Lorenzo Marchese – Storiografie parallele

Scritture a vocazione veridica

di Matteo Fontanone

Lorenzo Marchese
STORIOGRAFIE PARALLELE
Cos’è la non-fiction?
pp. 304, € 24,
Quodlibet, Macerata 2019

A qualche anno dall’indagine sull’autofiction nella letteratura contemporanea (L’io possibile, uscito per Transeuropa, 2014), Lorenzo Marchese pubblica con Quodlibet un corposo saggio che organizza i suoi recenti studi sullo sviluppo della non-fiction in Italia. È un momento fortunato, per la nostra critica letteraria: dopo La realtà rappresentata (Quodlibet, 2019, cfr. “L’Indice” 2019, n.10), l’antologia curata da Raffaello Palumbo Mosca sul cosiddetto ritorno al reale nel romanzo italiano, Marchese consegna allo sparuto pubblico dei contemporaneisti un testo fondamentale per orientarsi entro i confini di un non-genere plurale e vastissimo.

Prima di addentrarsi nella scrupolosa mappatura di temi, strutture e tipologie di non-fiction negli ultimi decenni di letteratura italiana, lo studio di Marchese esordisce con un capitolo teorico che si propone di inquadrare, mettere a fuoco e storicizzare il fenomeno: all’inizio si parte da una definizione di non-fiction possibile solo in negativo, quindi attraverso ciò che non è o ciò per cui si differenzia dalla narrativa finzionale, e soltanto quaranta pagine più tardi si arriva a una formula definitiva: “la non-fiction contemporanea è un tipo di discorso narrativo che s’incarica di raccontare storie realmente avvenute e documentabili (in particolare dalla cronaca recente) usando gli strumenti formali e le strategie retoriche della letteratura d’invenzione”.

Prima di segnare il punto, però, ripercorriamo dal principio il ragionamento di Marchese, che prende le mosse dalle distinzioni della Poetica di Aristotele e approda fin dalle prime pagine alle teorie di Paul Ricoeur in Tempo e racconto: lo statuto di una scrittura di tipo storiografico, dice Marchese, dipende dalla disponibilità dell’autore a sottoporre il proprio testo a dei controlli di veridicità, a dimostrare quindi la riscontrabilità dell’opera su un piano fattuale. Una separazione netta tra i due discorsi della storia e della poesia, prima che intervenga la non-fiction a mescolarli, è essenziale: il rischio, che poi è quello denunciato in Italia da Momigliano e Ginzburg, è di appiattire la storiografia sulle opere d’immaginazione, e per questo depotenziarla. Se non è poi così difficile individuare un nucleo di verità dimostrabile nel discorso storiografico, è anche vero che quando si ha a che fare con la letteratura la questione finisce per complicarsi: già il romanzo del Settecento conosceva gli espedienti e gli stratagemmi formali per intorbidire il campo letterario e confondere il piano della realtà documentata con quello della finzione; si pensi, ad esempio, ai Promessi sposi o al Don Chisciotte. Nel corso del Novecento, infine, i due ambiti si allargano ancora di più, i singoli oggetti culturali si confondono, la casistica di oggetti “a metà” aumenta considerevolmente: insomma, nasce la non-fiction.

La constatazione di fondo, infatti, è che negli ultimi venticinque anni di produzione letteraria in Italia ci siano stati sconfinamenti e sovrapposizioni che hanno smagliato la tenuta della finzione narrativa. I vettori sono due: l’inserimento di elementi cronachistici nell’economia di una storia romanzesca, oppure l’adozione in letteratura di forme che per statuto apparterrebbero ad altri linguaggi: l’autobiografia, il memoir, l’odeporica, il reportage. Tipologie di scrittura, queste, che la non-fiction manipola e vira in direzione narrativa. Quest’ultima linea, quella che fa rientrare il dato reale nel tessuto del romanzo d’invenzione, è la non-fiction propriamente detta. Proprio per questo, secondo Marchese, non ha senso parlare di ibridazioni, come invece molti critici hanno fatto e continuano a fare quando è necessario mettere etichette ai libri: la non-fiction si avvale delle strategie d’invenzione proprie del romanzo e insieme si dota di elementi di realtà propri di altre forme. Parlando dei rapporti porosi tra i due campi, Marchese sostiene che “è troppo ampio e impreciso il ventaglio offerto dai due insiemi” perché ci si possa permettere una lettura monolitica con la quale indirizzare in un blocco o nell’altro ogni opera che ci capita sottomano. Non ibridazione, insomma, ma scambio continuo e reciproco fra “scritture a esclusiva vocazione veridica” e “scritture d’invenzione”.

È lodevole, di queste Storiografie parallele, l’atteggiamento problematico che Marchese adotta con le categorie, contro le distinzioni manichee e gli incasellamenti di comodo: ogni libro è un caso a sé e può sfuggire dalle schematizzazioni, non esiste mai una regola preconfezionata e sempre valida. La critica letteraria va esercitata sul caso singolo di un insieme plurale e molto spesso informe, perché a riflettere troppo sulla coralità e non sullo specifico si rischia di scollare la teoria dalla materia del testo. La non-fiction secondo Marchese non è un genere letterario, ma un modo di documentare il proprio presente o la storia usando gli strumenti formali della narrativa d’invenzione (il romanzo ha natura onnivora: gli scrittori di non-fiction vorrebbero allontanarsene ma ne vengono inesorabilmente calamitati). Ed è così che il saggista ricostruisce la storia di una nebulosa plurale e vastissima: parte da Truman Capote e arriva al New Journalism, in Italia cita le scritture di reportage degli anni novanta ma guarda anche alle osservazioni paesaggistiche di Celati, allo Stadio di Wimbledon di Del Giudice e ai libri di Aldo Busi, indaga i rapporti tra il presunto “ritorno alla realtà” del romanzo italiano e la galassia della non-fiction, che a dire il vero si è manifestata ai lettori ben prima del 9/11 o di Gomorra, le due principali concause di questa rinnovata fame di realismo in letteratura.

Il quadro d’insieme che mettiamo a fuoco osservando questo testo da lontano è scomposto e frammentato tanto quanto lo è la letteratura italiana degli ultimi decenni: come sa chiunque si sia occupato di contemporaneità, ricostruire un disegno unitario o almeno lineare non solo è impossibile, ma controproducente: Trevi, Arminio, Trevisan, Janeczek, Pascale, Leogrande, Alajmo, Orecchio, Siti, Pischedda. Autori diversi e spesso provenienti da esperienze letterarie distanti, ma qui tenuti insieme da un discorso ad ampio raggio, suddiviso in due capitoli – La manipolazione dei discorsi e Temi, costanti, tensioni – a loro volta articolati in linee più specifiche: da una parte si analizzano i testi secondo le tipologie (scrittura di viaggio, saggistica narrativa, reportage, biografia), dall’altra per temi portanti (la dialettica tra trasparenza e autenticità, quella tra parzialità e menzogna, tra opposizione e conciliazione, tra impotenza ed espiazione). Chiunque in futuro vorrà studiare la non-fiction italiana, per curiosità o per ragioni accademiche, non potrà fare a meno di passare di qui: anche noi, nel 2019, finalmente abbiamo in questo libro la fotografia dello stato delle cose.

matteo.fontanone@gmail.com

M. Fontanone è italianista