Giorgio Macor – Come un volo di passeri erranti

recensione di Paola Bonfante

Giorgio Macor
Come un volo di passeri erranti
€ 18, pp. 223,
Neos edizioni, Torino, 2020

Giorgio Macor, medico con una lunga esperienza nella cooperazione internazionale, autore di romanzi e racconti che esplorano le relazioni tra mondi diversi e le migrazioni come ricerca per migliorare il proprio stato,  ritorna ai suoi temi prediletti nel suo ultimo libro Come un volo di passeri erranti. Da una spiaggia dello Sri Lanka, dai terrazzi infuocati di Baghdad ai quartieri periferici di Damasco, dal Cairo a Gerusalemme, i luoghi fanno da scenario ad avvenimenti storici ma anche ai sentimenti privati dei personaggi. Alcuni di essi fanno parte del variegato mondo della cooperazione, come le ONG/ONLUS che sono entrate da anni nel nostro quotidiano, dopo catastrofi naturali, eventi bellici sparsi nel nostro mondo inquieto, tragedie di migranti o eventi in luoghi insoliti. Siamo abituati a vedere queste organizzazioni in azione, ma quasi sempre in maniera impersonale, l’attenzione raramente si sofferma sugli individui che “fanno” le azioni, ciascuno con la sua specializzazione, una posizione nella gerarchia, una maggiore o minore sensibilità e/o curiosità verso il mondo che lo circonda.

Da esperto narratore, Giorgio Macor ci conquista invece con le loro storie, e con il nascere e il consolidarsi di alcuni rapporti di coppia. Sara e Simon si incontrano su una spiaggia dove le tracce dello tsunami sono ancora presenti, si inseguono negli anni e si studiano da lontano con una precisione quasi naturalistica fino a sperimentare periodi di convivenza in una Damasco ancora pacifica. Roby e Ahmed, nella medesima Damasco, privilegiano invece una relazione quasi “segreta”, dove gli aspetti privati prevalgono su ogni rischio di contaminazione con il mondo che li circonda, fino a rimanere spiazzati quando quel mondo li mette di fronte a scelte su cui non possono più influire. Naseem  e Cristina, palestinesi, si incontrano nel grande campo profughi di Yarmouk e disegnano insieme sogni di fuga verso un mondo più aperto, mitizzando un occidente dove sentirsi liberi dalle convenzioni e dal controllo sociale.

Su di loro e sugli altri personaggi si abbatte una guerra di cui avevano visto i segni premonitori senza però riuscire a coglierli. Poco alla volta saranno gli eventi esterni a reggere le fila e tutti saranno costretti ad adattarsi, a scegliere tra una fuga vissuta come sconfitta o una “coerenza” accompagnata da pericoli sempre più difficili da controllare, ciascuno in qualche modo in contatto con la sua personale forma di solitudine. Infine, il loro destino sarà deciso da una guerra complessa, dove il bene e il male sono confusi e dove gli avvenimenti di ogni giorno contrastano con la narrazione che ne viene fatta.

Giorgio Macor non cerca di anticipare un giudizio storico su questi avvenimenti, ancora troppo recenti e nemmeno compiuti, senza documentazioni che non siano di parte o comunque influenzate da pregiudizi politici o religiosi. Lo scenario diventa però sempre più chiuso, quasi claustrofobico, limitato ad abitazioni, uffici, spazi ristretti dove “resistere”. I personaggi rimangono così protagonisti di fatti che li travalicano ma gli eventi, fino all’inatteso epilogo, sono sempre più forti delle scelte individuali. Al di là delle ragioni di interesse sopra esposte, il libro è di piacevole lettura anche per un linguaggio, dove alle parole del vivere quotidiano si aggiungono sensazioni, immagini che si intrecciano in un processo di arricchimento del reale, permettendo di coglierne aspetti solo apparentemente secondari.