di Marco Gadaleta e Giorgia Prono
Woody Allen
A proposito di niente
pp. 400, € 22
La nave di Teseo, Milano, 2020
A proposito di niente è il titolo dell’edizione italiana dell’autobiografia di Woody Allen, pubblicata da La Nave di Teseo. Un titolo che in apparenza suggerisce vacuità e disimpegno, ma che, a conti fatti, introduce il lettore in un viaggio rocambolesco nella memoria del celebre regista. È un’avventura che si dipana in centinaia di pagine alquanto sagaci, mai scontate e di notevole interesse. Il libro è infatti un buon modo per ripassare la sterminata filmografia di Woody Allen (col film di quest’anno, Rifkin’s Festival, arriviamo a cinquanta) e un pretesto per recuperare qualche titolo che non si era visto. La prosa è divertente e svagata ed è chiaro che non mancano le occasioni per farsi qualche risata. Sembra a tratti di leggere l’Histoire de ma vie di Casanova – o le memorie di un megalomane, costretto a trasferirsi dal suo amato, ma angusto, attico su Central Park a un appartamento di 1.800 metri quadrati sulla novantaduesima – ma a dir la verità il tono delle sue confessioni è sempre ironico e dissacrante, nulla è mai veramente preso sul serio e c’è una leggerezza e un understatement che rendono questa voce irrimediabilmente simpatica.
L’autoironia, forte già dal titolo, è la cifra di questa prosa, la stessa che si trova in molti suoi film, e ciò che ne viene fuori in definitiva è che tutto questo successo sia arrivato un po’ per caso, per uno sfacciato colpo di fortuna, giunto a chi in fondo non se lo meritava: tutto ciò ovviamente non è vero, ma Woody Allen sembra crederlo sul serio. La sudditanza e il complesso di inferiorità di fronte ad artisti come Tennessee Williams, per fare solo un esempio, gli fa dire questo: «Williams […] mi ferma e mi dice che sono un artista. Mi guardo attorno per vedere se alle mie spalle c’è effettivamente qualche artista, ma no, si riferisce proprio a me […]. Divento paonazzo, farfuglio qualche ossequio incoerente e arretro verso la porta, continuando a inchinarmi come un eunuco cinese».
In questa sua goffaggine imbarazzata, questa inadeguatezza naïve, Allen riconosce i tratti dello schlemihl (è questa l’unica rivendicazione di ebraismo, anch’essa, si intende, scevra di qualsiasi serietà). Categoria sociologica e tipo letterario – che Hannah Arendt vedeva incarnato in umoristi di prima qualità come Kafka e Chaplin –, lo schlemihl rappresenta il simbolo del destino ebraico. È un reietto, un paria, un innocente per il quale la stessa gloria terrena è solo un ulteriore segno della sua “schlemihlità”. Come non riconoscere qui il Woody Allen che emerge dalle pagine della sua autobiografia? In occasione dell’onorificenza che la città di Oviedo ha deciso di rendergli nella forma di una statua di bronzo, si legge infatti: «Mi piacerebbe poter dire di avere fatto qualcosa di coraggioso e di nobile a Oviedo per avere meritato questo onore ma […] non ho fatto nulla per meritare non solo un mio ritratto tridimensionale ma neanche un tale crudele accanimento [la statua era stata più volte vandalizzata]. Oviedo è un piccolo paradiso, con l’unica macchia della presenza di uno schlemihl di bronzo».
L’innocenza stupita dello schlemihl, che tutti conosciamo attraverso Josef K., è infine ciò che emerge con maggior forza dalle pagine di Allen, soprattutto quando si dilunga nel raccontare lo scandalo che ha coinvolto lui e la giovane Soon-Yi, protagonisti di un altro processo. È per questo che possiamo definire A proposito di niente un libro pieno d’amore: amore per il cinema, per Manhattan, per Parigi, per le partite di baseball, per gli amici più stretti e i conoscenti più stravaganti, e soprattutto amore per la propria moglie e compagna di vita, Soon-Yi. Leggerlo fa dunque riflettere sull’accanimento, assurdo e, a ragion veduta, infondato, che il regista ha subito da un’opinione pubblica assatanata di finzione e credulità. In conclusione, è la storia straordinaria di un uomo che si ritiene nient’altro che ordinario.