recensione di Elisabetta d’Erme
Naoise Dolan
Tempi eccitanti
ed. orig. 2020, trad. dall’inglese di Claudia Durastanti
€ 16.50, pp. 297,
Blu Atlantide, Roma, 2020
Sui grattacieli di Hong Kong incombe un «cielo denso e mucolitico, bronchiale» e l’uso dell’aggettivazione, l’allusione al”verdemoccio” del mare joyceano, rivelano l’afferenza di chi scrive che – per certi versi – ha molto a spartire con lo scontroso Stephen Dedalus che incontriamo all’inizio dell’Ulisse di James Joyce. Ava, la protagonista snob-prolet di Tempi eccitanti, opera prima della giovane scrittrice irlandese Naoise Dolan, tradotto con eccezionale bravura e tempismo da Claudia Durastanti, a un certo punto è costretta ad ammettere: «Ero una brutta persona che non sapeva come voler bene agli altri». Ed è davvero difficile darle torto, perché riesce a rendersi odiosa persino a se stessa. Proveniente da una famiglia della piccola borghesia dublinese, all’età di soli ventidue anni Ava parte da Dublino per guadagnarsi da vivere e per fuggire da un luogo in cui è infelice, ed arriva a Hong Kong per insegnare inglese ai bambini in una scuola privata. Ava è ossessionata dalla lingua e dalla sua capacità di connotare immediatamente lo status sociale, l’educazione e la provenienza di chi la parla. La sua lingua è l’anglo-irlandese, ma lei deve insegnare l’inglese britannico che associa a ogni iniquità, a partire dallo snobistico sistema di classe e dal sottile razzismo che lo caratterizza. Inizialmente Ava va ad abitare in un Airbnb infestato di scarafaggi e condiviso con altre ragazze poco socievoli, ma trova presto una soluzione ai suoi problemi logistici e finanziari tanto eccezionale quanto imbarazzante: una stanza nel lussuoso appartamento di un ricco giovane banchiere inglese annoiato, fresco di Oxford e Eton, che in cambio le chiede un po’ di sesso e interminabili schermaglie verbali.
Ava si sceglie il ruolo della ragazza “strana”, si professa comunista e, se da un lato sembra sempre star lì a denigrarsi, dall’altro è segretamente convinta d’essere migliore degli altri, che disprezza. I rapporti sociali che instaura sono sempre liminali, al limite dell’autismo. I suoi modi sono insinceri e manipolativi. Passa un sacco di tempo ad analizzare i propri scambi interpersonali e le sue interminabili conversazioni. Di sé dice: «Spendere soldi ed essere brava con gli uomini era più facile della vera generosità» ma andare a letto con i ricchi alimenta solo la sua consapevolezza di non esserlo. Sta di fatto che ora riesce almeno a risparmiare sull’affitto, ma non a capire che tipo di relazione ha con Julian, fino a quando, durante una sua lunga assenza per un viaggio di lavoro, Ava non conosce Edith, una coetanea di Hong Kong, benestante e già in carriera presso uno studio legale. Ava, forse, s’innamora di Edith, ma fa un gioco sporco anche con lei. Cercando di tenere il piede in due staffe, le mente sul tipo di legame che ha col suo “coinquilino”. Anche il suo rapporto con Edith sembra essere basato su una strana contabilità. Quando compra una costosa candela Jo Malone, pensa: «Per lei, avrei consumato una candela che valeva quattro ore della mia paga, vale a dire un sesto di una giornata, pensando: ecco gli altri cinque sesti, prendili se li vuoi». Quando Julian torna a Hong Kong la situazione precipita. Solo allora ad Ava torna alla mente l’iniziale Airbnb e pensa: «Mi ero sentita diversa, quando mi ero allontanata dagli scarafaggi, ma ora capivo che avevamo molto in comune: insetti, arrampicatori, freddi dentro. Prosperavamo in ambienti ostili. C’erano posti in cui stavamo meglio, ma non c’era alcun luogo che potesse ucciderci e ci fosse precluso». La scrittura della ventottenne Naoise Dolan, ricorda quella della sua conterranea Sally Rooney, l’autrice di Persone Normali e di Parlarne tra amici, e riprende il vezzo d’una certa nuova narrativa femminile post adolescenziale dominata da debordanti, lamentosi, auto-assertivi io narranti.
Nata a Dublino, Naoise Dolan, ha vissuto a Hong Kong, in Italia, a Singapore e in Inghilterra. Si è laureata in Letteratura Inglese al Trinity College e ha conseguito poi un master in Letteratura dell’età vittoriana all’Università di Oxford. È tra le finaliste del Sunday Times Young Writer of the Year award del 2020. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati dalla «The Dublin Review» e da «The Stinging Fly». Con questa opera prima si segnala tra le promesse della letteratura irlandese, perché – accantonate certe furbizie sexy del plot, che sembrano pensate solo per pepare una minestra che rischiava altrimenti d’essere insipida – si dimostra un’abile narratrice. Le parti più riuscite del romanzo sono quelle in cui l’autrice descrive le lezioni d’inglese impartite ai piccoli ricchi hongkonghesi, un divertente e istruttivo slalom tra la fricativa dentale sorda e quella sonora, le aspirate o meno, tra i tranelli delle preposizioni, delle interrogative, i nomi collettivi e gli individuali, e i tanti misteri dello “standard English”.