recensione di Matteo Moca
Eloisa Morra (a cura di)
Paesaggi di parole. Toti Scialoja e i linguaggi dell’arte
pp. 144, € 16
Carocci Editore, Roma, 2019
L’opera di Toti Scialoja (1914-1998) ha attraversato tutto il Novecento e ha assunto principalmente due forme, quella della scrittura (poesia e critica) e quella della pittura. Questo «doppio talento» ha pesato però nella riflessione critica sull’autore e sul giudizio complessivo sulla sua opera, tanto che solo da pochi anni esiste una giusta considerazione riguardo a entrambe le forme utilizzate. All’interno di questo riconoscimento tardivo (evidente se si considerano gli studi monografici e le pubblicazioni di opere inedite, un lavoro compiuto da Einaudi e Quodlibet e culminato con la nuova pubblicazione delle Poesie presso Garzanti), un ruolo di primo piano spetta al lavoro di Eloisa Morra, autrice, oltre che di saggi accademici, nel 2014 del prezioso ritratto Un allegro fischiettare nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja (Quodlibet) e adesso curatrice della raccolta di saggi Paesaggi di parole pubblicata da Carocci. Se Un allegro fischiettare nelle tenebre rappresenta un lavoro unico per la sua capacità di indagare in maniera organica il percorso creativo di Scialoja, realizzando un ritratto a tutto tondo importante per addentrarsi all’interno della sua opera, questa nuova raccolta di saggi ne rappresenta un possibile naturale proseguimento per la sua capacità di muoversi con agilità tra le varie forme della sua produzione, illuminando intelligentemente le relazioni che corrono tra il visivo e il verbale.
Questo è l’approccio più proficuo all’opera di Scialoja, per il quale non esiste distinzione, se non arbitraria, tra primo e secondo mestiere (come lui altri grandi autori del Novecento italiano, da Carlo Levi ad Alberto Savinio a Emilio Tadini): così i saggi che si susseguono utilizzano numerosi strumenti critici afferenti tanto alla critica letteraria quanto a quella d’arte, per giungere a una catalogazione organica dell’opera del pittore-poeta, seguendo ciò che Morra suggerisce nella sua introduzione, cioè fare «un passo indietro che permette di guardare con nuovi occhi al sempre più consistente corpus di quadri, poesie, testi critici, documenti d’archivio che formano lo sconfinato paesaggio della sua attività». Dare conto degli autori e dei vari argomenti dei numerosi saggi raccolti in questo volume (dalle pagine diaristiche all’attività sceonografica, dai libri d’artista alla «svolta malinconica» degli ultimi anni) non è qui possibile, ma è importante sottolineare come le varie traiettorie di Paesaggi di parole, oltre a percorrere spazi ancora non battuti dell’opera di Scialoja, e costituendosi così come imprescindibile strumento di studio futuro, mirino a un obiettivo comune, quello di «analizzare in profondità i nodi a partire dai quali si sviluppa la creatività scialojana – scrive Morra –, stabilendo in che modo la presenza del doppio talento influenzi la genesi delle sue opere». Per fare questo ogni autore si concentra con attenzione e perizia sul testo o sulle immagini, pratica fondamentale che spesso però la critica dimentica. «Le parole hanno densità, colori, nervature: sono figure in loro stesse» ha scritto Scialoja riferendosi ai suoi nonsense illustrati degli anni Settanta, in una formula che sembra custodire l’intera esistenza dell’autore e quel continuo dialogo e scambio tra parola e figura.
Matteo Moca è dottore di ricerca in italianistica, insegnante e critico letterario