La gentilezza di quando non c’è amore
di Paolo Armelli
Peter Cameron
Cose che succedono la notte
ed. orig. 2019, trad. dall’inglese di Giuseppina Oneto,
pp. 241, € 19,
Adelphi, Milano 2020
Ci sono romanzi che sono luoghi remoti e inaccessibili, frutto di una creazione fittizia eppure al contempo ben radicati nella nostra esistenza. Cose che succedono la notte, ultima fatica dello scrittore americano Peter Cameron, già autore di Quella sera dorata (2006) e Andorra (2014), tutti editi da Adelphi, è proprio uno di quelli. In mezzo alle tante tendenze della letteratura recente, dal disperato realismo all’autofiction sfacciata, dai generi moralizzati ai romanzi-saggio impegnati, questo di Cameron è un unicum difficilmente collocabile. Si potrebbe dire, ammesso che abbia senso, che è un romanzo letterario nel senso più puro del termine. L’autore riesce a confezionare con grande maestria una storia che è tutta atmosfera, tutto uno scenario surreale ma anche familiare che resta sullo sfondo di una vicenda fatta di piccoli passi incerti, di incomprensioni ma soprattutto di paralisi.
Una coppia di New York, gli innominati moglie e marito, arrivano in treno in una non meglio identificata città del Nordeuropa, isolata e coperta di neve, dove hanno intenzione di adottare un bambino. Il soggiorno nell’unico e meraviglioso albergo del luogo, un Grand Imperial Hotel sbucato da secoli ormai superati ma intatto nella sua lussuosa e insensata decadenza, sarà costellato di imprevisti e vicissitudini che metteranno a dura prova il loro rapporto già fortemente segnato dalla malattia di lei e dall’apatia di lui. Attorno a loro, una costellazione di personaggi altrettanto improbabili, tutti presi da un loro destino di isolamento: la mitica Livia Pinheiro-Rima, diva fanée che canta al pianobar dell’hotel per un pubblico ormai inesistente, che con la sua ingombrante insistenza impicciona sblocca diversi indugi; uno sguaiato e apparentemente insensibile uomo d’affari; un barista silenzioso ma di beffarda consolazione. E poi soprattutto lui, fratello Emmanuel, enigmatico guaritore che è vero polo magnetico, sia di attrazione sia di repulsione, di tutta la storia. Sono due le caratteristiche fondanti che si affermano e si negano in tutte queste pagine: la vaghezza e la varietà. Cameron è volutamente un narratore vago, impreciso, non dà nome ai personaggi principali né ai luoghi, fa passare i giorni (ma soprattutto le notti) come fossero cicli indefiniti, ore interminabili; al contempo, però, opera con precisione lancinante sulle emozioni dei suoi protagonisti, viviseziona gli stati d’animo fino agli anfratti più inconfessabili (“Siamo gentili con quelli che non amiamo proprio perché non li amiamo. È lì che entra in gioco la gentilezza: quando non c’è l’amore”). E appunto mette in scena un universo a sé, fatto di componenti che sembrano arrivare da mondi diversi, quasi sbucati da romanzi distantissimi fra loro e che si ritrovano per caso nello stesso albergo al di là del tempo e dello spazio. Ma anche qui, a ben vedere, tutti sembrano espressione di una stessa condizione umana, di una lotta per sottrarsi all’inevitabilità, alla convenzionalità.
Cose che succedono la notte è una storia d’amore ed essendolo fin nelle viscere è anche senza scampo una storia di morte. La malattia e lo scorrere del tempo, lo svanire nella neve sono contraltari necessari allo slancio vitale, al tentativo disperato di salvare un matrimonio e al contempo di accogliere con sé una nuova giovanissima vita, tanto a lungo cercata e altrettanto a lungo negata (“Il marito si rese conto che lei aveva finito per diventargli ostile, per abbandonarlo, mentre lui era rimasto a guardarla abbandonare chiunque altro avesse amato”). Cameron, con la sua lingua schietta e inesorabile, ben tradotta come di consueto da Giuseppina Oneto, ha in sostanza scritto un romanzo che è filosofico senza volerlo essere fino in fondo, esistenzialista ma non privo di vivacità e anche di una certa disperata ironia. Il suo è un meccanismo narrativo sofisticato, nel senso della complessità e dell’incedere elegante, che muta in continuazione aspetto, attingendo a certa tradizione europea (E. M. Forster, Thomas Mann) e ravvivandola di tinte grottesche e asfissianti, quasi horror, in un’ambientazione cinematografica e stilizzata come se fosse un Wes Anderson sovvertito e snaturato.
In tutti questi sensi questo è libro sfuggente, indefinibile e unico, perché riconcilia con una letteratura quasi fine a se stessa, compiaciuta delle proprie capacità immaginifiche, ma anche pregna di significati che solcano in profondità il lettore. Ancora in una dialettica inesausta all’interno dei vari protagonisti, Cameron lotta fra la propensione alla stasi, al mancato cambiamento (“come se lo scopo della vita fosse soltanto trovare una particolare ordinata nello spazio e occuparla; come se il mondo fosse un’immagine da comporre in maniera impeccabile”) e un’esistenza che necessariamente porta al moto perpetuo, alla necessità di affermarsi, negarsi e ancora modificarsi. Ecco, Cose che succedono la notte è proprio un romanzo che lotta contro l’immutabilità per abbracciare l’ineluttabile.
p_armelli@yahoo.it
P. Armelli è critico letterario