedesco l’ha fatto fuori).
La fama di Alasdair Gray (1934-2019) è legata soprattutto a Lanark. Una vita in quattro libri, considerato ormai un classico della letteratura di fantascienza. In 1982 Janine ritroviamo la stessa struttura digressiva e l’oscillazione tra realismo e invenzione. Il protagonista Jock McLeish mitizza una vita che non ha mai vissuto, per poi abbandonarsi al racconto della più disarmante verità che, se meno epica ed eroica, risulta certamente più ironica ed esilarante; come quando ricostruisce l’incontro con la moglie durante la messa in scena di uno spettacolo sperimentale per una delle prime edizioni del Festival di Edimburgo. Un romanzo pieno di omaggi a Sterne, Joyce, Shakespeare, di uno scrittore eclettico e visionario, tra i più grandi artisti scozzesi contemporanei, in cui niente è usuale e dove anche l’impianto grafico è sorprendente. La traduzione di questo tour de force sperimentale si deve a Enrico Terrinoni, che ha alle spalle altre imprese impossibili, come la trasposizione in italiano di autori come B.S. Johnson o come il Finnegans Wake di Joyce. L’erotismo, che percorre come un gioco provocatorio tutto il romanzo e che venne tanto criticato all’uscita del libro nel 1984, si rivela presto un’astuta trappola che Gray tende al lettore per braccarlo in territori narrativi mai percorsi fin ad allora: un liberatorio viaggio al termine della notte che anticipa il migliore Houellebecq. Infatti, per quanti sforzi faccia, Jock non è uno stronzo e neanche un porco pornografo, ma un umanissimo povero diavolo.