La storia in pausa
recensione di Camilla Valletti
Ben Lerner
Topeka School
trad. dall’inglese di Martina Testa
pp. 375, € 15.20
Sellerio, Palermo 2020
Pericoloso come l’esplorazione di uno speleologo, il nuovo romanzo di Ben Lerner è una sorta di prequel del suo precedente Nel mondo a venire. Anche qui infatti compare Adam Gordon, un vero doppio di Lerner medesimo, alle prese con un’adolescenza difficile in una comunità ricca, wasp, profondamente omogenea e del tutto chiusa a qualsiasi vento che comporti una possibile revisione di stili di vita, di ambizioni, di riconoscimento sociale.
Per raccontare una scissione, al fine di rappresentare un personaggio fatto in pezzi non solo da una famiglia invasiva ma anche da una forma del linguaggio che impone categorie oppressive, Lerner riconduce il suo testo alla lezione di un poeta difficilmente collocabile nel panorama contemporaneo, John Ashbery. Dalla sua raccolta Un mondo che non può essere migliore (Sossella, 2017) leggiamo: «La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza | Certo tutti quei piedi sul sofà erano i miei | Il ritratto ovale di un cane ero io in più tenera età | Qualcosa riluce, qualcosa viene azzittito». E Adam, ormai alla fine del romanzo, diventato padre e quasi seppellito il proprio, annota: «Il silenzio della macchina da elettrica contribuì alla mia sensazione di essere un fantasma, quantomeno non coevo di me stesso, figuriamoci con il paesaggio. La storia non era finita ma era stata messa in pausa». Ecco allora una storia sospesa, uno sdoppiamento, l’impossibilità di specchiarsi persino nelle proprie cose, nell’ambiente circostante, nel proprio presente. Questi sono gli elementi che connotano questo lungo e impervio racconto volto a mettere in relazione l’espressione di sé con un environment repressivo, muto, antagonistico.
Adam, se non apparisse azzardato, è un fratello di poco maggiore del noto Otis, il protagonista della serie Sex Education. Come lui ha genitori intellettuali, manipolatori e tantissima psicoanalisi messa a disposizione come cereali a colazione. Una madre dotata di antenne vigilissime su qualsiasi segnale che nasconda un’allusione sessuale, un padre campione di incassi grazie a una scoperta sul linguaggio pre-razionale, un amico clownesco e convertitore del sistema. Certo, l’ironia di Lerner è fatta di ben altra pasta e nasconde trame oscure, avviluppate intorno ai grandi nodi della narrativa americana post 9/11. Dopo Jonathan Franzen, Lerner affronta, ancora una volta, l’era delle nuove tecnologie, la loro influenza, le solitudini virtuali, il sesso solitario e narcisistico, l’adulterio come sabotaggio all’interno della coppia e insieme meschina presa d’aria per non accettare la fine di un matrimonio.
La scrittura sempre alta, sempre complessa, debitrice a un magistrato poetico che Lerner ha osservato per anni, prima di affrontare la prosa. Poesia che si annida nelle macchie che compaiono improvvise negli occhi di Adam in un momento di eccitazione sessuale, o nelle ombre lunghe della notte che si stendono lungo un lago ghiacciato, circondato da inquietanti ville modulari.